lunedì 25 agosto 2003

in un "paginone" sull'Unità di oggi Alberto Crespi: The dreamers di Bertolucci e Buongiorno, notte di Marco Bellocchio, a Venezia

Unità 25.08.2003
dossier / La mostra del cinema


Ci siamo: sta per iniziare la Mostra 2003.
Attenzione, perché segna una nuova stagione del cinema italiano.
Targata da due maestri:
Bernardo Bertolucci e Marco Bellocchio

«I sognatori» e «Buongiorno notte»: l'impegno si intreccia con l'educazione sentimentale

Bertolucci esplora il Maggio francese attraverso lo sguardo di tre ragazzi. Bellocchio riscrive il sequestro e la morte dello statista Dc

Un documentario di Stefano Incerti racconta la lavorazione del film su Moro. Ma anche la vita vissuta del regista dei «Pugni in tasca»


Venezia, Buongiorno ai Sognatori
di Alberto Crespi


«Lottavano così come si gioca / i cuccioli del Maggio, era normale / loro avevano tempo anche per la galera / ad aspettarli fuori rimaneva / la stessa rabbia, la stessa primavera».
Premessa: siamo convinti da anni che Fabrizio De André sia non solo un cantante, ma un «intellettuale di riferimento» - bruttissima espressione, ma serve a capirsi -, uno di quegli artisti che fanno intravvedere, dietro note e parole, un paese, un’epoca, e il sentimento di quel paese e di quell’epoca.

Ebbene, i versi d’apertura - l’introduzione al disco Storia di un impiegato, 1973 - tengono insieme, per uno di quei miracoli che succedono solo al cinema, i due film più attesi di Venezia 2003: The Dreamers - I sognatori di Bernardo Bertolucci e Buongiorno notte di Marco Bellocchio. De André parla ovviamente del Maggio francese, del ‘68, che un impiegato italiano osserva da lontano, affascinato e frustrato («Eppure i miei trent’anni / erano pochi più dei loro / ma adesso basta, adesso torno al lavoro!»): ebbene, Bertolucci ha girato un film proprio su quei giorni, mentre si intitola Stessa rabbia stessa primavera un bellissimo documentario di Stefano Incerti sul film di Bellocchio; documentario, per altro, co-prodotto dalla Elleu e dalla Filmalbatros e che sarà a Venezia nella sezione Nuovi Territori.

Bertolucci parla quindi direttamente, in prima persona, del «joli mai», della rivolta studentesca che bruciò i boulevard parigini nel ‘68 (fermando, per inciso, anche il festival di Cannes, dove i giovanotti della Nouvelle Vague bloccarono le proiezioni: Jean-Luc Godard, maestro riconosciuto di Bertolucci, tagliò con gesto dadaista lo schermo del Palais).

Bellocchio riscrive invece, con lo stile intenso e onirico che ci ha folgorati nell’Ora di religione, il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro (lo statista è Roberto Herlitzka, Luigi Lo Cascio è un brigatista che chiaramente allude - i baffi! - a Mario Moretti, Maya Sansa è la carceriera, liberamente ispirata alla Braghetti): siamo 10 anni dopo, nel ‘78, ma nel documentario di Incerti si capisce che le radici sono quelle, che «nei primi mesi del ‘68 - è Bellocchio che parla - gli slogan avevano una purezza, esaltavano l’immaginazione, la fantasia; contestavano tutto ciò che era vecchio, polveroso, ipocrita.

Purtroppo, nell’anno successivo i giovani hanno deciso di organizzarsi in vecchie formule di partito, non hanno saputo moltiplicare la fantasia che rivendicavano nel ‘68; non hanno fatto il salto mortale, si sono chiusi in forme vecchie, soffocanti»
. Forme che un decennio dopo avrebbero partorito la buia stagione del terrorismo.

Le confessioni di Marco

Stefano Incerti, regista del Verificatore e di La vita come viene, è stato chiamato a girare il «dietro le quinte» di Buongiorno notte con un preavviso minimo: «Non conoscevo Bellocchio e ho conquistato la sua fiducia con la discrezione. Dopo le riprese, ho girato una lunga intervista con lui nella Galleria d’Arte Moderna di Roma, a Valle Giulia, là dove il ‘68 - almeno il ‘68 romano - è iniziato. Lì, Marco si è confessato. Ha raccontato tutto il suo percorso politico, dai Comunisti Italiani in poi. Ha parlato del suo gemello, suicida proprio alla fine del ‘68. Credo che, andando al di là del film, lo abbiamo messo in un contesto che fa di lui, del suo cinema, un pezzo di storia italiana».

Infatti la cosa che sorprende, mettendo a raffronto il documentario di Incerti e il film di Bertolucci, è l’irruzione del Privato nel Politico, e non viceversa. The Dreamers racconta l’educazione - sentimentale, sessuale, politica e soprattutto cinefila! - di un ragazzo americano che si trova a frequentare la Cinémathèque di Parigi proprio nei giorni in cui il ministro Malraux vorrebbe chiuderla, cacciando il mitico direttore Henri Langlois. La rivolta per vedere gli amati film americani diventa la Rivolta tout court: il ragazzo conosce dentro la Cinémathèque (nelle prime file, dove si siedono i cinefili veri) due gemelli francesi, un ragazzo e una ragazza; va a vivere da loro approfittando della vacanza dei loro genitori, e il triangolo - più psicologico che erotico - diventa anche la spinta a tuffarsi nella Storia che scorre nelle strade, fra i giovani che gridano «ce n’est qu’un debut», è solo l’inizio.

Anche Bellocchio, nel documentario di Incerti, mescola quasi inconsapevolmente i due livelli: «Io ho avuto un’educazione cattolica - racconta -, sia pure senza fede, quella è un dono che non ho... e dopo il successo del mio primo film, I pugni in tasca, mi sono trovato in una situazione moralmente difficile. Non mi sentivo degno della fama, né del film... e mi sono rifugiato in un impegno politico radicale. Poi c’è stato il suicidio del mio fratello gemello. Lui era rimasto a Piacenza, dopo essersi laureato in educazione fisica, dentro l’inferno familiare del quale io mi ero liberato andando a Roma, facendo il film. La disperazione per la sua morte si è trasformata in senso di colpa». Bellocchio ha elaborato il lutto in Gli occhi, la bocca, ma certo questo dramma privato spiega molte cose di tutto il suo cinema successivo.

Bellocchio & Bertolucci. Piacenza e Parma. Gli anni ‘60. Un abbozzo di Nouvelle Vague italiana che poi non si è realizzata perché non c’era il senso di un «movimento» e le personalità erano troppo forti per collaborare. È molto affascinante che Venezia 2003 sia un’occasione di incontro per i due cineasti più importanti di quella stagione. In fondo hanno vissuto due vite parallele: quasi coetanei (li separano poco più di 4 mesi, Bellocchio è del 9 novembre 1939, Bertolucci del 16 marzo 1940), sono stati la coscienza inquieta della loro generazione e di tutte le successive, nonché di una sinistra capace di vivere sulla propria pelle i dubbi e le lacerazioni dagli anni ‘60 in poi. Diversi, certo. Politicamente: extraparlamentare Marco, Pci ortodosso - almeno ai tempi di Novecento, ma anche dopo - Bernardo.

«Uccisore» della famiglia (sullo schermo, per carità!) Marco, patriarcale Bernardo anche nel rapporto con il padre poeta Attilio e il fratello regista Giuseppe. Ma con tanti punti in comune. Gli inizi, appunto, nei primi anni ‘60. Prima esordisce Bertolucci con La commare secca del ‘62, in qualche modo «regalatogli» da Pasolini del quale era stato assistente sul set di Accattone: lo stesso Pasolini che qualche anno dopo li paragonò, parlando per Bertolucci di cinema/poesia e per Bellocchio di cinema/prosa.

In un certo senso il vero, personalissimo esordio di Bertolucci è Prima della rivoluzione, 1964: ricordarlo dopo aver saputo del gemello di Bellocchio è quasi inquietante, perché nel film il giovane Fabrizio, borghese di Parma il cui nome richiama Stendhal, entra in crisi dopo il suicidio di un amico e non riesce a ribellarsi alle costrizioni familiari. Siamo ancora, appunto, «prima della rivoluzione», perché la vera rivoluzione che si abbatte come un ciclone sul cinema italiano di quegli anni è il debutto di Bellocchio, I pugni in tasca, del 1965. Sembra quasi che Marco faccia proprie le frustrazioni del film di Bernardo e le risolva in un disperato grido, pieno di odio e di pudore, contro l’istituzione-Famiglia e tutta la sovrastruttura borghese-cattolica che domina l’Italia del dopoguerra. La cosa incredibile è che lo fa, parola sua, quasi in stato di trance: «Vivevo in una sorta di bozzolo. Non avevo mai subito violenze fisiche, né mio padre né mia madre mi avevano mai sfiorato con una sberla... ma avevo evidentemente subito una violenza dell’assenza, dovuta anche alla perdita di mio padre quando ero molto giovane, che ha per così dire innescato la bomba dei Pugni in tasca.

Ma io non capivo. Non capivo che un giovane che ammazza la mamma e il fratello era, per l’Italia moralista di quel tempo (anche a sinistra!), una provocazione dirompente»
. D’altronde, è storia: Bellocchio è talmente «travolto» dal film, talmente bisognoso di uno sguardo esterno e lucido, che affida il montaggio a Silvano Agosti. Il quale, pur firmandosi Aurelio Mangiarotti (sì, il nome del campione di scherma), dà un contributo decisivo a un’opera prima il cui impatto emotivo ha pochi eguali nella storia del cinema.

Cineasti che indicano la via

Da lì in poi, Bellocchio e Bertolucci sembrano alternarsi nella funzione di leader, di cineasta che «indica la via»: Bernardo prende il testimone fra il ‘70 e il ‘72, quando prima Il conformista, poi Ultimo tango a Parigi scuotono il mondo, del cinema e non, dandogli una fama e una dimensione internazionali che non sono più venute meno.

Marco firma però (assieme a Silvano Agosti, Stefano Rulli e Sandro Petraglia) un’opera fondamentale nel ‘75, quel Matti da slegare che è una pietra miliare dell’antipsichiatria e del cinema italiano non-fiction, proprio mentre l’amico-rivale sta girando il kolossal Novecento.

Se Ultimo tango aveva sconvolto la morale nei primi anni ‘70, Diavolo in corpo ci mostra nell’86 la prima «fellatio d’autore» del nostro cinema, a sottolineare una cosa che i due hanno in comune, quasi come in un Dna collettivo: la fusione fra Eros e politica, il valore rivoluzionario della pulsione sessuale (in questo, The Dreamers è veramente il film figlio di Ultimo tango, una sorta di «Primo tango», visto lo slancio vitale e l’età dei protagonisti). Comune è anche la curiosità religiosa: Bellocchio ha narrato la propria non-fede in quel capolavoro che è L’ora di religione, Bertolucci ha indagato territori «altri», magari esotici ma sicuramente sentiti, nel Piccolo Buddha.

Stessa rabbia, stessi sogni

Anche Stefano Incerti ci segue nel paragone: «Non è un caso che entrambi sentano il bisogno di raccontare anni in cui c’erano passioni forti, in cui davvero si lottava per un mondo migliore - parlo degli anni ‘60, chiaro, dei quali i brigatisti rossi sono in un certo senso figli degeneri. E non è un caso che questo bisogno sia tanto forte oggi, quando l’ideologia “seria”, che combatte per degli ideali, è molto sopita. In fondo ci dicono che bisogna ancora lottare per cambiare; del resto viviamo in una contingenza politica così paradossale, così grottesca, che l’ansia di miglioramento è praticamente obbligatoria. E chi fa cinema dovrebbe essere sempre all’opposizione. Anche quando c’è un governo che ci piace. Figuriamoci oggi».

Bellocchio chiude Stessa rabbia stessa primavera con l’auspicio che i movimenti no-global «alimentino una speranza che sia comunque radicale, perché non possiamo limitarci a tenere in vita questo capitalismo». Bertolucci chiude The Dreamers con una molotov gettata contro i poliziotti, mentre la chitarra di Jimi Hendrix urla in colonna sonora. A 63 anni compiuti, entrambi non hanno perso la rabbia e credono ancora nella primavera.

nella stessa pagina dell'Unità del 25.8:
Venezia rosso shocking
Dal '68 al caso Moro passando per la strage di Portella: sul Lido delle star soffia il vento del cambiamento
di al.c.


Anche quest'anno la destra al potere avrà di che stizzirsi: la Mostra di Venezia sembra architettata da un commando no-global. Scherziamo, ma solo in parte: almeno la pattuglia italiana è all'insegna della politica, della rilettura storica, della scoperta di angoli inquietanti dell'Italia di ieri e di oggi. Per questo ci siamo divertiti a titolare Venezia rosso shocking, citando lo squinternato titolo italiano di un thriller diretto nel 1973 da Nicolas Roeg.

A Venezia un dicembre rosso shocking si chiamava in originale Don't Look Now, «adesso non guardare»: titolo che potrebbe diventare lo slogan del ministro Urbani e di tutti gli intellettuali di riferimento della Cdl, che non citiamo non perché manchi lo spazio, ma perché nessuno, tantomeno noi, sa chi siano.

Breve riassunto per chi non ha letto (beati loro!) i giornali d'agosto: l'Italia è in concorso con Buongiorno notte di Marco Bellocchio, sul caso Moro, e con Segreti di Stato di Paolo Benvenuti, che rilegge la storia di Salvatore Giuliano e la strage di Portella della Ginestra, sostenendo alla luce di nuovi documenti il coinvolgimento degli americani (sul film si sta addensando la polemica perché pare che i documenti, almeno in parte, non siano così nuovi: sarebbero contenuti nei libri dello storico Giuseppe Casarrubea, pubblicati da Franco Angeli e forniti a Benvenuti dallo stesso Casarrubea che poi è stato «tagliato» dai titoli del film: vedere intervista di Alessandra Levantesi sulla «Stampa» di venerdì 22). È poi sempre «politicissimo» il lavoro di Daniele Ciprì e Franco Maresco, anche quando mettevano in scena peti & rutti negli anfratti della vecchia Raitre (la gloriosa Cinico Tv): Il viaggio di Cagliostro è in lizza a Controcorrente, il concorso numero 2. Quasi superfluo aggiungere che, soprattutto nella sezione Nuovi Territori, abbonderanno film e documentari italiani schierati nell'unico, vero partito «trasversale» rimasto, quello della documentazione rabbiosa e pervicace delle brutture del Belpaese (d'altronde a Nuovi Territori passò l'anno scorso il film collettivo sull'11 settembre, procurando ai registi coinvolti e al curatore della sezione Serafino Murri le stroncature preventive di giornali illuminati, come «Il foglio»).

E infine, ciliegina sulla torta, Bertolucci: che ritorna nella Parigi di Ultimo tango per raccontare il Maggio '68, mescolando (l'ha sempre fatto) impegno politico, pulsioni erotiche e sogni esistenziali. E anche qui, la stampa di destra ha già cominciato il tam-tam: bella roba i comunisti sessantottini, pensano solo a fornicare. Fosse invidia?

Di tali film «sovversivi» parliamo in questo inserto. Naturalmente a Venezia c'è molto altro. Sulla carta il programma è stimolante, nonostante assenze pesanti come Altman, Campion, Tarantino, Wong Kar-Wai. Film non pronti, o partiti per altri lidi. Moritz de Hadeln, raggiunto telefonicamente nei giorni convulsi della vigilia, ci ha confessato sornione un unico rimpianto: il film di fantascienza League of Extraordinary Gentlemen, «perché contiene una scena in cui Venezia viene distrutta». Capita l'antifona?

"Signor de Hadeln, quale sarà il paese-rivelazione di Venezia 2003? «Un paese lontano e poco conosciuto: l’Italia». Così il direttore della Mostra, intervistato pochi giorni prima dell’apertura.(...)"

IL FILM DI MARCO BELLOCCHIO SARA' PROIETTATO A VENEZIA NELLA SALA GRANDE GIOVEDI' 4 SETTEMBRE, ALLE 20
LA CERIMONIA DELLA PREMIAZIONE DI SABATO 6 SETTEMBRE, ANCORA IN SALA GRANDE, AVRA' INIZIO ALLE 19.00 (ingresso per inviti)