ricevuti da Sandra Mallone
il Mattino 5.4.04
Neuroscienze
Il sogno? È un gioco di molecole
di EVELINA PERFETTO
Sogno dunque sono. Anche quando, come accade nel sonno, la coscienza è interamente annullata, il nostro cervello continua a lavorare in modo incredibilmente complesso. Ed il risultato di questo lavoro sono appunto i sogni. Che tutti gli esseri umani sognino e che i sogni abbiano avuto un ruolo a volte fondamentale nella storia dell'umanità (basti pensare alla loro influenza su movimenti religiosi, rappresentazioni artistiche e teorie scientifiche) era ben noto da sempre. Eppure solo in questi ultimi anni i progressi delle neuroscienze hanno cominciato a chiarire in termini scientifici che cosa siano i sogni, quali parti del cervello ne sono responsabili e quanto i sogni siano importanti non solo per lo sviluppo della «struttura più complessa esistente in natura», come è stato definito il cervello, ma anche per mantenerne l'efficienza durante tutta la vita.
Un lucido ed affascinante resoconto di questi progressi viene fatto da J. Allan Hobson nel suo ultimo libro «La scienza dei sogni» (Mondadori, 170 pp, 8,40 euro). Docente di psichiatria all'Harvard Medical School e direttore del Neurophysiology laboratory al Massachusetts Mental health Center di Boston, Hobson è uno dei più famosi e seguiti psichiatri americani. «La svolta paradigmatica nello studio dei sogni - dice Hobson - si è verificata quando siamo passati dall'analisi dei contenuti all'analisi della forma dei sogni. Mentre i precedenti studiosi, a cominciare da Freud, si sono chiesti che cosa significa il sogno, noi abbiamo cercato di capire quali siano le caratteristiche del sogno, ovvero dell'attività mentale che avviene durante il sonno, e le sue differenze dall'attività mentale della veglia». Insomma, come funziona il cervello che dorme.
Le fasi di attivazione cerebrale nel sonno sono state definite dai neurologi fasi Rem (rapido movimento oculare) perché sono associate ad un rapido movimento degli occhi, oltre che ad alcune nette variazioni dell'elettroencefalogramma e dell'elettromiogramma, che misura il tono muscolare. Durante una normale dormita notturna, le fasi Rem si verificano periodicamente ad intervalli di 90 minuti ed occupano da 1,5 a 2 ore per notte. Chiunque viene svegliato durante o immediatamente dopo una fase Rem è in grado di raccontare nitidamente il sogno che stava facendo. Senza un brusco risveglio, la memoria del sogno può svanire e per questo molti credono di aver passato lunghe notti senza sogni.
Ma la scoperta forse più sorprendente è che, quando nel sonno il cervello si autoattiva (si attiva cioè senza uno stimolo proveniente dall'ambiente esterno) ed entra in una fase Rem, muta le sue autoistruzioni chimiche, bloccando la liberazione di due neurotrasmettitori, la noradrenalina e la serotonina, che sono fortemente implicate nelle principali funzioni della veglia, quali attenzione, memoria e pensiero riflessivo. Viene invece attivato il sistema colinergico, che utilizza un altro neurotrasmettitore, l'acetilcolina. Il sogno è dunque la conseguenza di «un gioco di molecole» finemente autoregolato dal cervello e geneticamente predeterminato, perché innato. Con buona pace di poeti, profeti, mistici, astrologi ed anche dei seguaci di Freud.
Ma perché sogniamo? «Per riordinare le informazioni nella nostra testa - spiega Hobson - e sbarazzarci di memorie obsolete, per aggiornare i ricordi ed incorporare nuove esperienze nei nostri sistemi di memoria. In pratica, per far continuare a crescere il cervello durante tutta la vita».
Edoardo Boncinelli
Fase Rem, in un neonato addormentato il «film» dura otto ore al giorno
Sognare un mondo che ancora non si conosce. È quanto forse accade non solo ai cuccioli d'uomo ma anche ai gattini, ai cagnolini ed alle scimmiette. Come hanno dimostrato una serie di ricerche, già alla trentesima settimana di gestazione il feto umano passa circa 24 ore al giorno in uno stato di attivazione cerebrale che costituisce un primo livello di sonno Rem, quello appunto che nell'adulto è sempre associato all'attività onirica. Dopo la nascita, non meno della metà delle 16 ore di sonno giornaliero che trascorre un neonato sono un inequivocabile stato di sonno Rem. In pratica, il cervello di ogni neonato è in uno stato di sogno per almeno otto ore al giorno.
Ma perché i piccoli hanno durante il sonno un'attività cerebrale molto maggiore rispetto a quella che avranno da adulti? «Per prepararsi - spiega Edoardo Boncinelli - a vivere la realtà, per far crescere il cervello in modo corretto. Grazie a questo lavoro onirico ante litteram, i neuroni fanno le prove generali del loro funzionamento. Per esempio, nella retina e poi nella corteccia visiva si formano in continuazione immagini per tenere in esercizio le cellule destinate a vedere. E questo accade per tutti gli organi di senso. È come se il cervello dei neonati fosse capace di farsi un film per mettere a punto gli strumenti e gli scenari necessari ad affrontare l'ambiente esterno».
Il neonato ha una coscienza, ha percezioni, emozioni e memorie primordiali ma non possiede un linguaggio e quindi non è in grado di elaborare quello che gli psicologi chiamano «pensiero proposizionale» o simbolico. Anche se fosse in grado di raccontarlo, il suo «film quotidiano» sarebbe dunque completamente diverso da quelli che ci sceneggiamo durante i sonni di adulti. Racconti di sogni simili a quelli dell'adulto cominciano a comparire a circa tre anni, quando i piccoli hanno acquisito un vocabolario sufficiente all'elaborazione del pensiero proposizionale. I sogni dei bambini diventano sempre più complessi fino a circa sette anni, poi è come se la fantasia onirica subisse un rallentamento ed i loro sogni diventano uguali a quelli degli adulti.
Ma cosa accade agli adulti che tornano ad avere una «memoria bambina», ovvero incompleta, perchè affetti da gravi forme di amnesia permanente? Una ricerca dell'Harvard Medical School ha dimostrato che questi soggetti sognano esattamente come le persone normali, pur non ricordando nulla di quanto era loro accaduto il giorno prima e che in realtà era l'argomento dei sogni. Il cervello, anche se in parte danneggiato, riesce comunque a memorizzare il materiale necessario alle sue personalissime sceneggiature.
INTERVISTA A EDOARDO BONCINELLI
«Psicoterapia, intuizioni geniali ma meglio la pratica che la teoria»
Nel 1900, Sigmund Freud pubblica «Il sogno», primo best-seller della letteratura scientifica mondiale. Con parole accessibili anche ai non esperti, Freud spiega che il sogno è l'appagamento velato di un desiderio inconscio rimosso, le cui radici risalgono quasi sempre alle lontane esperienze dell'infanzia, e quali sono le tecniche psicoterapeutiche per abbattere le barriere dell'inconscio.
«Oltre che essere un grande scienziato - dice Edoardo Boncinelli - Freud aveva enormi capacità drammaturgiche ed è stato il più efficace divulgatore delle sue teorie». Noto per le sue ricerche di biologia molecolare dello sviluppo, Boncinelli, che oggi dirige la Scuola superiore di studi avanzati di Trieste, è stato anche un analista junghiano ed è uno dei migliori divulgatori scientifici italiani. Nel suo ultimo libro, «Il posto della scienza», Mondatori, analizza lo «stato dell'arte» teorico e pratico dell'impresa scientifica, dalla sua capacità di svelare i misteri della natura alla sua utilità nel cambiare la sfera del quotidiano.
Professor Boncinelli, che cosa è rimasto della scienza inventata da Freud?
«Culturalmente è rimasto tantissimo perchè i miti della psicanalisi sono ormai entrati nella quotidianità, oltre che nella letteratura e nella filosofia. Per quanto riguarda la clinica, ovvero il trattamento dei pazienti, è ormai evidente che tutti i tipi di psicoterapia (freudiana, junghiana, adleriana, rogersiana, cognitiva, umanistica ed altro) hanno più o meno la stessa efficacia. Sono utilissime per certi disturbi, come le nevrosi, ed anche nei casi di gravi psicosi, quali la schizofrenia e le forme maniaco-depressive, oggi si tende ad associare il trattamento farmacologico con la psicoterapia. Ma poiché tutte queste psicoterapie sortiscono lo stesso effetto benefico, le loro basi teoriche, per quanto elaborate ed a volte geniali, non hanno nessuna importanza».
Che cosa significa? Che la pratica psicoterapeutica si è dimostrata migliore della teoria?
«Un bravo psicoterapeuta si comporta sempre nella stessa maniera, a qualsiasi scuola appartenga: ascoltando il paziente, non condannandolo mai, facendogli vedere i possibili aspetti di ogni questione ed offrendogli una spalla su cui appoggiarsi fino a quando le cose non vadano meglio».
Lo psicoterapeuta ha dunque la funzione di un interlocutore fidato ed imparziale?
«Certo, anche perchè purtroppo gli amici sono diventati rarissimi. Oggi si parla tanto di tutto, ma raramente di cose importanti. Anche nei talk show si fanno sempre gli stessi discorsi. E' sempre più difficile trovare qualcuno capace di ascoltare, di avviare un valido contradittorio e di far vedere l'altra faccia della medaglia. Questo accade perché c'è poco tempo e molta ipocrisia».
Per Freud, i desideri sono spesso di natura erotica poiché le pulsioni sessuali sono le più rimosse. Ma oggi, al tempo del Viagra e del sesso on line, è ancora valido questo fondamento della teoria psicanalitica?
«Oggi gli impulsi sessuali non sono inibiti palesemente, ma in realtà l'ipocrisia la fa ancora da padrona. E' cambiata invece la tipologia dei pazienti che si rivolgono alla psicanalisi e che una volta erano per la maggior parte nevrotici, ora sono soprattutto depressi ed ansiosi».