domenica 12 settembre 2004

sul tatto

una segnalazione di Marzia Badaloni:

Sul numero in edicola di Newton, Mensile di scienza e cultura, a pag.36 compare il seguente articolo:

Vedere con la pelle
«Guardare» oggetti e sentire suoni sono solo alcune delle sorprendenti capacità del tatto. Ecco le ultime ricerche sul senso che nell'uomo si sviluppa per primo.
Di Patrizia Giongo

Manoel De Oliveira

Giornale di Brescia 12.9.04
Il novantaseienne maestro portoghese riceve il Leone d’Oro alla carriera e parla de «Il quinto impero», in Mostra fuori concorso
De Oliveira, la mia utopia al futuro
«Grazie per aver capito i miei film; ora vi racconto il mito dell’armonia universale»

VENEZIA. «I festival hanno bisogno di chi sa vedere con anticipo, e Manoel De Oliveira sa davvero vedere il futuro del cinema». Il direttore della Mostra Marco Müller ha scelto queste parole per invitare sul palco della Sala Grande il maestro portoghese, insignito del Leone d’oro alla Carriera. E per definire il suo cinema ha citato una frase di Jean Louis Schefer: «Questo anziano signore ci insegna che il cinema non esiste: non c’è vocabolario, non ci sono costrizioni, si può inventare tutto ». A dispetto dei suoi 96 anni, de Oliveira si è presentato in piena forma a ricevere il Leone d’Oro. «Grazie per il calore dei vostri applausi - ha detto alla platea che lo acclamava con una standing ovation - è una grande soddisfazione aver fatto film che sono stati capiti». A consegnare il premio, accanto al presidente della Biennale Davide Croff, il direttore della fotografia di molti film del maestro portoghese Renato Berta, che ha anche ricordato un aneddoto della sua esperienza con lui. «Sul lavoro riesce a vedere proprio tutto - ha sottolineato - e un giorno si è anche accorto di un armadio che avevo spostato di 10 centimetri per migliorare un’inquadratura». Il suo ultimo film è dedicato a un’utopia del Cinquecento che può ancora parlare al nostro tempo. È il mito del Re Sebastiano, teatralmente riproposto nel film «Il quinto impero. Ieri come oggi», presentato fuori concorso alla Mostra. Un’utopia di armonia universale che ritorna ossessiva nella storia - rileva il regista portoghese - trovando le sue ultime incarnazioni nell’Onu e ora nell’Unione Europea. E un desiderio reso ancora più attuale dalla «violenza atavica» ricomparsa nel nostro tempo («Il mondo sembra vittima di un ritorno al Medioevo» - dice il maestro). Ma quello del giovane re portoghese, morto da giovane sul campo nella storica sconfitta di Alcacer-Quibir del 1578 è anche un mito trasposto nella cultura islamica. È il mito del re "Atteso" alla nascita e poi del re "Nascosto" dopo la morte, di cui si aspetta messianicamente il ritorno perché sconfigga per sempre il male del mondo e stabilisca la pace e l’armonia tra i popoli. «Un mito e un’utopia fondati sulle radici religiose dell’Europa Cristiana», sottolinea de Oliveira, ricordando l’attenzione che gli è stata riservata anche da pensatori del Novecento come Pessoa.

Giorello:
Prometeo, Ulisse, Gilgameš

Corriere della Sera 12.9.04
L’ANTEPRIMA
Il Prometeo tecnologico e l’Ulisse di Dublino Come si trasforma la funzione del mito
di GIULIO GIORELLO

Anticipiamo un brano dal libro di Giulio Giorello «Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del mito», in uscita da Raffaello Cortina (pagine 250, 19,80) che viene presentato oggi a Mantova.

Prometeo libera la roccia cui è incatenato, Ulisse viaggia attraverso i suoi nomi, Gilgameš si realizza nello spettacolo delle sue mura. Si tratti di un dio, di un uomo o di un essere in parte dio e in parte uomo, le figure del mito calcano la scena del mondo, diverse e pur sempre identiche nel loro «discorso». Non si risolvono in un repertorio cui possiamo liberamente attingere. Piuttosto, dispongono del loro (e del nostro) destino, provocando la loro (e la nostra) metamorfosi.
Così, si dichiara prometeica la filosofia della natura da Isaac Newton a Erasmus Darwin - nel doppio scatenamento del Titano offerto da Percy Bysshe e da Mary Wollstonecraft Shelley; si popola di bloody men (ma anche women ) la Dublino di James Joyce, tra chiacchiere, inganni ed eroici furori, mentre un'improbabile Fenice spicca il volo su vetri infranti e muratura crollante. La figura dell'eterno viandante è insieme «ognuno e nessuno». Così essa ricompare all'inizio dei Cantos di Ezra Pound, colui che sperimenterà sulla propria pelle quanto si assomigliano «il prigioniero e il morto».
Con l'urto del tempo hanno a che fare nel mito gli dei ancor prima degli uomini.
«L'unico Dio, giacché ha fatto ogni cosa, colui che dal fango ha plasmato l'uomo: questo è il vero Prometeo». Ma l'antico Prometeo resta nel suo agire inesplicabile. Lo Shelley del Prometeo liberato non ha avuto tema di accostarlo all'arbitrio di Zeus. E la Shelley del Prometeo moderno lo incarna nel Victor Frankenstein ossessionato dalla conoscenza e bramoso di passare alla storia come benefattore di un nuovo genere umano.
Il gesto prometeico si è risolto in una creazione mancata, la sua metis ha partorito un inferno interiore (mai «il mutamento era stato così improvviso, la sconfitta così totale»). All'inferno è però condannata anche la Creatura: la «sua disumana bruttezza la rendeva quasi intollerabile alla vista». Non solo a quella degli altri, ma anche alla propria.
Non diversamente dagli uomini che nelle Opere e i giorni Esiodo descrive come coloro che si lasciano ingannare dalla speranza, la Creatura lascia «vagare i pensieri, liberi dal controllo della ragione, nei campi del Paradiso».
La Creatura, che all'inizio era piuttosto un Adamo, la cui unica colpa è quella d'essere smisurato e deforme, comincia ad assumere, sul modello del Prometeo liberato di Percy Bysshe Shelley, i contorni del vero Prometeo moderno . E come ogni Prometeo, lancia la sua maledizione: «Maledetto il giorno in cui ho ricevuto la vita! Maledetto creatore! Perché hai dato forma a un mostro così orrendo che persino tu lo rifuggi disgustato?».
La morte verrà da quel mostro che ora ama ripetere: «il mio potere è assoluto». Annientato Frankenstein, con «ardore triste e solenne» la Creatura promette al capitano, testimone di una tragedia non sua: «Salirò trionfalmente il mio rogo funebre ed esulterò nell'estrema sofferenza del tormento delle fiamme».
Col fuoco questo mito è cominciato; col fuoco termina, almeno all'apparenza. Mary Shelley nulla più ci dice di quel rogo funebre. La Creatura abbandona la nave per perdersi «lontano fra le tenebre». Ma può un dio dare la morte a se stesso? Potremmo sospettare di essere di fronte all'ennesima astuzia di quel «diavolo beffardo», capace non solo di sopravvivere al suo infelice creatore, ma di rivendicare orgogliosamente l'eredità di Prometeo. Del resto, nei film hollywoodiani la Creatura non ha finito per rubare a Victor il «terribile» nome?
La stella di Odisseo si rianima a nord del fiume Liffey. La sorte reca in serbo un nuovo periplo, confinato in un giorno e in una città. 16 giugno 1904, Eccles Street No. 7, Dublino: Ulisse di nome fa ora Leopold Bloom, mangia «con gran gusto le interiora di animali e di volatili», non disdegna «fette di fegato impanate» e «uova di merluzzo fritte» - ma, «più di tutto», ama «i rognoni di castrato alla griglia che gli lasciavano nel palato un fine gusto di urina leggermente aromatica». Come sempre, accarezza la gatta di casa e si congeda dalla moglie Molly per vivere la sua «odissea moderna»: procacciare inserzioni pubblicitarie. Sarà accolto e respinto. Conoscerà la seduzione delle Sirene e rammenterà quella di Calipso. Assisterà a un funerale al mattino e a un parto alla sera. Scamperà alla violenza dei Ciclopi irlandesi e troverà la sua Nausicaa sulla spiaggia di Sandymount. Sarà tra i porci nel bordello di Circe e nient'affatto inflessibile con i proci che ne insidiano il talamo..., per ritornare al sonno come uno stanco Sinbad il marinaio.
Nell'Ulysses di Joyce tale destino si traduce nella deformazione ironica della vicenda e della struttura dell'Odissea. «È l'epopea di due razze (Israele-Irlanda) e nel medesimo tempo il ciclo del corpo umano e anche la storiella di una giornata (vita)», scrive Joyce all'amico Carlo Linati.
I personaggi di Joyce sulla scia degli insegnamenti di Giordano Bruno ci hanno insegnato a guardare nell'anima buia del mondo. L'unica via è scoprire «che il corpo sta tutto nell'anima» come recita il canto CXIV di Ezra Pound . Siamo alla soglia del senso, ed essa comporta la rinuncia alla superstizione di qualsiasi creazione dal nulla.
«Non sono un semidio. Non riesco a dargli un senso» (CXVI).
Per il poeta occorre ri-costruire, ossia ri-vedere, dal momento che
«il senso c'è già
anche se le mie note non fanno senso».
Ed è in tale riscrittura che
«tutto è di nuovo "paradiso"
un paradiso tranquillo
sui frantumi».
Questo è l'unico possibile punto d'arrivo per il poeta che ha conosciuto la maledizione del campo di concentramento di Pisa. Colui che ha provato a costruire nel verso e nell'azione un paradiso terrestre e ora chiede perdono. Non occorre che l'umanità si agiti: piuttosto
«lascia parlare il vento
così è il paradiso».

la bellezza classica

La Stampa Tuttolibri 11.9.04
Addio bellezza classica Gli dei hanno abbandonato la Terra
Federico Vercellone

QUANDO si menzionano classici poco noti presso il grande pubblico sorge immediatamente un sospetto. Perché mai lo avranno messo da parte se è un classico e cioè qualcuno che dovrebbe poter dare conferma della propria attualità in ogni momento, sotto qualsiasi cielo? Si potrebbero intraprendere a questo proposito numerosi discorsi, tutti importanti e impegnativi a cominciare da quello circa l'appannarsi della tradizione culturale, non solo di quella propriamente classica. Nel caso di Karl Wilhelm Ferdinand Solger, figura eminente della cultura filosofica tedesca di età romantica e idealistica, collega di Hegel a Berlino a partire dal 1811 e da questi tenuto in alta considerazione, viene invece da pensare che la sua colpa sia l'indipendenza intellettuale che lo rende difficilmente catalogabile nelle grandi voci di repertorio come, per esempio, "romanticismo" e "idealismo". Solger è inoltre un autore non molto prolifico. Pubblica, in vita principalmente due opere, Erwin. Quattro dialoghi sul bello e sull'arte nel 1815, i Dialoghi filosofici nel 1817; i Dialoghi filosofici su essere, non essere e conoscere compaiono postumi. E' un autore chiave in questo periodo anche perché rielabora in termini consapevoli i grandi temi dell'estetica a lui contemporanea. Egli dialoga, oltre che con Hegel, con Kant, Schiller, Fichte, con la costellazione romantica per elaborare una posizione del tutto originale che fa di lui una sorta di ponte verso l'Ottocento maturo e non soltanto, ma anche verso l'estetica novecentesca. E' quanto testimonia Erwin recentemente comparso da Morcelliana nell'eccellente edizione italiana a cura Marco Ravera. Al centro della riflessione di Solger c'è un tema che consente di guardare molto in là nel tempo. Si tratta dell'ironia alla quale la considerazione della bellezza viene inestricabilmente congiunta. E' un tema che fu particolarmente caro anche alla prima generazione dei romantici tedeschi, con il quale si pongono le premesse della tradizione propriamente moderna, quella, per intenderci, che attraverso il realismo conduce all'avanguardia. Sull'ironia si fonda una poetica della creaturalità e del finito ben diversa da quelle ispirate dalle filosofie dell'idealismo che tendono a vedere nell'arte una diretta manifestazione dell'assoluto e del divino. Bisogna innanzitutto dire, in questo quadro, che Solger rifiuta la tradizione classicistica di una bellezza intesa come pienezza formale. Non abbiamo più dinanzi agli occhi il fulgore della bellezza classica, per la quale ogni divinità dell'Olimpo circoscrive una determinata sfera dell'essere. E' così che, per esempio, se a Poseidone competeva il dominio dei mari, ad Ares apparteneva invece l'universo del conflitto e della guerra, e ad Afrodite i territori di eros. Quest'ordine, che derivava da una partizione delle diverse sfere dell'essere, coincideva per il greco con la bellezza. Questo ci consente tra l'altro di vedere che già nell'antichità la bellezza ha un significato che si estende ben oltre la sfera dell'arte per contemplare un ambito che può a buon diritto definirsi come metafisico, nel quale in altri termini si rivelano l'ordine universale e le leggi eterne che lo regolano. La rivoluzione imposta dai romantici e poi in termini più compiuti da Solger rivela invece la prossimità essenziale dell'ideale moderno dell'arte con il cristianesimo. Anche in questo caso tuttavia, come per altro già avveniva con i Greci, l'arte non assolve semplicemente una funzione decorativa ma realizza ed esibisce un ordinamento dell'essere. Tuttavia non abbiamo più a che fare con una forma che integra armonicamente e senza sforzo i propri contenuti; si profila piuttosto un ideale della non continuità tra forma e contenuto. Ora l'assoluto e il divino hanno abbandonato la terra che può solo avere memoria di questo tragico distacco. E' un distacco che il cristianesimo vive come uno dei propri eventi essenziali attraverso la kenosis, quell'abbassarsi di Dio nelle vesti dell'umano così radicale da accogliere la morte come l'estremo di questo percorso. La forma - intesa sulla base di quest'esperienza fondamentale - deriva da una volontaria autolimitazione, da un tragico ritrarsi dell'assoluto. Essa è ciò che resta dopo questo ritrarsi della sostanza: un puro nulla, il nulla ironico dell'apparenza. E' anelito ed evocazione quello che viene così ad esprimersi, consapevolezza che l'arte così come l'essere nel suo insieme non coincidono con il loro ideale. Che cosa ha a che fare tutto questo con l'arte moderna? Molto, poiché per un verso se l'arte sa di non poter incarnare l'ideale essa si sente anche emancipata, finalmente libera di distogliere lo sguardo dagli spazi celesti per volgerlo verso il basso, e scoprire così la realtà senza la necessità di abbellirla o edulcorarla. Tuttavia non è soltanto la via verso il realismo quella che viene ad aprirsi in questo modo. A partire dall'ironia rintracciamo un cammino che ci guida ben oltre, sino all'avanguardia poetica del ’900, ad autori come Beckett e Paul Celan, i quali non riconoscono alla propria arte lo statuto della bellezza compiuta, ma le affidano la speranza del suo ritorno da una lontananza che si è fatta incommensurabile. Sono i classici del "nuovo" ideale dell'arte.

ipnosi

Gazzetta del Mezzogiorno 12.9.04
Osservati gli effetti dell'ipnosi nel cervello
Loredana Genovese

ROMA – L'ipnosi un trucco? Tutt'altro, è una tecnica che influenza l'attività del cervello disturbando centri superiori che controllano funzioni esecutive di alto livello. L'ha scoperto John Gruzelier, presso l'Imperial College di Londra, usando la risonanza magnetica funzionale per immagini (fRMI) per scrutare il cervello sotto effetto di ipnosi. Queste evidenze spiegano perché sotto ipnosi le persone fanno cose che non farebbero mai spontaneamente, ha spiegato lo psicologo nell'àmbito del festival organizzato in Gran Bretagna, a Exter, dall'Associazione britannica per il progresso delle scienze. Lo studioso ha osservato che il cervello funziona diversamente, avvalorando così la tesi che sostiene l'utilità dell'ipnosi in campo clinico, per esempio nella lotta al dolore. Il gruppo britannico è arrivato alla scoperta studiando un gruppo di ventiquattro volontari, dodici dei quali molto e dodici poco suscettibili all'ipnosi. Quindi gli psicologi hanno sottoposto le persone a un test cognitivo in condizioni normali e sotto ipnosi. Mentre i volontari svolgevano il test, gli psicologici osservavano l'attività del loro cervello con la fRMI, tecnica in grado di rilevare sia le aree cerebrali in attività, sia l'intensità del loro lavoro in tempo reale. I ricercatori hanno osservato così che, senza l'ipnosi, tutti i volontari risolvevano l'esercizio e il loro cervello non mostrava discrepanze di attività durante lo svolgimento della prova. Durante l'ipnosi, invece, le persone più suscettibili mostravano un'intensa attività nella regione del cervello chiamata «giro cingolato anteriore» e nel lato sinistro della corteccia prefrontale, rispettivamente implicate nella risposta agli errori e stimoli emotivi e nell'elaborazione di funzioni cognitive complesse. Le persone poco suscettibili all'ipnosi, invece, non mostravano differenze significative nell'attività cerebrale in questa seconda fase dell'esperimento. Secondo Gruzelier, è quindi evidente che sotto ipnosi il cervello ha bisogno di sforzarsi di più per risolvere lo stesso compito, indicando appunto che qualcosa di diverso avviene al suo interno. Si tratta della prima evidenza così forte e diretta dell'azione dell'ipnosi sul cervello, ha concluso lo studioso, e sarà da stimolo per ulteriori studi sulla possibilità di utilizzare l'ipnosi in campo clinico. Intanto, curare il dolore anche nei bambini viene ritenuto necessario dai pediatri che sono riuniti da ieri a Trieste in un convegno organizzato dell'Irccs. Soprattutto nel settore pediatrico bisogna non limitarsi alla terapia della malattia, ma passare anche alla cura del dolore dal momento che, oggi, grazie alle conquiste della ricerca e della medicina, non è accettabile che sul bambino avvenga alcuna procedura terapeutica dolorosa senza un'adeguata profilassi preventiva del dolore.

plasticità

Repubblica Salute
L'intervista
"Ecco come si rigenera il cervello"
Il professor Malgaroli racconta le tappe della rivoluzione in neurologia

E' il 1999 quando Elizabeth Gould e Charles Gross, neurobiologi all'Università di Princeton pubblicano sulla rivista "Science" la loro rivoluzionaria scoperta: il cervello continua a rigenerarsi anche negli adulti e ogni giorno ci sono migliaia di nuove cellule nervose. Queste migrano dal centro verso la superficie del cervello, la corteccia, sede delle funzioni cognitive superiori. Nel viaggio maturano e, giunte a destinazione, creano nuove connessioni. La scoperta smentisce la convinzione che il cervello si sviluppi sino a tre anni di età. Solo un anno dopo, su "Stroke" appare lo studio che dimostra, per la prima volta, la capacità di rimodellarsi del cervello degli esseri umani. La corteccia, se stimolata, è in grado di compensare la perdita di neuroni distrutti da un ictus.
Così l'americano Edward Taub apre la strada alle ricerche sulla "plasticità neuronale".
Questo ha rivoluzionato le prospettive terapeutiche e riabilitative, ma anche aperto la strada alla possibilità di tenere il cervello in allenamento, e quindi, alla stregua del lavoro muscolare, di ottenere effetti benefici, primo tra tutti il rallentamento dell'invecchiamento e della perdita delle facoltà cognitive. "E' stato osservato che la formazione lenta di grandi masse tumorali cerebrali possono non dare sintomi di malfunzionamento", racconta Antonio Malgaroli, direttore dell'Unità di Neurobiologia dell'Apprendimento, Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, "perché il cervello è in grado di compensare le funzioni perse".
Per alcune funzioni, pensiamo ad esempio alla coordinazione motoria in un ginnasta, esiste però un "periodo d'oro", in genere precoce, ed è la ragione per cui è possibile raggiungere l'eccellenza in talune attività solo se iniziate da piccoli. Ma sappiamo che è sempre possibile imparare cose nuove e creare nuove connessioni tra i neuroni e questo rallenta l'invecchiamento nervoso. Alla stregua di un bicipite quindi anche il cervello può essere tenuto in allenamento. "Ma dato che il cervello è contenuto in una scatola ossea e non può aumentare di dimensioni, le zone allenate si espandono a scapito di quelle vicine", continua Malgaroli, "in questo senso ogni allenamento è selettivo, ma ciò non deve indurre a pensare che sia uno svantaggio. Serve invece a contrastare l'effetto dannoso di alcuni fattori ambientali sui neuroni e alla base delle più comuni malattie degenerative nervose, come le demenze. Inoltre è chiaro che queste patologie devono colpire proprio i meccanismi alla base della plasticità: è proprio in questa direzione che si stanno dirigendo molte ricerche".
Se la maggior parte dei fattori alla base dell'insorgenza delle malattie nervose sono ambientali (traumi, inquinamento, infezioni) è intuitivo che farsi trovare preparati ad eventuali 'insulti' sia una ottima prevenzione. Così come un buon sistema immunitario ci protegge dalle aggressioni esterne, in maniera analoga un cervello ricco di neuroni e connessioni sarà meglio difeso da eventuali aggressioni o risponderà meglio alla fisiologica perdita dei neuroni più vecchi.
Che fare allora? Moltissimo, perché il 90% delle attività che noi compiamo ogni giorno vengono svolte dal cervello senza alcuno sforzo, in maniera automatica, pensiamo al camminare, guidare l'auto, parlare, eseguire compiti noti.
Diventa quindi fondamentale intraprendere di tanto in tanto delle attività completamente nuove, perché è proprio nella fase di apprendimento che il cervello si esercita al meglio. Malgaroli sottolinea e conclude: "La conferma definitiva grazie, come al solito, agli animali di laboratorio con tecniche di visualizzazione cerebrale "in vivo" che mostrano le nuove connessioni dopo particolari esercizi".
(j. r. m.)

«ma il papa... chi è?»

Cina, arrestati 23 preti il Vaticano protesta

CITTÀ DEL VATICANO - Protesta della Santa Sede per 23 arresti tra preti, vescovi e seminaristi avvenuti ad agosto in Cina. Per il portavoce vaticano Joaquin Navarro-Valls, «se è vero siamo di fronte, ancora una volta, ad una grave violazione della libertà di religione, che è un diritto fondamentale dell'uomo».