lunedì 12 luglio 2004

Spoleto Scienza
le origini biologiche della «coscienza di essere»

citato al Lunedì

Repubblica 12.7.04
La scoperta del Sé
Così la biologia determina l'identità individuale
Sette giorni di dibattiti sul sistema immunitario come radice di quell'entità misteriosa che è il "self"
di FRANCO PRATTICO


SPOLETO. Fino a domenica prossima, a Spoleto, nel contesto del tradizionale Festival, e in particolare della sedicesima edizione di "Spoleto Scienza" (che come sempre si svolge nell´ex chiesa e nel chiostro di San Nicolò), è in scena la scienza: un parterre ove scienziati, filosofi, artisti e intellettuali di ogni estrazione discuteranno e "rappresenteranno" una simbiosi tra le due culture, quella scientifica che così profondamente segna la nostra epoca e quella più genericamente artistica e umanistica, nel tentativo di superare - con gli stessi strumenti delle discipline rappresentate - la dicotomia che da alcuni secoli lacera, separa e contrappone le due grandi ali in cui si articola la cultura occidentale.
Perciò l´idea guida di questa nuova edizione di Spoleto Scienza, l´iniziativa promossa e gestita dalla Fondazione Sigma Tau, come già l´anno passato è di aprire agli sguardi vergini dei profani i laboratori ove si celebrano i misteri della ricerca, aiutando quindi i visitatori, con l´aiuto degli addetti ai lavori ma anche dei linguaggi dell´arte, a percorrere coi loro sguardi e le loro domande i labirinti del paziente, rigoroso e difficile lavoro del ricercatore, sdrammatizzando e rendendo almeno in superficie accessibile quel lavoro scientifico che è oggi il fondamento stesso della nostra civiltà e che per il grande pubblico è tuttora esoterico e misterioso come quello dei maghi medioevali.
I laboratori quindi come teatri di gesta, ma anche come libro aperto che consenta al profano di "leggere" l´opera scientifica nel suo farsi, tra microscopi, provette, reagenti eccetera, e anche di capire, ove possibile, i segreti del lavoro scientifico. Ci si può così accostare ad esso come a quello dell´artigiano, del meccanico, dell´idraulico, e comunque di chi utilizza strumenti (sia fisici che intellettuali) specialistici, superando quella distanza che ai primordi dell´umanità rendeva sacrale il lavoro del fabbro.
Una "dissacrazione", quindi, per qualche più geloso addetto ai lavori, ma anche un contributo a comprendere e valutare il rigoroso e difficile sforzo di decifrare la natura e il mondo, che a Spoleto si è accompagnato ieri - e si accompagnerà anche sabato prossimo - a una "teatralizzazione" dei testi fondamentali per la ricerca ma incomprensibili al profano come i diari di laboratorio: mi riferisco alla lettura di testi scientifici messi in scena da Massimo Popolizio e con la partecipazione di Elisabetta Piccolomini, Tommaso Cardarelli e Lino Guanciale. Accade così che all´armonia logica della intuizione scientifica e a quella emozionale della creazione artistica si unisca il linguaggio musicale, che tanto deve oltretutto alle matematiche, grazie all´intervento del gruppo Zast. Sulla complessa interazione tra conoscenze e società è incentrato il dibattito curato da Darwin - la nuova rivista di divulgazione di alto livello diretta da Gianfranco Bangone e Gilberto Corbellini - e dedicato appunto alla interazione tra scienza e politica sul terreno della salute.
Ma probabilmente l´epicentro "filosofico" di questa edizione di Spoleto Scienza (introdotta e coordinata da Gilberto Corbellini e Armando Masserenti) è l´ancora in parte misterioso meccanismo che conduce alla nascita dell´identità individuale: il sistema immunitario, radice del "Sé" biologico. Al sistema immunitario sono infatti riservate quattro postazioni, veri e propri laboratori di biologia molecolare, dedicate al complesso linguaggio biochimico dell´immunità (postazioni organizzate e dirette da Alberto Mantovani) e - sabato e domenica prossimi - quelle curate dagli esperti dell´Open Lab di Pavia, sotto la direzione di Carlo Alberto Redi, Maurizio Zuccotti, Silvia Garagna e Gianna Milano, dedicate alla «Ontogenesi dell´individualità biologica». Il sistema immunitario è in effetti una delle meraviglie della biologia. Ed è il sistema che nella sua complessità rende possibile la unicità dell´Io biologico e la sua separazione da un mondo potenzialmente pericoloso, se non ostile. È il singolo organismo che "riconosce se stesso", e si configura come unità a se stante. È questo carattere, così profondamente intrecciato a problemi filosofici ed etici, che rende il dibattito sul sistema immunitario ricco di implicazioni profonde e complesse e che forse aiuterà in queste due settimane il pubblico di Spoleto Scienza a percepire la profondità e l´intreccio tra la ricerca scientifica e la cultura umanistica.
Insomma, nel complesso un approccio esplorativo al gigantesco lavoro che ha condotto in questi anni la biologia alla ricostruzione e al riconoscimento dei processi biochimici che sono il sostrato del sistema immunitario e che, quindi, almeno a livello biologico, conducono alla nascita dell´identità individuale, alla realizzazione di quella invisibile parete che separa ogni organismo dal mondo esterno e lo difende (almeno, finché può) dalle aggressioni degli innumerevoli agenti patogeni che lo insidiano ma che, quando sbaglia, diviene un pericolo per lo stesso organismo a cui funge da sentinella (è il caso delle malattie cosiddette "autoimmuni").
Ma, almeno nel caso della nostra specie, proprio quel sistema potrebbe rappresentare il punto di partenza del singolare processo evolutivo, non solo biologico - perché oltre ad essere organico è anche tra gli esseri umani mentale e psichico - che viene definito «coscienza di essere», prima sede di quella entità ancora misteriosa che viene definita il "self", il Sé, e che probabilmente è ciò che segna in maniera irreversibile ogni sistema vivente. Ciò che chiamiamo identità - e che così efficacemente ci separa dal pericoli del mondo esterno - non esiste infatti fuori dal mondo vivente. Un elettrone, un protone, un neutrone - la sostanza cioè della materia - sono in realtà "innominabili": inesorabilmente privi di specificità individuale. Ogni singolo atomo non ha "carta d´identità" individuale: fa parte d´una "specie" contraddistinta dalla quantità di elettroni del loro guscio o dei nucleoni che ne formano il nucleo. L´individualità appare solo col vivente, che pure è formato a sua volta da atomi e molecole, ognuno dei quali è in sé fungibile e intercambiabile.
Ma, apparso probabilmente ai primordi del mondo vivente, quattro miliardi di anni or sono, insieme alle prime cellule autoreplicanti, il "self" attraversa, parecchie centinaia di milioni di anni or sono, una straordinaria crisi evolutiva, quando le prime colonie di batteri, uniti simbioticamente forse per fare fronte a crisi ambientali, cominciano a specializzare parti del loro corpo collettivo, dando vita a una nuova struttura che è già un primitivo organismo, il cui scopo è l´autoprotezione, la differenziazione di organi autonomi (compresi quelli destinati alla riproduzione) e così via. Appaiono così i primi esseri pluricellulari, destinati a colonizzare il pianeta e armati di sistemi biologici che consentono loro di non venire sopraffatti e dissolti dalle forze che agiscono nel loro ambiente. Nasce il "Sé" biologico, e continua a crescere e raffinarsi seguendo le vicende dell´evoluzione fino a raggiungere - almeno per ora - il suo culmine con la nostra specie, dove ai meccanismi biologici di autodifesa dell´organismo dalle aggressioni esterne si affianca l´autopercezione, la consapevolezza di essere (condivisa probabilmente con altri animali superiori).

a Bobbio, Piacenza
sta per aprire "Farecinema" di Marco Bellocchio

Libertà 09/07/2004 12.15.35
A Bobbio parata di big del cinema
Bobbio si appresta a diventare capitale del cinema.


Come ogni anno nel periodo estivo il Laboratorio Farecinema diretto da Marco Bellocchio ininterrottamente dal '97 e organizzato dal Comune e dal Centro Itard di Piacenza, in collaborazione con Regione, Provincia, Fondazione di Piacenza e Vigevano, Filmalbatros di Roma e Lanterna Magica di Bobbio, convoglia con il suo corso di tecnica cinematografica e con la rassegna collaterale di proiezioni di film e ospitalità di registi e addetti ai lavori, cinefili e appassionati di cinema nel capoluogo dell'Alta Valtrebbia
Una “migrazione” destinata a ripetersi quest'anno con un livello di iniziative probabilmente mai raggiunto in passato, soprattutto con il potenziamento della rassegna Incontri con gli autori che vedrà sfilare dal 19 al 31 luglio il meglio del cinema italiano.
Ma andiamo per ordine.
Al Laboratorio Farecinema sono più di 70 le iscrizioni pervenute da tutta Italia e dall'estero, a fronte dei 20 posti disponibili.
Questo conferma un momento particolarmente felice per Marco Bellocchio e anche il successo di Farecinema, che è attualmente laboratorio intensivo di cinema fra i più quotati in Italia, grazie alla sua formula particolare, alla qualità di docenti e collaboratori e, anche, al fascino di una città d'arte e cultura come Bobbio.
Le selezioni sono ancora in fase di svolgimento.
Lo staff tecnico che quest'anno affiancherà Marco Bellocchio (regista e direttore artistico della manifestazione) e gli allievi, durante la realizzazione del laboratorio, è composto dalla montatrice Francesca Calvelli, Nastro d'Argento 2002 per il montaggio del film di Danis Tanovic, premio Oscar 2002, No man's land e il Ciak d'oro e il Premio Flaiano per L'ora di religione, oltre che montatrice dei film di Bellocchio da Il sogno della farfalla ad oggi, e collaborazioni con registi quali Michele Placido e Francesca Comencini.
La Calvelli lavora anche con giovani autori emergenti come Stefano Gabrini per Iuri e Dervis Zaim per Fango. Un impegno particolare è stato il montaggio del film collettivo dei 33 registi che documentava i giorni del G8.
Con lei al montaggio la co-docente Emanuela Di Giunta, apprezzata professionista collaboratrice di importanti registi.
Per quanto riguarda la direzione della fotografia Bellocchio si avvarrà di Matteo Fago e di William Santero di Roma e del piacentino Marco Sgorbati, giovani e promettenti operatori della fotografia che si alternano alle tre unità di ripresa.
Marco Sgorbati è stato operatore alla riprese nel recente e apprezzatissimo film Dopo mezzanotte di Davide Ferrario.
Per il suono in presa diretta docenti Remo Ugolinelli e Corrado Volpicelli, che vantano una collaborazione ultratrentennale con gran parte dei grandi nomi del cinema internazionale.
Enrico Pesce invece è l'esperto compositore e consulente per le musiche di molte edizioni del laboratorio, mentre Piergiorgio Bellocchio, attivo sia nei film di Marco Bellocchio che nell'ultimo Radio West, sarà impegnato come attore.
Infine Lucilla Cristaldi e Arianna Rossini sono le due giovani assistenti alla produzione.
L'organizzazione è curata dal settore cultura e turismo del Comune di Bobbio.
Per quanto riguarda gli Incontri con gli autori il calendario delle ospitalità è pressoché definito anche se manca ancora un tassello, anzi un sogno: quello di avere nella giornata conclusiva a Bobbio, il 31 luglio, Ken Loach.
Bellocchio sta provando a portare in Valtrebbia il grande regista inglese.

una mostra a Napoli
cinquanta artiste dai paesi islamici

Repubblica, edizione di Napoli 12.7.04
La mostra
Cinquanta artiste dall'Islam


Un evento e una sfida. È questo il senso della mostra dal titolo "Stracciando i veli: donne artiste dal mondo islamico", allestita nella Sala d´Ercole, a Palazzo Reale, da oggi al 15 settembre. Per la prima volta saranno esposte 70 opere di 51 artiste provenienti dai principali paesi islamici. Una mostra in cui la creatività delle donne di paesi musulmani prende corpo oltre il velo, dove l´arte è il mezzo per superare l´incultura dell´indifferenza e dell´imposizione, la negazione e la discriminazione, per affermare una politica di diritti e di partecipazione.
La rassegna è stata organizzata dalla Fondazione Laboratorio Mediterraneo in occasione del suo decennale e anche in virtù della sua recente designazione ad "antenna europea e capofila della rete italiana per il dialogo tra le culture e civilizzazioni". In mostra opere di donne che danno voce alla propria creatività infrangendo stereotipi e pregiudizi della donna "velata". Lo scopo è quello di riaffermare il ruolo delle donne nei processi di pace.

l'Apollo di Prassitele a Cleveland?

L'Apollo di Prassitele risorge a Cleveland
Ma è davvero la celebre statua del maestro?
non si sa da dove viene ma la fattura è finissima
tante copie di marmo custodite nei musei
Il museo della città dell'Ohio ha acquisito il famoso bronzo greco del dio che uccide la lucertola
di SALVATORE SETTIS


Il Cleveland Museum of Art ha appena annunciato una sensazionale new acquisition: una statua greca in bronzo, a grandezza naturale, di un giovinetto, nel quale ogni occhio esperto riconosce a prima vista un´opera celebrata dagli antichi, l´Apollo della Lucertola di Prassitele. Plinio il Vecchio, pur dicendo Prassitele famosissimo per le sculture in marmo, menziona varie sue opere in bronzo, «bellissime; e fra queste un Apollo giovinetto intento a colpire con la freccia una lucertola che striscia furtiva: lo chiamano, appunto, Sauroctonos ("che uccide la lucertola")». Gli fa eco un epigramma di Marziale, che invita il dio-ragazzo alla clemenza: «Risparmia la lucertola che sta strisciando verso di te, ragazzo, non colpirla a tradimento: sappilo, non cerca di meglio che morire per tua mano». Marziale si riferisce certamente a una copia in piccolo, in bronzo "corinzio", il più pregiato (e cioè una lega in cui erano presenti percentuali di argento, e talvolta d´oro, per accrescere la lucentezza della superficie). Perché questo Apollo un po´ discolo dovesse tendere un agguato all´innocua lucertola, non sappiamo, nonostante molti tentativi di interpretazione in chiave simbolica o cultuale; né perché la lucertola bramasse perire per mano del dio. Ma la migliore testimonianza della fama del Sauroctonos presso gli antichi sono le numerose copie, quasi tutte in marmo, che si conservano in musei di tutto il mondo: in uno studio del 2002, Renate Preisshofen ne elenca una trentina fra intere e frammentarie, senza contare derivazioni e varianti magari un po´ infedeli, e qualche riproduzione in piccolo, su monete o gemme. Fu appunto in una gemma che lo riconobbe, sulla base della descrizione di Plinio, il barone Philipp von Stosch (1724); e poco dopo Winckelmann lo identificava in una statua della collezione Borghese (oggi al Louvre); altre copie vennero alla luce lungo il Settecento, e finirono in collezioni prestigiose come quella del cardinale Albani, i Musei Vaticani, Ince Blundell Hall e altre country houses inglesi, di Thomas Hope e Lord Lansdowne.
Questa corsa ad accaparrarsi le copie del Sauroctonos via via che emergevano dalla generosa terra italiana si spiega facilmente. Solo da poco si era capito che, fra le migliaia di statue antiche ritrovate a Roma e altrove, alcune erano più preziose, perché vi si potevano riconoscere, grazie alla descrizione delle fonti antiche (specialmente Plinio), i più famosi capolavori dei massimi scultori antichi. Fidia e Policleto, Lisippo e Prassitele erano ormai solo dei nomi carichi di un millenario prestigio, ma evanescenti e inafferrabili in mancanza di opere note. Fra Sette e Ottocento si comprese invece che quei grandi non avevano lasciato solo il nome scritto nelle pagine di Plinio, di Pausania o di altre "fonti": e che la loro gloria era stata tanta, da indurre i ricchi romani a procurarsene, in manzanza del troppo costoso originale, copie da mettersi in casa. Gli archeologi principiarono allora a stilare accurati elenchi di copie, a misurarle e confrontarle a una a una, cercando di ricostruire l´originale perduto, proprio come da tardi manoscritti il filologo tenta di ricostruire una forma del testo il più vicina possibile a quella di Euripide o di Virgilio. Ricerca tanto più intensa e delicata, quando l´originale perduto era (come è il caso del Sauroctonos) di bronzo, e le copie invece in marmo.
Di bronzi antichi, infatti, non se n´è conservato quasi nessuno: alla fine dell´impero romano e nel medio evo quasi tutti furono fusi per ricavarne metallo per monete, armi ed utensili. E se a Roma qualcuno ne rimase (come il Marco Aurelio e la Lupa), i bronzi greci che popolavano a decine di migliaia città e santuari sparirono tutti nel nulla. Nel 1502 un giovinetto in bronzo, scoperto a Rodi, giunse a Venezia e poi, dopo lungo pellegrinaggio in tutta Europa, a Berlino: ma la vera "resurrezione" dei bronzi greci comincia nel 1896 con la scoperta dell´Auriga di Delfi, e prosegue fino ad oggi con scoperte sempre nuove, spesso avvenute in mare. Queste statue (per esempio i Bronzi di Riace) si sono conservate fino a noi solo perché naufragarono le navi che le trasportavano da un luogo all´altro (spesso da un santuario greco depredato a Roma): e insomma il tragico evento del naufragio (come l´eruzione a Pompei e ad Ercolano) ha finito per regalare a noi posteri minime ma preziose testimonianze di quella gloriosa scultura greca in bronzo, che altrimenti dovremmo accontentarci di immaginare solo da tarde descrizioni e copie. Ma non è accaduto finora che uno dei grandi bronzi greci riscoperti corrisponda puntualmente alla descrizione di una fonte antica (perciò non sappiamo chi è l´autore dell´Auriga di Delfi o dei Bronzi di Riace).
Ecco perché, se l´annuncio che giunge da Cleveland è attendibile, la scoperta sarebbe davvero sensazionale. Si tratterebbe, infatti, del primo originale di un grande maestro greco tornato alla luce, e per così dire "firmato" dalla sua puntuale corrispondenza con le descrizioni antiche e con le copie che ne derivano. Ma è davvero così?
Di un originale di Prassitele riscoperto in mare si è parlato di recente anche in Italia, a proposito del Satiro danzante di Mazara, esposto a Montecitorio in una mostra memorabile: ma si tratta con tutta probabilità di un´eccellente copia romana da originale ellenistico non anteriore al 300 a. C. Anche il Sauroctonos di Cleveland potrebbe essere una copia? L´annuncio del museo non lo esclude del tutto, ma propende nettamente per la diagnosi più ardita: anche se le analisi continuano, in vista di un grande congresso internazionale nell´aprile del 2006, i primi esami della lega bronzea daterebbero il bronzo proprio al IV secolo a. C., l´età di Prassitele. Certo, per quanto si può giudicare dalle fotografie disponibili, la qualità di questo bronzo è altissima, sottile e vibrante appare l´epidermide carezzata dalla luce che definisce ed esalta l´anatomia del corpo adolescente, intensa e come sospesa l´espressione del volto, accurati alcuni dettagli-chiave (come gli inserti in rame per i capezzoli e le labbra). La conservazione è quasi perfetta, anche se mancano parte delle braccia e l´albero su cui si arrampicava la lucertola (che invece è conservata).
Ma da dove viene questo bronzo, che il museo di Cleveland descrive con orgoglio come «di gran lunga la più importante scultura classica entrata in America dopo la II guerra mondiale»? La storia ufficiale è presto detta: le analisi scientifiche, dichiara il museo, «provano che la scultura fu scavata ben prima del 1900». La statua sarebbe stata conservata nel giardino di una villa nella Germania Est, sfuggendo all´attenzione perché considerata opera del Settecento, e dopo la caduta del muro di Berlino sarebbe tornata al proprietario, Ernst-Ulrich Walter, che la vendette qualche anno fa. Storia non impossibile, ma nemmeno troppo plausibile: come poteva restare tanto invisibile una statua di tale qualità proprio in Germania, patria dell´archeologia "filologica" e della storia dell´arte antica? In ogni caso, è un vero peccato che non si conoscano le circostanze e il luogo del ritrovamento: la conoscenza del contesto aiuterebbe enormemente a valutare il significato (e anche l´originalità) della statua. Dove fosse in antico l´originale prassitelico, Plinio non dice. Antonio Corso (autore di una monografia su Prassitele che sta per essere pubblicata dall´Erma di Breschneider) ha osservato che il Sauroctonos è rappresentato sulle monete imperiali di Apollonia al Rindaco e di altre città dell´Anatolia, e dunque forse era lì che stava all´origine la statua. D´altra parte, tutte le copie (alcune anteriori a quelle monete) vengono dall´Italia, e dunque è molto probabile che l´originale fosse stato trasportato a Roma, e sostituito con una copia nella prima età imperiale.
Ma quello di Cleveland sarà l´originale di Prassitele o una copia, magari proprio quella che lo sostituì (diciamo) nel tempio di Apollonia al Rindaco? Davvero non saprei dirlo prima di averlo visto di persona (e delle relative analisi). Non dimentichiamo però che già nel Settecento si era creduto di aver scoperto l´originale Sauroctonos di Prassitele: Winckelmann, entusiasta della qualità della statua Borghese, dichiarò dapprima che doveva essere l´originale anche se di marmo (dunque contro la testimonianza di Plinio), ma si ricredette qualche anno dopo, quando un Sauroctonos di bronzo, di dimensioni ridotte, fu trovato sull´Aventino. Il cardinal Albani si recò personalmente a prendere il preteso Prassitele, raccolse personalmente la statua dallo scavo, e la portò religiosamente, sulle sue braccia, fino alla propria carrozza (ritenuta ora una copia del I secolo d. C., la statua è ancora a Villa Albani). Ma anche a Palazzo Barberini, al principio dell´Ottocento, si mostrava ai visitatori una lucertola di bronzo, indicandola come frammento dell´originale prassitelico. Questo lungo inseguimento è ora finito, e il capolavoro di Prassitele risorge a Cleveland, Ohio? C´è da scommettere che se ne discuterà per molto ancora.