Repubblica.it 20.12.04
Fausto Bertinotti non fa marcia indietro e replica a Fassino
"No a compensazioni che sanno di vecchia politica"
"Se i partiti boccciano Vendola
si aprirà la crisi dell'alleanza"
di GOFFREDO DE MARCHIS
ROMA - Segretario Bertinotti, Fassino propone alcune soluzioni per il rebus-regionali. La prima: usiamo il criterio più semplice scegliendo il candidato che ha le maggiori chance di vittoria.
"Diciamo subito che quando noi indichiamo Vendola per la Puglia, pensiamo che abbia tutte la carte in regola per battere Fitto. Le scelte però vanno fatte anche in nome del pluralismo altrimenti ci pieghiamo alla logica dei sondaggi. E seguendo la logica dei sondaggi Lula non avrebbe mai corso per la presidenza del Brasile, cioè non sarebbe oggi il presidente del Brasile. Affidarsi esclusivamente ai sondaggi significa la morte della politica. Bisogna sempre far valere il progetto politico".
Altra strada indicata da Fassino nell'intervista a Repubblica: non è detto che chi non prende un governatore oggi non abbia un incarico nelle giunte domani. In parole povere, assessorati e vicepresidenze.
"È una proposta che non prendo in considerazione. Sa di vecchia politica. Intendiamoci, non ho nessun atteggiamento di fastidio verso la composizione delle forme di governo, ma sono lontano dalla politica dello scambio o della compensazione".
Al vertice di oggi quindi lei va con la candidatura di Vendola per la Puglia.
"Non vedo una sola ragione per rinunciare alla candidatura di Vendola. E al vertice ci sarò con la forza di questa posizione. So che è un passaggio molto impegnativo. Investe il nostro modo di fare politica, che non è la politica dei ricatti, ma chiede di sapere se esiste o meno uno spirito di coalizione, di dare valore a tutte le esperienze della società, al rapporto tra la coalizione e la società civile. Non riconoscere questi argomenti significa mettere in crisi le forme di rappresentanza, la stessa capacità democratica della coalizione. In questo senso registro alcuni segnali preoccupati: il disagio di Michele Santoro, l'esperienza dei girotondi che sentono il bisogno di tornare in piazza. Sulle regionali si misura la capacità del centrosinistra di fare davvero un'alleanza. E un'alleanza veramente democratica".
Vendola è gay. Esclude un pregiudizio sessuale sul suo nome?
"È evidente che nella Grande Alleanza Democratica questo è un argomento indicibile. Ma spero che non sia un pensiero recondito di qualcuno".
Funziona la mediazione di Prodi?
"C'è uno scambio di opinioni, ma la candidatura di Vendola è un punto, come dire, non mediabile, è un problema che ha una sola soluzione, non dodici".
Qualcuno nel centrosinistra comincia ad affacciare l'ipotesi che Rifondazione non sia poi molto cambiata dal '98, che sapete solo sfasciare.
"Non l'ho sentito dire da nessuno, anzi tutti sostengono che la nostra candidatura è pienamente legittima, che è una buona candidatura. Se qualcuno dicesse quello che riporta lei ci troveremmo di fronte a una forma davvero eccessiva di arroganza: noi subiamo l'ostracismo di alcuni e poi veniamo accusati di essere quelli che vogliono sfasciare".
Se Vendola perde le primarie pugliesi, accetterete l'esito della consultazione?
"Il criterio base delle primarie è 'una testa un voto'. E dà a ogni elettore che sia interessato alla coalizione di centrosinistra, la possibilità di esprimere una preferenza. Tutto il resto, assemblee o platee di grandi elettori, sono 'secondarie' anziché primarie. Un corpo intermedio della democrazia, un elemento importante ma non decisionale".
Quanto influiscono gli equilibri del prossimo congresso di Rifondazione nella battaglia per Vendola?
"Nessuna influenza, zero assoluto. Sono passati tre anni dal precedente congresso di Rifondazione e non sono cambiati gli equilibri nei gruppi dirigenti rispetto ad allora. La maggioranza autosufficiente in cui io sto, ha sempre avuto lo stesso rapporto numerico con le minoranze interne e in tre anni ha avviato la collaborazione con il movimento, ha fatto lo strappo con lo stalinismo, ha scelto la strada della non violenza. Quello che voglio dire è questo: la Gad pensi alla sua consistenza, che al mio congresso ci penso io".
Cosa succede se Vendola viene bocciato dai partiti della Gad?
"Se avvenisse una cosa del genere, sarebbe la manifestazione della crisi dello spirito della coalizione, che è la precondizione perché una coalizione esista. E segnerebbe una crisi"
Corriere della Sera 20.12.04
Il Prc insiste: in Puglia deve correre uno di noi
[...]
Bertinotti: candidato premier, ora chiedo io le primarie
Il leader di Rifondazione: mi viene voglia di sfidarli. I Ds temono l’offensiva della sinistra radicale
di Francesco Verderami
ROMA - Le Regionali sono un problema per Prodi, ma stanno per diventare un problema anche per Fassino. Perché Bertinotti ha visto la mossa con cui sottrarsi allo scacco, ed è pronto a giocarla. Sa di non poter rompere l’intesa con il centrosinistra per una candidatura a «governatore», ma non può cedere ai diktat degli alleati, né assoggettarsi a quella dinamica nell’alleanza che ricorda tanto l’Ulivo del ’96, e in cui si è sentito ingabbiato alla convention di Milano. Così, sul nome di Vendola in Puglia, nei giorni scorsi aveva issato un muro. Il Professore se n’era reso conto quando ha tentato di ammorbidirlo, esponendosi come garante in vista degli accordi futuri: «Chiedimi qualsiasi cosa, Fausto, sul programma o su altro. Scrivimelo su un pezzo di carta, e io m’impegno fin da adesso, personalmente. Però troviamo una soluzione per uscire dai pasticci». Il leader del Prc era stato inflessibile: «Mi spiace Romano, ma non accetto compensazioni». Il nodo era politico, e politicamente andava sciolto. Non è stato Prodi ma Fassino a cercare di chiudere il contenzioso, rilanciando le primarie in Puglia per scegliere chi, tra il diellino Boccia e il comunista Vendola, sarà il candidato a «governatore» per la Gad. Bertinotti è propenso a lavorare attorno a questa opzione, «ma devono essere primarie vere, non quelle preparate da D’Alema». Il punto non è se il presidente dei Ds - che si muove da dominus nella regione - accetterà l’ipotesi di compromesso a cui si oppone. Il punto non è nemmeno se le primarie si svolgeranno prima o dopo le feste natalizie, se si allargherà il numero di attori, se verranno coinvolti cioè la società civile, gli iscritti e i militanti di centrosinistra.
Dietro questa mossa si cela piuttosto la controffensiva del capo di Rifondazione, che ha un congresso difficile da gestire con un partito in ebollizione. Ed è chiaro che il confronto in Puglia vedrà vincente l’esponente della Margherita. Ma sarà l’evento, non il suo epilogo, a garantire la vittoria di Bertinotti. Così facendo, verrà introdotto infatti il principio delle primarie, che per la prima volta daranno vita a un duello tra un rappresentante dell’area riformista e uno della sinistra radicale. Boccia contro Vendola sarà un test match in vista dello scontro tra Prodi e Bertinotti. E se il principio venisse introdotto a livello locale, sarebbe impossibile negarlo poi su scala nazionale. Ecco cosa pensa il segretario del Prc, che ai suoi ha rivelato la prossima mossa: «Mi viene voglia di sfidarli, e li sfideremo con le primarie per il candidato premier. Stavolta sarò io a chiederle».
Insomma, il sacrificio di un alfiere varrà bene uno scacco. È evidente che, se Bertinotti sfiderà Prodi, diverrà il punto di riferimento della sinistra radicale, schiaccerà i cespugli che militano nella Gad e minaccerà il fianco sinistro dei Ds, fino a sfondarlo. Se Bertinotti muoverà la richiesta ufficiale, la Quercia entrerà in fibrillazione, e Fassino - che in vista del congresso sta evitando di andare in rotta di collisione con D’Alema - dovrà trovare il modo per stoppare le primarie. Con Prodi, di fatto, c’era riuscito, posticipando l’evento al giugno del 2005, quasi trasferendolo su un binario morto. Con il capo del Prc sarà un altro discorso e, a quel punto, anche il Professore dovrà accettarle, anzi chiederle con forza: d’altronde non era stato lui a proporle?
Così il centrosinistra si approssima ai vertici di oggi. Nel fine settimana c’è stato un giro vorticoso di telefonate e non erano auguri natalizi. La lista unitaria della Fed, tanto cara a Prodi ma non a Fassino né a Rutelli, potrebbe veder la luce in Liguria, Veneto e Lombardia. Difficile che i Dl dicano sì per le Regioni del Sud, così come i Ds per quelle rosse. Quanto alla Gad, non è un caso se il socialista Boselli - fedele interprete del pensiero prodiano - inviti a prender tempo per le scelte sulle regionali. Perché, oltre al nodo Bertinotti, c’è anche il nodo Mastella da sciogliere. E’ ormai chiaro che nessuno dei due otterrà un candidato «governatore», e se il capo del Prc ha pronta la mossa per uscire dallo scacco senza rompere l’alleanza, il leader dell’Udeur minaccia invece di mollarla. Può accettare Mastella delle «subordinate» al posto della Basilicata? Pare di no, a sentire ciò che ha detto ai suoi dopo un colloquio con Prodi: «Romano galleggia, mentre gli altri decidono al posto suo. Io gliel’ho detto che questa partita di veti incrociati è un modo per farlo fuori. Parisi l’ha capito, lui mi sembra di no».
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»
L'ASSOCIAZIONE CULTURALE
lunedì 20 dicembre 2004
donne nella storia
altre notizie su Cleopatra
La Stampa 20.12.04
TESTI ARABI MEDIEVALI RISCRIVONO LA STORIA DELLA REGINA D’EGITTO
Scienziata e architetto
Ecco la vera Cleopatra
E' una «picconata» a uno dei miti più saldi della storia antica, quella che l'egittologo Okasha El Daly sferra sulla base di testi arabi medievali finora sconosciuti. Come vi siete sempre immaginati Cleopatra? Potente regina d'Egitto, bella, seducente, oltre che «mangiatrice» di uomini, come ci hanno tramandato la storiografia romana e la successiva letteratura occidentale (basta pensare a Shakespeare); e poi lucida e coraggiosa suicida quando ridotta a trofeo in catene. Nossignori, niente di tutto questo. Cleopatra era bella sì, anche se le monete dell'epoca non le fanno completamente giustizia; era potente, era intrigante. Ma soprattutto era una donna coltissima. Anzi, una valente scienziata: autrice di opere mediche, chimiche e filosofiche, architetto di illustri monumenti oggi scomparsi, figura centrale di un consesso di esperti d'ogni scienza che una volta la settimana amava raccogliere a corte attorno a sé.
Dimentichiamo Claudette Colbert ed Elizabeth Taylor, dimentichiamo Antonio e Cesare, dimentichiamo l'aspide che si studia nei testi delle elementari ed entriamo nella storia vera, suggerisce El Daly. Lui lo fa consultando scrittori medievali che, a suo dire, avevano avuto accesso diretto a descrizioni di prima mano della sovrana egiziana e forse anche a testi scritti da Cleopatra stessa. Testi che, ovviamente, non esistono più, probabilmente distrutti nell'incendio che ridusse in cenere la prestigiosa biblioteca di Alessandria; ma che attraverso quei cronisti medievali ritrovano la luce del sole in un impegnativo volume - «Egittologia: il millennio mancante, l'antico Egitto nelle scritture arabe medievali» - che sarà pubblicato a gennaio a Londra dalla University College Press.
La più antica di quelle testimonianze porta la firma di Al-Masudi, che prima di morire nell'anno 956 scrisse nella sua opera «Muruj», a proposito di Cleopatra VII regina d'Egitto: «Era una saggia, una filosofa che si collocava al livello dei migliori studiosi e che amava la loro compagnia. Scrisse libri di medicina, di bellezza e di cosmesi, oltre a numerosi altri libri a lei attribuiti e ben noti a chi pratica la medicina». Fonti arabe, in quella che ha tutta l'aria di essere una riconquista del personaggio di Cleopatra dopo la «profanazione» romana, le attribuiscono l'invenzione di una formula per combattere la calvizie e studi notevolmente approfonditi - per quell'epoca - in fatto di ginecologia. Scrittori antichi come Ibn Fatik e Ibn Usaybiah, raccolti da El Daly, indicano addirittura esperimenti svolti da Cleopatra per determinare lo sviluppo del feto umano durante la gravidanza. Una conferma di questa tesi viene da Lisa Schwappach, curatrice in California del Rosicrucian Egyptian Museum: «Che Cleopatra fosse perlomeno coinvolta nello studio della medicina è testimoniato dal suo sostegno del tempio di Hathor, a Dendera, dove in particolare le donne convergevano alla ricerca di cure fisiche e mentali. Cleopatra aveva avuto a palazzo una preparazione scientifica, senza dubbio incoraggiava gli scienziati e con loro discuteva scoperte e pensieri. Da uguale: non in quanto loro sovrana, ma perché competente nelle loro rispettive materie».
Che Cleopatra fosse colta è senz'altro comprensibile: per stirpe e lignaggio, per esigenze di palazzo. Ma «illustre scienziato»? «Occorre interpretare la storia», afferma El Daly: «Tutte le nostre conoscenze di Cleopatra avevano finora origine dalla tradizione romana, che la vedeva quindi con gli occhi del nemico. I romani la detestavano e la disprezzavano, quindi avevano ogni interesse a ritrarla come nulla più di una reginotta sexy».
In un'intervista a una stazione radio olandese, e poi al canale televisivo «Discovery», l'autore del nuovo libro ha anche sottolineato il ruolo di Cleopatra come architetto ad Alessandria; e cita a questo proposito scrittori medievali come Al-Bakri, Yaqut, Ibn Al-Ibri, Ibn Duqmaq e Al-Maqrizi, i quali espressero la loro ammirazione per certi progetti edilizi messi a punto dalla sovrana. Progetti, va subito detto, da regina: colossali, splendidi, travolgenti. Il più antico libro arabo che citi Cleopatra, una storia dell'Egitto opera del vescovo egiziano Giovanni di Nikiou, afferma addirittura che le costruzioni della regina ad Alessandria erano «della sorta che non si è mai vista prima». Un altro storico arabo, Ibn Ab Al-Hakam, attribuisce a Cleopatra addirittura una delle più grandi strutture del mondo antico, il faro di Alessandria, considerato una delle sette meraviglie del mondo: «Non semplicemente un faro in grado di guidare le navi verso il porto - afferma Al Daly - ma un magnifico telescopio, con un gioco di enormi lenti che potevano essere utilizzate anche per dare fuoco alle navi nemiche che minacciavano la città». Una colta e capace cultrice di Archimede, quindi, che a Siracusa aveva aperto la via dei raggi solari come arma in guerra.
Ma soprattutto, afferma Al Daly, Cleopatra era un'alchimista di grande fama. «Inventò uno strumento per analizzare i liquidi. E non era la sola: ho raccolto ampie prove che molte donne, nell'antico Egitto, avevano una cultura scientifica e prestavano opera nel campo della medicina». Chissà se furono proprio quest'intelligenza e questa cultura, perlomeno insolita per l'epoca, a conquistare prima Antonio e poi Cesare. Resta a questo punto una domanda senza risposta: perché un'alchimista di così chiara fama, se proprio voleva uccidersi, doveva ricorrere al brutale morso di un'aspide?
TESTI ARABI MEDIEVALI RISCRIVONO LA STORIA DELLA REGINA D’EGITTO
Scienziata e architetto
Ecco la vera Cleopatra
Secondo le ricerche dello storico Okasha El Daly la sovranadi Fabio Galvano
era autrice di opere mediche e chimiche. Scrisse anche
apprezzati trattati di alchimia e disegnò colossali progetti edilizi
E' una «picconata» a uno dei miti più saldi della storia antica, quella che l'egittologo Okasha El Daly sferra sulla base di testi arabi medievali finora sconosciuti. Come vi siete sempre immaginati Cleopatra? Potente regina d'Egitto, bella, seducente, oltre che «mangiatrice» di uomini, come ci hanno tramandato la storiografia romana e la successiva letteratura occidentale (basta pensare a Shakespeare); e poi lucida e coraggiosa suicida quando ridotta a trofeo in catene. Nossignori, niente di tutto questo. Cleopatra era bella sì, anche se le monete dell'epoca non le fanno completamente giustizia; era potente, era intrigante. Ma soprattutto era una donna coltissima. Anzi, una valente scienziata: autrice di opere mediche, chimiche e filosofiche, architetto di illustri monumenti oggi scomparsi, figura centrale di un consesso di esperti d'ogni scienza che una volta la settimana amava raccogliere a corte attorno a sé.
Dimentichiamo Claudette Colbert ed Elizabeth Taylor, dimentichiamo Antonio e Cesare, dimentichiamo l'aspide che si studia nei testi delle elementari ed entriamo nella storia vera, suggerisce El Daly. Lui lo fa consultando scrittori medievali che, a suo dire, avevano avuto accesso diretto a descrizioni di prima mano della sovrana egiziana e forse anche a testi scritti da Cleopatra stessa. Testi che, ovviamente, non esistono più, probabilmente distrutti nell'incendio che ridusse in cenere la prestigiosa biblioteca di Alessandria; ma che attraverso quei cronisti medievali ritrovano la luce del sole in un impegnativo volume - «Egittologia: il millennio mancante, l'antico Egitto nelle scritture arabe medievali» - che sarà pubblicato a gennaio a Londra dalla University College Press.
La più antica di quelle testimonianze porta la firma di Al-Masudi, che prima di morire nell'anno 956 scrisse nella sua opera «Muruj», a proposito di Cleopatra VII regina d'Egitto: «Era una saggia, una filosofa che si collocava al livello dei migliori studiosi e che amava la loro compagnia. Scrisse libri di medicina, di bellezza e di cosmesi, oltre a numerosi altri libri a lei attribuiti e ben noti a chi pratica la medicina». Fonti arabe, in quella che ha tutta l'aria di essere una riconquista del personaggio di Cleopatra dopo la «profanazione» romana, le attribuiscono l'invenzione di una formula per combattere la calvizie e studi notevolmente approfonditi - per quell'epoca - in fatto di ginecologia. Scrittori antichi come Ibn Fatik e Ibn Usaybiah, raccolti da El Daly, indicano addirittura esperimenti svolti da Cleopatra per determinare lo sviluppo del feto umano durante la gravidanza. Una conferma di questa tesi viene da Lisa Schwappach, curatrice in California del Rosicrucian Egyptian Museum: «Che Cleopatra fosse perlomeno coinvolta nello studio della medicina è testimoniato dal suo sostegno del tempio di Hathor, a Dendera, dove in particolare le donne convergevano alla ricerca di cure fisiche e mentali. Cleopatra aveva avuto a palazzo una preparazione scientifica, senza dubbio incoraggiava gli scienziati e con loro discuteva scoperte e pensieri. Da uguale: non in quanto loro sovrana, ma perché competente nelle loro rispettive materie».
Che Cleopatra fosse colta è senz'altro comprensibile: per stirpe e lignaggio, per esigenze di palazzo. Ma «illustre scienziato»? «Occorre interpretare la storia», afferma El Daly: «Tutte le nostre conoscenze di Cleopatra avevano finora origine dalla tradizione romana, che la vedeva quindi con gli occhi del nemico. I romani la detestavano e la disprezzavano, quindi avevano ogni interesse a ritrarla come nulla più di una reginotta sexy».
In un'intervista a una stazione radio olandese, e poi al canale televisivo «Discovery», l'autore del nuovo libro ha anche sottolineato il ruolo di Cleopatra come architetto ad Alessandria; e cita a questo proposito scrittori medievali come Al-Bakri, Yaqut, Ibn Al-Ibri, Ibn Duqmaq e Al-Maqrizi, i quali espressero la loro ammirazione per certi progetti edilizi messi a punto dalla sovrana. Progetti, va subito detto, da regina: colossali, splendidi, travolgenti. Il più antico libro arabo che citi Cleopatra, una storia dell'Egitto opera del vescovo egiziano Giovanni di Nikiou, afferma addirittura che le costruzioni della regina ad Alessandria erano «della sorta che non si è mai vista prima». Un altro storico arabo, Ibn Ab Al-Hakam, attribuisce a Cleopatra addirittura una delle più grandi strutture del mondo antico, il faro di Alessandria, considerato una delle sette meraviglie del mondo: «Non semplicemente un faro in grado di guidare le navi verso il porto - afferma Al Daly - ma un magnifico telescopio, con un gioco di enormi lenti che potevano essere utilizzate anche per dare fuoco alle navi nemiche che minacciavano la città». Una colta e capace cultrice di Archimede, quindi, che a Siracusa aveva aperto la via dei raggi solari come arma in guerra.
Ma soprattutto, afferma Al Daly, Cleopatra era un'alchimista di grande fama. «Inventò uno strumento per analizzare i liquidi. E non era la sola: ho raccolto ampie prove che molte donne, nell'antico Egitto, avevano una cultura scientifica e prestavano opera nel campo della medicina». Chissà se furono proprio quest'intelligenza e questa cultura, perlomeno insolita per l'epoca, a conquistare prima Antonio e poi Cesare. Resta a questo punto una domanda senza risposta: perché un'alchimista di così chiara fama, se proprio voleva uccidersi, doveva ricorrere al brutale morso di un'aspide?
storia contemporanea
il sommergibile russo fu affondato dagli americani
La Stampa 20.12.04
Il sommergibile KURSK
Fu affondato dagli americani
corrispondente da PARIGI
CENTODICIOTTO ragazzi sono morti là sotto, centodiciotto famiglie aspettano una verità che non verrà mai e che potrebbe essere stata l'ultimo atto di una guerra più gelida che fredda. Un frammento di questa verità è forse nascosto dentro una piccola notizia, dieci righe appena, comparsa il 22 agosto 2000 sul sito web della Pravda. Una notizia che non è mai stata stampata sulla versione in carta del giornale e che nel mondo virtuale del web ha vissuto appena qualche ora. Un errore, un messaggio lanciato in bottiglia che più o meno diceva: «Sabato 12 agosto un incidente accaduto nel mar di Barents ha rischiato di dare il via alla terza guerra mondiale. Per alcuni giorni la pace è stata appesa a un filo e un passo falso politico avrebbe potuto dare il via a uno scambio di tiri nucleari... Fortunatamente l'incidente è stato risolto per via diplomatica...».
Erano i giorni del Kursk, il sottomarino nucleare russo paralizzato su un fondale ad appena cento metri di profondità con il suo carico di uomini e di misteri da un incidente che non s'è mai chiarito. Secondo la fugace notizia pubblicata online dalla Pravda, quel 22 agosto «il presidente della Federazione russa Vladimir Vladimirovic Putin e il presidente degli Stati Uniti d'America William Jefferson Clinton, dopo numerose e confidenziali conversazioni telefoniche, sono riusciti a negoziare una conclusione pacifica dell'affaire».
Ma qual era esattamente questo «affaire» che dopo due anni di indagini la procura russa ha chiuso con un ipocrita «non luogo»? Era che il Kursk non fu danneggiato dall'esplosione accidentale di uno dei suoi ordigni convenzionali, ma fu colpito da un siluro MK48 del sottomarino americano Memphis, che si trovava sul teatro delle esercitazioni organizzate dai russi anche per mostrare ai cinesi l'efficienza di uno dei loro ultimi gioielli: il siluro «Schkval» capace di viaggiare sott'acqua alla velocità fenomenale di 500 chilometri all'ora. Un'arma che gli americani, tuttora, non hanno. Ed è una delle terribili «meraviglie» di cui Putin si è vantato un mese fa di fronte al mondo.
Questa versione della vicenda del Kursk è il frutto di tre anni di indagini francesi, nate da quella notizia della Pravda e ora diventate un film inchiesta firmato dal regista Jean-Michel Carré, un veterano del genere. Il film sarà trasmesso da France Tv nei primi giorni dell'anno. L'abbiamo visto in anteprima e va detto che non c'è la prova definitiva di nulla (quale film può cambiare il corso della storia?) ma la ricostruzione di quegli incredibili e terribili dieci giorni in cui il mondo ha assistito dagli schermi delle tv all'agonia dei marinai russi è molto suggestiva. Vero o no che sia, c'è finalmente una spiegazione dell'incredibile comportamento di Vladimir Putin che non sia soltanto l'ottusa e secolare indifferenza del potere russo rispetto alla vita dei sudditi.
Putin era stata eletto da meno di sei mesi presidente della Russia, dopo la folgorante ascesa costruita sul sangue della seconda guerra contro la Cecenia. Era in vacanza a Soci, sul Mar Nero, quel giorno d'agosto, quando il ministro della Difesa Igor Sergheev lo avvertì che nel corso di un'esercitazione nel mare di Barents, al largo di Murmansk, il più sofisticato dei sottomarini nucleari russi, il Kursk, era affondato in avaria. Contro ogni aspettativa Putin decise di rimanere nella sua dacia. Di lì rifiutò ogni aiuto occidentale per tentare di salvare l'equipaggio. Sostanzialmente niente si mosse per una settimana. Sulle banchine di Murmansk le mamme dei ragazzi sepolti vivi sotto il mare piangevano e imploravano inutilmente gli ufficiali russi. Da Gran Bretagna e Norvegia arrivarono al Cremlino offerte di intervento con batiscafi e mezzi di recupero che i russi non avevano. Pallido e implacabile, Vladimir Vladimirovic non si spostò di un millimetro.
La vera scoperta di questa indagine francese è che alle manovre militari erano presenti i cinesi. Nessuno l'aveva mai detto. Nel film si vede un gruppetto di generali di Pechino che assistono alle esercitazioni assieme ai colleghi russi. Secondo la tesi del film, la presenza dei cinesi inquietava moltissimo gli americani che volevano impedire la ripresa di forniture militari di qualità da parte dei russi. E al centro di queste manovre c'era appunto il formidabile siluro «Schkval».
Pochi mesi prima, e cioè non appena Putin si era insediato al Cremlino, gli agenti del Fsb (ex Kgb, cioè la casa madre del neopresidente) avevano arrestato a Mosca l'uomo d'affari americano Edmond Pope, un ex dei servizi segreti dell'US Navy. Pope stava trattando i piani dello «Schkval» con il suo inventore, Anatoli Babkin. Una vicenda di cui si è parlato pochissimo e che nessuno ha mai collegato con il Kursk. La realtà è che Pope, condannato a vari anni di galera, è stato rimandato negli Stati Uniti poco dopo la conclusione dell'affaire del sottomarino.
Perché tanta generosità da parte di una équipe di comando russa che, a cominciare dal suo presidente, aveva in programma innanzitutto di superare l'anarchia e l'arrendevolezza degli anni di Eltsin nei confronti dell'ex nemico americano? Perché tutto faceva parte del «pacchetto Kursk».
Che cosa sarebbe accaduto, dunque, là sotto? Sarebbe accaduto questo: che mentre la Russia provava ed esibiva ai cinesi armi illegittime secondo i trattati, due sottomarini americani spiavano illegittimamente da vicino. Un incidente, o forse una reazione di difesa, ha fatto partire un siluro MK48 dotato di armamento convenzionale ma con la punta di uranio impoverito (che consente un'alta penetrazione nel metallo). Il Kursk s'è rivelato più vulnerabile del previsto, il siluro ha innescato due esplosioni interne e il più sofisticato dei sottomarini russi si è adagiato inerte sul fondo. Una prova di tutto ciò è il buco tondo e con le lamiere ripiegate verso l'interno che il film mostra sul relitto del Kursk. Inoltre, di resti dell'MK48 aveva parlato anche il giornale russo «Versija», subito perquisito e tacitato dal Fsb.
Il Memphis è rimasto anch'esso danneggiato in questo duello negli abissi e tra i due c'è stata pure una collisione. Il sottomarino americano fu poi fotografato qualche giorno dopo, in riparazione nella base norvegese più vicina al luogo dell'incidente. L'altro sottomarino, il «Toledo», è rientrato negli Stati Uniti anch'esso danneggiato e il New York Times, mesi dopo, ne ha raccontato la misteriosa avventura.
Insomma, sia Mosca che Washington avevano qualcosa da nascondere, Putin e Clinton hanno arrangiato le cose, nessuna traccia materiale di ciò sarà mai più reperibile perché il Kursk è stato ripescato, ma solo dopo essere stato svuotato dai preziosissimi «Schkval» e amputato della parte su cui era avvenuto l'incidente, che è stata fatta esplodere sul fondo del mare. Amen, per la ferraglia e per i centodiciotto ragazzi russi la cui agonia ha commosso il mondo. Un «samizdat» elettronico sulla Pravda online, erede di quelli che in tempi sovietici facevano arrivare in Occidente le denunce del dissidenti, ha forse svelato un po' di verità.
Il sommergibile KURSK
Fu affondato dagli americani
Alle manovre nel Mar di Barents erano presenti tecnici militaridi Cesare Martinetti
cinesi. Dovevano vedere il test del nuovo gioiello dell’arsenale di Mosca un siluro in grado di viaggiare sott’acqua alla velocità di 500 chilometri l’ora, un’arma che ancora oggi gli Usa non hanno. Clinton e Putin si accordarono per chiudere l’incidente
corrispondente da PARIGI
CENTODICIOTTO ragazzi sono morti là sotto, centodiciotto famiglie aspettano una verità che non verrà mai e che potrebbe essere stata l'ultimo atto di una guerra più gelida che fredda. Un frammento di questa verità è forse nascosto dentro una piccola notizia, dieci righe appena, comparsa il 22 agosto 2000 sul sito web della Pravda. Una notizia che non è mai stata stampata sulla versione in carta del giornale e che nel mondo virtuale del web ha vissuto appena qualche ora. Un errore, un messaggio lanciato in bottiglia che più o meno diceva: «Sabato 12 agosto un incidente accaduto nel mar di Barents ha rischiato di dare il via alla terza guerra mondiale. Per alcuni giorni la pace è stata appesa a un filo e un passo falso politico avrebbe potuto dare il via a uno scambio di tiri nucleari... Fortunatamente l'incidente è stato risolto per via diplomatica...».
Erano i giorni del Kursk, il sottomarino nucleare russo paralizzato su un fondale ad appena cento metri di profondità con il suo carico di uomini e di misteri da un incidente che non s'è mai chiarito. Secondo la fugace notizia pubblicata online dalla Pravda, quel 22 agosto «il presidente della Federazione russa Vladimir Vladimirovic Putin e il presidente degli Stati Uniti d'America William Jefferson Clinton, dopo numerose e confidenziali conversazioni telefoniche, sono riusciti a negoziare una conclusione pacifica dell'affaire».
Ma qual era esattamente questo «affaire» che dopo due anni di indagini la procura russa ha chiuso con un ipocrita «non luogo»? Era che il Kursk non fu danneggiato dall'esplosione accidentale di uno dei suoi ordigni convenzionali, ma fu colpito da un siluro MK48 del sottomarino americano Memphis, che si trovava sul teatro delle esercitazioni organizzate dai russi anche per mostrare ai cinesi l'efficienza di uno dei loro ultimi gioielli: il siluro «Schkval» capace di viaggiare sott'acqua alla velocità fenomenale di 500 chilometri all'ora. Un'arma che gli americani, tuttora, non hanno. Ed è una delle terribili «meraviglie» di cui Putin si è vantato un mese fa di fronte al mondo.
Questa versione della vicenda del Kursk è il frutto di tre anni di indagini francesi, nate da quella notizia della Pravda e ora diventate un film inchiesta firmato dal regista Jean-Michel Carré, un veterano del genere. Il film sarà trasmesso da France Tv nei primi giorni dell'anno. L'abbiamo visto in anteprima e va detto che non c'è la prova definitiva di nulla (quale film può cambiare il corso della storia?) ma la ricostruzione di quegli incredibili e terribili dieci giorni in cui il mondo ha assistito dagli schermi delle tv all'agonia dei marinai russi è molto suggestiva. Vero o no che sia, c'è finalmente una spiegazione dell'incredibile comportamento di Vladimir Putin che non sia soltanto l'ottusa e secolare indifferenza del potere russo rispetto alla vita dei sudditi.
Putin era stata eletto da meno di sei mesi presidente della Russia, dopo la folgorante ascesa costruita sul sangue della seconda guerra contro la Cecenia. Era in vacanza a Soci, sul Mar Nero, quel giorno d'agosto, quando il ministro della Difesa Igor Sergheev lo avvertì che nel corso di un'esercitazione nel mare di Barents, al largo di Murmansk, il più sofisticato dei sottomarini nucleari russi, il Kursk, era affondato in avaria. Contro ogni aspettativa Putin decise di rimanere nella sua dacia. Di lì rifiutò ogni aiuto occidentale per tentare di salvare l'equipaggio. Sostanzialmente niente si mosse per una settimana. Sulle banchine di Murmansk le mamme dei ragazzi sepolti vivi sotto il mare piangevano e imploravano inutilmente gli ufficiali russi. Da Gran Bretagna e Norvegia arrivarono al Cremlino offerte di intervento con batiscafi e mezzi di recupero che i russi non avevano. Pallido e implacabile, Vladimir Vladimirovic non si spostò di un millimetro.
La vera scoperta di questa indagine francese è che alle manovre militari erano presenti i cinesi. Nessuno l'aveva mai detto. Nel film si vede un gruppetto di generali di Pechino che assistono alle esercitazioni assieme ai colleghi russi. Secondo la tesi del film, la presenza dei cinesi inquietava moltissimo gli americani che volevano impedire la ripresa di forniture militari di qualità da parte dei russi. E al centro di queste manovre c'era appunto il formidabile siluro «Schkval».
Pochi mesi prima, e cioè non appena Putin si era insediato al Cremlino, gli agenti del Fsb (ex Kgb, cioè la casa madre del neopresidente) avevano arrestato a Mosca l'uomo d'affari americano Edmond Pope, un ex dei servizi segreti dell'US Navy. Pope stava trattando i piani dello «Schkval» con il suo inventore, Anatoli Babkin. Una vicenda di cui si è parlato pochissimo e che nessuno ha mai collegato con il Kursk. La realtà è che Pope, condannato a vari anni di galera, è stato rimandato negli Stati Uniti poco dopo la conclusione dell'affaire del sottomarino.
Perché tanta generosità da parte di una équipe di comando russa che, a cominciare dal suo presidente, aveva in programma innanzitutto di superare l'anarchia e l'arrendevolezza degli anni di Eltsin nei confronti dell'ex nemico americano? Perché tutto faceva parte del «pacchetto Kursk».
Che cosa sarebbe accaduto, dunque, là sotto? Sarebbe accaduto questo: che mentre la Russia provava ed esibiva ai cinesi armi illegittime secondo i trattati, due sottomarini americani spiavano illegittimamente da vicino. Un incidente, o forse una reazione di difesa, ha fatto partire un siluro MK48 dotato di armamento convenzionale ma con la punta di uranio impoverito (che consente un'alta penetrazione nel metallo). Il Kursk s'è rivelato più vulnerabile del previsto, il siluro ha innescato due esplosioni interne e il più sofisticato dei sottomarini russi si è adagiato inerte sul fondo. Una prova di tutto ciò è il buco tondo e con le lamiere ripiegate verso l'interno che il film mostra sul relitto del Kursk. Inoltre, di resti dell'MK48 aveva parlato anche il giornale russo «Versija», subito perquisito e tacitato dal Fsb.
Il Memphis è rimasto anch'esso danneggiato in questo duello negli abissi e tra i due c'è stata pure una collisione. Il sottomarino americano fu poi fotografato qualche giorno dopo, in riparazione nella base norvegese più vicina al luogo dell'incidente. L'altro sottomarino, il «Toledo», è rientrato negli Stati Uniti anch'esso danneggiato e il New York Times, mesi dopo, ne ha raccontato la misteriosa avventura.
Insomma, sia Mosca che Washington avevano qualcosa da nascondere, Putin e Clinton hanno arrangiato le cose, nessuna traccia materiale di ciò sarà mai più reperibile perché il Kursk è stato ripescato, ma solo dopo essere stato svuotato dai preziosissimi «Schkval» e amputato della parte su cui era avvenuto l'incidente, che è stata fatta esplodere sul fondo del mare. Amen, per la ferraglia e per i centodiciotto ragazzi russi la cui agonia ha commosso il mondo. Un «samizdat» elettronico sulla Pravda online, erede di quelli che in tempi sovietici facevano arrivare in Occidente le denunce del dissidenti, ha forse svelato un po' di verità.
irrazionale
un flauto di 35mila anni fa
Le Scienze 18.12.2004
Un flauto dell'era glaciale
È uno dei più antichi strumenti musicali conosciuti
Un team di archeologi dell'Università di Tubinga, in Germania, ha scoperto in una grotta un flauto vecchio di 35.000 anni, fabbricato a partire da una zanna d'avorio di un mammut lanoso. L'oggetto, uno dei più antichi strumenti musicali mai scoperti, è stato ricostruito a partire dai 31 frammenti rinvenuti nella caverna nelle montagne sveve, nel sud-ovest del paese.
In anni recenti, fra queste montagne sono stati trovati numerosi reperti, comprese statuette di avorio, ornamenti e altri strumenti musicali. Gli archeologi ritengono che gli esseri umani primitivi soggiornassero nell'area durante l'inverno e la primavera.
Nicholas Conard, direttore del team di ricercatori, e colleghi descrivono la scoperta in un articolo pubblicato sulla rivista "Archäologisches Korrespondenzblatt". Il flauto è stato datato con il metodo del radiocarbonio.
Un portavoce dell'università ha dichiarato all'agenzia Reuters che lo strumento verrà esposto in un museo di Stoccarda.
Un flauto dell'era glaciale
È uno dei più antichi strumenti musicali conosciuti
Un team di archeologi dell'Università di Tubinga, in Germania, ha scoperto in una grotta un flauto vecchio di 35.000 anni, fabbricato a partire da una zanna d'avorio di un mammut lanoso. L'oggetto, uno dei più antichi strumenti musicali mai scoperti, è stato ricostruito a partire dai 31 frammenti rinvenuti nella caverna nelle montagne sveve, nel sud-ovest del paese.
In anni recenti, fra queste montagne sono stati trovati numerosi reperti, comprese statuette di avorio, ornamenti e altri strumenti musicali. Gli archeologi ritengono che gli esseri umani primitivi soggiornassero nell'area durante l'inverno e la primavera.
Nicholas Conard, direttore del team di ricercatori, e colleghi descrivono la scoperta in un articolo pubblicato sulla rivista "Archäologisches Korrespondenzblatt". Il flauto è stato datato con il metodo del radiocarbonio.
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