giovedì 6 gennaio 2005

crimini cattolici
la ricerca continua: che c'entri anche Montini, il futuro Paolo VI?

Corriere della Sera 6.1.05
Parigi scatta la caccia al documento originale


PARIGI - La stampa francese e internazionale ha dato ampio spazio al documento pubblicato dal Corriere della Sera sugli ordini di Pio XII trasmessi nel 1946 dal nunzio Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII. Ieri, Le Figaro ha affrontato la questione riassumendo l’articolo dello storico Alberto Melloni nelle pagine di cronaca nazionale e interpellando il gesuita Peter Gumpel, incaricato di istruire il processo di beatificazione di Pio XII, e lo storico e gesuita Pierre Blet. Tra i primi ad approfondire la notizia anche il quotidiano cattolico La Croix che ha pubblicato un ampio articolo il 3 gennaio, facendo intervenire padre Jena Dujardin, ex segretario del Comitato Episcopale per le relazioni con il giudaismo, ed altri storici. Il documento è stato ripreso anche dall’agenzia France Presse , dalla Reuters e dall’Agenzia di stampa internazionale cattolica Apic , che ha sede in Svizzera, oltre che dal settimanale israeliano Haaretz , l’esclusiva del Corriere ha fatto il giro del mondo aprendo un dibatto internazionale.

«La direttiva vaticana sui bambini ebrei battezzati rischia di scatenare un uso giudiziario della storia»
di Dario Fertilio


Tira una brutta aria, un’aria di tempesta, intorno all’affaire Pacelli . Ma poi, perché identificarlo soltanto con Pio XII? Le ultime rivelazioni sulla direttiva vaticana alla chiesa francese, riguardo i bambini ebrei battezzati da non restituire alle famiglie, chiamano in causa anche l’allora nunzio a Parigi, Angelo Giuseppe Roncalli. E ancora, come escludere che le polemiche si arrestino di fronte al mito del Papa Buono? La catena dei sospetti potrebbe ragionevolmente allargarsi e coinvolgere altri: persino l’allora massimo responsabile della diplomazia vaticana, Giovanni Battista Montini. Ma in ogni caso, è questa «brutta aria» che preoccupa più di tutto lo studioso cattolico Giorgio Rumi. E per «brutta aria» intende il rischio che si metta in moto una specie di «nuova Inquisizione» anticattolica, una macchina processuale volta ad ottenere comunque, in ogni caso, una qualche forma di condanna.
L’articolo dello storico Daniel Jonah Goldhagen, pubblicato l’altro ieri dal Corriere della Sera, culminava in un durissimo atto d’accusa a Pacelli, nella richiesta di istituire una commissione internazionale per giudicare tutta la vicenda, e, in sostanza, nell’invito a interrompere qualsiasi processo di beatificazione in corso, almeno fino a quando non sia stata accertata la verità.
Se non che, ora, la prospettiva si presenta un po’ differente. Infatti, l’ affaire si è messo in moto quando lo storico Alberto Melloni ha rivelato, sempre sul Corriere, l’esistenza della direttiva vaticana, avallata da Pio XII, che riguardava i bambini ebrei da confermare nella fede cattolica. Ma se noi ora scopriamo di avere a disposizione soltanto una sintesi in francese, vergata da Angelo Giuseppe Roncalli, su che si basano le accuse rivolte a Pio XII?
«Questo strano caso finisce a coda di topo - sostiene Giorgio Rumi - dal momento che si reggeva principalmente sull’atto d’accusa di Goldhagen». Perché è vero, secondo Rumi, che l’innesco dell’incendio risale alla pubblicazione del documento scoperto da Melloni; però è stato Goldhagen a trasformare la scoperta del documento in una vera e propria requisitoria, con tanto di bollo d’infamia «criminale» impresso sulla memoria di Pacelli.
E dunque? La lista dei «cattivi» si allunga. «Prima Pacelli, del quale si dice che avrebbe in ogni caso avallato il famoso documento, benché non ne esistano prove. Poi Roncalli, in quanto suo esecutore materiale. Domani, non ci sarebbe da stupirsi se si arrivasse a un terzo "criminale", cioè Giovanni Battista Montini, con la motivazione che, nella sua qualità di massimo responsabile della diplomazia vaticana, non avrebbe potuto non sapere quel che stava accadendo...».
[...]

Erika

Corriere della Sera 6.1.05
AL BECCARIA DI MILANO
Il legale: anche Erika può chiedere di uscire
La ragazza condannata a 16 anni ha ottenuto il diploma di geometra e ora sta pensando di iscriversi all’università
di Cristina Marrone


«Si apre uno spiraglio, anche per Erika si vede un orizzonte diverso. Possiamo sperare di ottenere il permesso di uscire dal carcere anche per lei, anche solo per qualche ora». L’avvocato Mario Boccassi, legale di Erika De Nardo, condannata in via definitiva a 16 anni per aver massacrato a coltellate la mamma e il fratellino, decide di non sbilanciarsi. Non vuole dire in modo esplicito che chiederà anche per la ragazza un permesso premio, ma di certo la decisione di mettersi in contatto con gli educatori del carcere minorile di Milano Cesare Beccaria, dove Erika è rinchiusa dal 24 febbraio 2001, lascia intendere che l’idea è proprio quella. «Ho provato subito a chiamare al Beccaria, ma è un prefestivo, gli psicologi che si occupano di Erika non c’erano. Voglio parlare con loro, capire meglio come sta andando il percorso di recupero della ragazza». La notizia del permesso concesso a Omar viene accolta con grande speranza anche dal papà di Erika, l’ingegner Francesco De Nardo che mai, neppure per un momento, ha abbandonato la figlia. Si divide tra le visite al cimitero di Novi Ligure, dove riposano la moglie Susi e il figlio Gianluca e quelle alla figlia, in carcere. Due volte alla settimana: il mercoledì e la domenica, come prevede la legge perché dice «io rappresento il suo futuro». «Non possiamo escludere che anche noi faremo la stessa mossa dei legali di Omar - aggiunge l’avvocato Boccassi - ma ora dobbiamo studiare tutto con attenzione, procedere con prudenza».
Erika ha saputo dai telegiornali che il suo ex fidanzato Omar potrà finalmente lasciare il carcere, anche solo per qualche ora. E in lei si è riaccesa la speranza. Pochi mesi fa si è diplomata geometra, seguendo i corsi all’interno del Beccaria. Ora sta meditando se iscriversi all’Università. Anche per lei ad aprile, quando compirà 21 anni, scatterà il trasferimento in una struttura per adulti. E tutto diventerà un po’ più complicato. Ma in molti le stanno dando una mano per prepararsi al passaggio al mondo degli adulti. Con il padre anche il cappellano don Gino Rigoldi. «Sta meglio Erika, sta elaborando tutto quello che è successo» dicono gli operatori Con una lettera aveva chiesto perdono alla mamma e al fratellino. Ora il suo destino è in mano proprio agli educatori che fanno muro intorno a lei: «Tutta questa pubblicità le ha fatto male, noi la dobbiamo proteggere».

anche Al Ahram contro le mutilazioni femminili

Corriere della Sera 6.1.05
L’Egitto rompe il tabù: no all’infibulazione
Dossier del grande giornale Al Ahram sulle mutilazioni femminili: «L’Islam è contrario»
di Cecilia Zecchinelli

IL CAIRO (EGITTO) - «Solo cinque anni fa parlarne era tabù, praticarla era normale tra la gente, la sua diffusione era sottovalutata dall’élite, perfino molte femministe la ignoravano. Come non esistesse. E oggi, oggi sta succedendo qualcosa che avrei pensato irrealizzabile».
Chi parla è Moushira Khattab, diplomatica egiziana e capo del Consiglio nazionale per l’infanzia e la maternità (governativo), che da anni combatte soprattutto su un fronte: contro quello che giudica il nemico numero uno di donne e bambine africane e arabe, musulmane e cristiane, perfino ebree e animiste, ovvero la mutilazione genitale femminile o «Mgf» come viene chiamata dagli esperti. Praticata in molti Paesi in forme più o meno estreme, dalla cliteridectomia parziale o totale fino all’infibulazione. Al tema - e questa è parte della novità - il più grande quotidiano in lingua araba, l’egiziano Al Ahram , dedica ora un dossier, in vendita per pochi centesimi da domenica prossima con il giornale e a firma di un autorevole erudito islamico. Titolo: «La circoncisione delle donne dal punto di vista dell’Islam» del dottor Salim Al Awaa. Una trentina di pagine - sette domande e relative risposte, più una serie di citazioni di prestigiosi sheikh - dove si dimostra l’infondatezza di tale pratica in base alle fonti islamiche classiche (Corano e detti del Profeta) e si arriva anzi a condannarla perché «fondata solo su tradizioni popolari contrarie alla salute fisica e psichica della donna, la cui sessualità è ammessa dal Corano ». Anche dal punto di vista della legge islamica, conclude Al Awaa, può quindi essere tranquillamente vietata.
«È una prima assoluta, un giornale diffuso in centinaia di migliaia di copie, un po’ l’equivalente egiziano del Corriere , che porterà in tutte le famiglie del Paese il chiaro messaggio che l’Islam, così come il Cristianesimo o qualsiasi religione, non ha nulla a che fare con tutto questo» commenta da Bruxelles Emma Bonino, anche lei impegnata da tempo nella battaglia contro la «circoncisione femminile» per usare il termine più popolare ma più ambiguo, poiché crea confusione con la pratica che l’Islam (come l’ebraismo) impone per obbligo ai maschi.
«Ma le novità non si fermano qui - continua Bonino, residente al Cairo da anni -. Tv e altri media egiziani parlano di questo tema sempre più spesso e apertamente e dall’Egitto la battaglia si è allargata a tutta la regione. Dalla Conferenza del Cairo del giugno 2003 le cose si sono mosse velocemente». È da quell’incontro, voluto fortemente dall’europarlamentare italiana e dalla diplomatica egiziana, che l’attenzione del mondo si è concentrata con forza sulla «Mgf», a cui era dedicato. Rappresentanti della società civile e dei governi di 28 Paesi in cui la mutilazione è diffusa (soprattutto Africa centrale e orientale, qualche nazione araba ma non quelle del Golfo dov’è sconosciuta, l’Europa dove la «Mgf» è arrivata con gli emigrati) avevano dibattuto e confrontato dati e strategie, sotto l’egida di Suzanne Mubarak, moglie del presidente egiziano, e con la benedizione delle massime autorità religiose del Paese: sheikh Tantawi, grande imam di Al Azhar, e papa Shenuda III, patriarca copto.
Un successo insperato: lo stesso sheikh Tantawi era apparso alla tv nazionale condannando con parole inequivocabili la «circoncisione femminile». E le delegate africane avevano espresso un’invidia benevola per l’Egitto e le sue inedite aperture. «In realtà - ricorda Khattab - dopo pochi mesi, da quasi ogni Paese era arrivata la richiesta di materiale e presenza a conferenze sull’argomento, l’intera regione ha rotto il tabù». Ed Emma Bonino aggiunge che proprio la ministra del Kenya Lina Kilimo, che aveva lamentato al Cairo il proprio isolamento nel governo kenyota per la battaglia contro le «Mgf», era riuscita a organizzare la grande conferenza che si è tenuta a Nairobi lo scorso settembre. «A quella seguiranno già a inizio febbraio l’incontro di Gibuti e a maggio la conferenza in Mali, Paesi finora poco disposti a parlare dell’argomento - dice Bonino -. Tutto questo fa sperare bene per il Protocollo di Maputo, firmato due anni fa dai capi di Stato e di governo africani, che sancisce in modo ampiamente progressista i diritti delle donne, compreso quello all’integrità del proprio corpo. Sono necessarie le ratifiche di 15 Stati perché il protocollo entri in vigore, siamo arrivati a sei: se resistiamo in un anno o poco più è fatta. Dobbiamo andare avanti».
Resistere, quindi, e continuare a combattere insieme ai governi occidentali, alle organizzazioni multinazionali come Unione Europea, Nazioni Unite, Organizzazione mondiale per la sanità, alle società civili del Nord e del Sud del mondo, a Ong e associazioni. Perché, anche se il vento è cambiato, la battaglia è tutt’altro che vinta. Ancora oggi si parla di almeno 100-130 milioni di donne e ragazze che hanno subito mutilazioni genitali, con due milioni ogni anno di nuovi casi ad aggiornare la lista e con livelli di escissioni più o meno gravi ed estese, a seconda delle regioni. «Ma in realtà dati precisi non ci sono - dice Khattab -. In Egitto qualcuno parla dell’80% e più delle ragazze e delle donne a cui è stata imposta: credo sia un dato esagerato, nella classe media urbana non è diffusa da tempo, ma è vero che ancora oggi ci sono vecchi nei villaggi, medici e imam che difendono la "Mgf", la spacciano per precetto religioso o virtù sociale quando è solo un orrore e quando esiste già un decreto ministeriale che la vieta penalmente e prevede la prigione per chi la pratica». Come Emma Bonino, Moushira Khattab è comunque abbastanza ottimista: «Un sondaggio recente mostra che il 52% degli adolescenti egiziani, maschi e femmine, è contrario alla circoncisione delle ragazze. Una volta, solo pochi anni fa, nessuno avrebbe avuto il coraggio di dirlo. Magari in buona fede, non l’avrebbe nemmeno pensato».

Cina

Repubblica 6.1.05
Un miliardo e trecento milioni sulla Terra uno su 5 è cinese
E la demografia diventa una risorsa per il boom economico
In realtà sarebbero già almeno 200 milioni in più: molti gli immigrati nelle città e i bambini non registrati
Nell'era della delocalizzazione possedere un'immensa quantità di lavoratori è un vantaggio
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI


PECHINO - L'ufficio statistico centrale di Pechino lo annuncia con certezza: proprio questo 6 gennaio la popolazione della Cina raggiunge la cifra tonda di un miliardo e 300 milioni. Anche senza contare l'esercito dei cinesi della diaspora, emigrati da generazioni nel sud-est asiatico o nelle Chinatown occidentali, oggi più di un essere umano su cinque è cinese, e il mandarino è di gran lunga la lingua più parlata nel mondo, con una diffusione molto superiore all'inglese. Nonostante il controllo delle nascite l'aumento degli abitanti nella nazione più popolosa del pianeta si stabilizzerà solo fra trent'anni. La Cina prevede la «crescita zero» solo quando avrà raggiunto il miliardo e mezzo.
Un singolare «giallo» statistico circonda l'annuncio ufficiale di oggi. Secondo molti esperti, sia occidentali che cinesi, il censimento demografico sottovaluta la dimensione della popolazione. In realtà i cinesi potrebbero essere addirittura 200 milioni in più. È la stima a cui giungono alcuni demografi americani e la Cia, usando vari indicatori tra cui il consumo totale di grano e riso. Il professor Xu Jin, direttore dell'Istituto di studi sulla popolazione all'Accademia delle Scienze sociali di Pechino, ammette che «il censimento è sicuramente difettoso, perché nelle aree rurali molte coppie di contadini non rispettano la regola del figlio unico, e quindi hanno interesse a non rivelare la vera dimensione del nucleo familiare». La sua collega He Qinliang, una economista della provincia dello Hunan, ha scritto di recente un saggio sulla rivista del partito comunista "Problemi e Ideologia", per denunciare il fatto che nelle campagne i leader chiudono un occhio sulla nascita del secondo o terzo figlio in cambio di bustarelle: «I villaggi dove i dirigenti di partito hanno le case più belle sono quelli dove il controllo delle nascite non funziona».
Un'altra fascia di popolazione che almeno in parte sfugge al censimento sono gli immigrati poveri che lasciano le campagne e vanno a lavorare in città senza un regolare permesso di residenza, quindi in una semi-clandestinità. Se fosse vero che in realtà la Cina ha già raggiunto il miliardo e mezzo, osserva l'economista Oded Shenkar, «a quota 200 milioni i cinesi sommersi sarebbero da soli la quarta nazione più grande del mondo».
Anche a prendere per buone le statistiche ufficiali, la crescita demografica della Cina è comunque uno dei fenomeni che cambiano gli equilibri del pianeta. Ancora cinquant'anni fa la Cina aveva appena superato la soglia del mezzo miliardo, pesava tre volte e mezzo gli Stati Uniti e 12 volte l'Italia. Oggi la sua popolazione è il quintuplo di quella americana e 23 volte la nostra. Eppure mezzo secolo fa le dimensioni cinesi erano considerate un handicap. Si parlava di sovrappopolazione, di «bomba» demografica, si temeva che la Cina non sarebbe riuscita a sfamare tutte quelle bocche. Oggi invece il mondo guarda la Cina come una replica degli Stati Uniti del primo Novecento: un paese che ha davanti a sé un secolo di sviluppo, ed è destinato a diventare il nuovo centro dell'economia globale. Le sue dimensioni sono diventate un elemento di forza. Perché? Abbracciando il capitalismo dopo la morte di Mao i dirigenti di Pechino hanno accelerato la modernizzazione del paese: da un gigante contadino la Cina è diventata la «fabbrica del pianeta». Oggi se la sua agricoltura non produce abbastanza riso, la Cina lo compra sullo stesso mercato mondiale su cui vende jeans, scarpe e computer. La globalizzazione ha reso molto più facile e vantaggioso di una volta trasferire le fabbriche e le tecnologie nei paesi emergenti.
Nell'era della delocalizzazione, possedere una immensa forza lavoro diventa un vantaggio.
La Cina urbana - 520 milioni di persone - attira gli investimenti delle multinazionali occidentali, che pagano salari molto più alti del magro reddito dei contadini. Già oggi il ceto medio delle grandi città cinesi è il primo mercato mondiale di acquirenti di telefonini (310 milioni di abbonati), ha il più alto numero di accessi online con banda larga (32 milioni di "broadband" per 87 milioni di utenti Internet) ed è il quarto paese per il numero di personal computer nelle case.
La riserva di forza nascosta del dragone cinese è la sua popolazione rurale, che da sola supera gli abitanti di Europa e Stati Uniti messi assieme. «Il guadagno di un contadino - dice il demografo Xu Jin - non arriva a un terzo del più povero salario urbano. Perciò la spinta a emigrare verso le grandi città continuerà ad essere irresistibile. Ogni anno venti milioni di cinesi abbandonano definitivamente le campagne per cercare lavoro nelle zone più avanzate del paese. È un meccanismo di sviluppo che avete conosciuto: prima voi in Europa, poi gli Stati Uniti. Da noi però accade tutto su scala molto più grande, e in un'epoca in cui l'economia mondiale è più aperta e integrata. Grazie a questo serbatoio di manodopera a buon mercato, per almeno altri vent'anni avremo un vantaggio competitivo su di voi». La popolazione cinese si può considerare come la più grande «risorsa naturale» del pianeta. Il modo in cui verrà utilizzata, determinerà gran parte della storia del XXI secolo.
Uno dei grandi punti interrogativi riguarda tutte le altre risorse naturali necessarie per alimentare la crescita cinese. Questo paese deve mantenere più di un quinto della popolazione mondiale su una superficie che è solo poco più grande degli Stati Uniti. Le terre arabili a sua disposizione sono ancora più ridotte: sul suo territorio la Cina ha appena il 7% della superficie coltivabile del pianeta, il 3% delle foreste, e il 2% del petrolio. Il 94% degli abitanti si affollano nella Cina del sud-est - dove si concentrano sia le megalopoli del boom economico, sia le terre fertili - mentre aree immense dal Tibet alla Mongolia interna sono quasi deserte. Grazie a uno sviluppo vorticoso, la Cina ha valuta pregiata in abbondanza per comprare materie prime all'estero, ma i suoi bisogni insaziabili mettono a dura prova gli equilibri ambientali del pianeta. Appena dieci anni fa la Cina non importava neppure una goccia di petrolio, nel 2004 è diventata il secondo importatore mondiale e incalza gli Stati Uniti. Oggi la Cina ha dieci milioni di auto private, nel 2020 saranno 120 milioni. Le riserve petrolifere mondiali, e l'ossigeno nell'atmosfera che respiriamo, non sono illimitati.

una ricerca britannica!

Corriere della Sera 6.1.05
Per i maschi vale invece la regola contraria. Un’altra ricerca: più figlie femmine per le single
«Le più intelligenti si sposano meno»
Studio inglese: le donne brillanti non trovano uomini abbastanza interessanti
DAL NOSTRO INVIATO


LONDRA - Meglio nascere donna, al giorno d’oggi. O è meglio nascere uomo? La scienza, in questo inizio di 2005, non aiuta granché a rispondere al dubbio che ci portiamo dietro almeno dai tempi della rivoluzione femminista: anzi, un paio di rapporti recenti aggiungono al dilemma tutta l’incertezza dei tempi. In uno si sostiene che le donne, quando sono intelligenti, si sposano poco mentre gli uomini, a parità di quoziente intellettivo, si sposano di più. E già qui è difficile orientarsi. Ma un secondo studio dice che queste donne single, se fanno un figlio, è probabile che sia una bambina. Andiamo dunque verso un mondo sempre più femminile? Forse. Ma è una cosa buona più per l’uomo o per la donna? Gli scienziati delle università di Edimburgo, Glasgow, Aberdeen, Bristol hanno preso, 40 anni fa, 900 persone dei due sessi e hanno misurato il loro Quoziente di intelligenza (Qi). Ora sono tornati a verificare sul campo chi si è sposato e chi no.
Il risultato è questo: ogni 16 punti di Qi in più, c’è il 35% in meno di probabilità che una donna si sposi; ogni 16 punti di Qi in più, c’è il 40% di probabilità in più che un uomo si sposi. Per verificare, gli scienziati hanno analizzato anche i guadagni delle 900 persone, supponendo che ci sia qualche relazione fra intelligenza e posizione sociale. Risultato: l’88% degli uomini nella fascia di reddito più alto sono sposati, contro l’80% della fascia di reddito più bassa; mentre per le donne il rapporto è rovesciato, con l’82% di coloro che guadagnano di più sposate rispetto all’86% di quelle nella fascia di reddito più basso.
Gli autori della ricerca, che sarà pubblicata dal Journal of Personality and Individual Preferences , assicurano che non è detto che siate una sciocca se siete sposata o uno zuccone se siete scapolo. Paul Brown, uno psicologo dell’Università di Nottingham, ha detto al Sunday Times che, più semplicemente, «le donne hanno scoperto che gli uomini non sono abbastanza interessanti». Ma altri pensano che i maschi, anche quelli più brillanti, temano le femmine intelligenti. «E’ vero che gli uomini non vogliono donne più intelligenti di loro - sostiene Christine Northam, una psicologa della società Relate -. Se una donna non è una sfida, la loro sicurezza ci guadagna».
Le donne intelligenti, dunque, si sposano meno proprio perché sono intelligenti o perché non trovano uomini intelligenti come loro disposti a correre il rischio di sposarle? E gli uomini intelligenti si sposano di più giusto perché sono tali oppure perché trovano donne abbastanza intelligenti da sopportarli? «E’ una domanda difficile - dice Brown -. Le donne vogliono l’indipendenza, ma siamo tutti legati al volere anche una relazione. Il paradosso della posizione postfemminista è come creare un sistema sociale in cui sia l’indipendenza sia l’interdipendenza prosperino». Sempre l’onda femminista, insomma.
Il secondo studio è stato effettuato da Karen Norberg del National Bureau of Economic Research di Cambridge, Massachusetts. Analizzando i dati di 60 mila famiglie americane, ha scoperto che le coppie che vivono assieme (non importa se sposate) hanno figli maschi nel 51,5% dei casi, mentre le donne single danno alla luce maschi solo nel 49,9% delle situazioni. La differenza può sembrare piccola, ma è statisticamente molto rilevante. Qui, le ragioni sono più difficili da accertare: nemmeno Darwin, che già aveva notato la tendenza, è di aiuto. Una teoria incrocia spermatozoi e desiderio sessuale femminile. Quest’ultimo è massimo due o tre giorni prima dell’ovulazione, quindi si può sospettare che una donna single abbia rapporti sessuali più spesso in quel momento. Ma gli spermatozoi XY, quelli che danno vita a un maschio, sono forti però hanno una vita corta, per cui potrebbero non arrivare vivi al giorno dell’ovulazione; quelli XX, che danno vita a una femmina, sono più lenti, ma vivono 72 ore, per cui è più facile che arrivino a fecondare l’ovulo. Nel caso di coppie che coabitano, invece, è pensabile che i rapporti sessuali siano distribuiti in modo più uniforme, ragione per cui la percentuale di maschi tende a essere più alta (perché lo spermatozoo XY è più veloce), in media con quella che è la norma mondiale. Più che una certezza, questa è, in realtà, un’ipotesi: se così fosse, però, la questione posta da Rocco Buttiglione sui genitori single avrebbe conseguenze non da poco sugli andamenti demografici, oltre che sulla morale.
Come che sia, siamo diretti verso un mondo in cui le donne sono sempre più intelligenti (come l’altra metà della terra), coabitano meno e, quindi, quando diventano madri danno alla luce una femmina. Un mondo delle donne? Solo se riusciranno anche a trovare marito.