giovedì 16 dicembre 2004

giovedi 16 dicembre

su il manifesto

è apparsa la pubblicità del libro


ANALISI COLLETTIVA INCONTRI

atti dell'incontro del 10 novembre
di villa Piccolomini

Ingrao
Bertinotti

uscirà presto anche su
Liberazione
(e questa volta a colori)


NUOVE EDIZIONI ROMANE


****

Buongiorno, notte - il libro

una segnalazione di Tonino Scrimenti

Buongiorno, notte - Le ragioni e le immagini

Giovedì 16 dicembre alle ore 18:00
presso la Casa del Cinema di Roma
(Largo Marcello Mastroianni, 1 – Villa Borghese)

è stato presentato il volume
Buongiorno, notte - Le ragioni e le immagini
di Luca Bandirali e Stefano D’Amadio
pubblicato dalle edizioni Argo

Nel corso dell'incontro con gli autori - coordinato da Franco Montini - interverranno

Marco Bellocchio
Flavio De Bernardinis
Riccardo Giagni
e Curzio Maltese

La presentazione del volume è stata preceduta
– alle ore 16:00 e nella stessa sede -
dalla proiezione di
Buongiorno, notte

il Guggenheim a Roma

IL MESSAGGERO 16.12.04
GUGGENHEIM E ROMA, ATTRAZIONE FATALE
Eventi - Raffaele Ranucci, presidente delle Scuderie del Quirinale, parla della megarassegna del museo newyorkese. Che arriva a marzo con 80 capolavori di Van Gogh, Matisse e altri grandi maestri
di Fabio ISMAN

«Saranno almeno 80 opere, quasi mai viste in Italia; anche degli autentici capolavori», spiega Raffaele Ranucci, il presidente delle Scuderie del Quirinale e di Palazzo delle Esposizioni: da marzo a giugno, di fronte all'edificio in cui lavora e vive il Capo dello Stato, approderanno dipinti che "hanno fatto" la storia dell'arte moderna e contemporanea. Dalla Donna con pappagallo di Renoir, una delle prime opere al rientro a Parigi dal servizio nei corazzieri (1871),che eterna Lise, modella a lungo preferita, fino all'immenso Autoritratto (tre metri per tre) di Andy Warhol, passando per un Van Gogh del 1888, Paesaggio con neve; per un Monet nell'autunno veneziano del 1908, quando già era dedito alle Ninfee (Palazzo Ducale visto da San Giorgio); o il Matisse dell'Italiana (1916); dei Kandinsky del 1909, o Chagall del 1913 (Il calesse volante); un de Chirico (Il pomeriggio gentile) del '16, metafisico ferrarese con tanto di dolci e pani, esposto al Salon d'Antin di Parigi nello stesso anno; Picasso degli Anni 30 e Léger, fino a Lichtenstein, Jasper Johns, Rothko, Pollock. «Tesori di un binomio zio-nipote, cui dobbiamo la conoscenza almeno di Kandinsky, ne comprano oltre 150, e Pollock», continua Ranucci; «ed aver stabilito un rapporto con i Guggenheim Museums, New York,Venezia e BiIbao, ci fa immenso piacere». «Ci sarà anche la scultura di Calder, che di solito è al centro del Guggenheim nella Grande Mela; ci proponiamo di spiegare come gli Stati Uniti hanno rielaborato la grande pittura europea», aggiunge Enzo Siciliano, a capo del comitato scientifico; «e la mostra sarà uno dei momenti del "nuovo spirito" delle Scuderie: vogliamo crescere, dopo il molto che è già stato fatto nel passato», spiega.
Perché i capolavori dei musei Guggenheim (Solomon che sposa una Rothschild, e Peggy che a Venezia chiude da "dogaressa" una parabola davvero incredibile) non sono tutto. Nel 2006, a primavera, andrà in scena Antonello da Messina; oltre 40 opere: quante nessuno ne ha mai esposte. E, in autunno, la Cina: «Quella del primo Impero, dei guerrieri di terracotta di Xian e speriamo di poterne portare anche un carro, degli abiti a filigrana d'oro e delle giade», dice Siciliano; «e ci ha molto aiutato anche il recente viaggio del Presidente Ciampi». Mentre Ranucci aggiunge che «il Sindaco ci segue assai da vicino: chiede e s'informa quasi ogni giorno». L'azienda Scuderie-PalaExpo ha appena varato la sua prima programmazione triennale, e non è affatto un rigurgito di pianificazione socialista: «La cultura è anche economia; è anche un lungo prevedere il futuro. Nessuna città ha sei luoghi capaci dimostre da oltre 50 mila visitatori», dice Ranucci; «con una tale offerta, occorre puntare sulla qualità e sugli eventi; aumentare il numero dei visitatori, e allungare il breve soggiorno medio dei turisti a Roma, nemmeno quattro giorni; con occhi attenti al bilancio: 11 milioni dieuro di spese, 4,5 che provengono dal Comune, un utile di 4.000 euro; per la prima volta, il costo che pesa sulla collettività scende sotto il 50 per cento». E questo, mentre è ancora chiuso Palazzo delle Esposizioni, che, dice il direttore generale, Rossana Rummo, «forse riaprirà con una mostra dedicata al famoso regista Stanley Kubrick; prevediamo coproduzioni con la Tate Gallery di Londra e il Beaubourg di Parigi, dove ho avuto colloqui di recente».
Intanto, però, la rassegna sugli Anni del Rock migrerà alla Stazione Termini. «Il problema», spiega Ranucci, «è che tutte le mostre che totalizzano svariate decine di migliaia divisitatori, quelle che garantiscono incassi prestigiosi, ruotano sempre attorno agli stessi autori, o temi: bisogna diversificare; battere altri sentieri; sapere inventare qualcosa di nuovo». Così, arriveranno anche gli Omayyadi: una mostra curata da Eugenio La Rocca e PaoloMatthiae (lo scopritore di Ebla) sulla dinastia dei califfi arabi, nella Siria e Giordania di 1250 anni or sono; e, inagibile il Palazzo delle Esposizioni, in quello dell'istituto per la Grafica a Fontana di Trevi, l'ultima mostra realizzata "in proprio" dal celebre fotografo Henry Cartier Bresson. Perché, sancisce Ranucci, dalla cui azienda dipendono anche le Case del Cinema e del Jazz (che s'aprirà ad aprile), «la cultura non può che essere soprattutto qualità».
Quella dei dipinti collezionati da zio e nipote Guggenheim: «Per capire come grandi raccolte private diventano poi un museo globale» (Siciliano).Un secolo d'immensa pittura: da fine '800, Cézanne, Manet, Seurat, il Doganiere Rousseau, fin quasi ai giorni nostri, attraverso Braque e Picasso, ma anche Boccioni e Balla, Klee e Mondrian. «Comprare un'opera al giorno» era uno dei motti di Peggy, l'ultima "dogaressa" di cui è appena stata tradotta in Italia un'interessante e voluminosa biografia (Anton Gil, Peggy Guggenheim, una vita leggendaria nel mondo dell'arte, Baldini Castoldi Dalai, 490 pagine): e, tra i dipinti suoi e dello zio Salomon, che saranno esposti nella primavera romana, si vede che ha mantenuto assai bene l'impegno. «L'accordo con i tre musei Guggenheim è il primo d'altri che intendiamo stipulare; per portare nella nostra città la grande pittura del mondo, ed esportare magari quella italiana meno remota che, troppo spesso, non ha saputo o potuto varcare i nostri confini. E con uno sguardo attento soprattutto ai giovani: non si può immaginare la cultura come un fatto d'élite, ormai non più; anche perché bisogna badare pure ai bilanci, no?», conclude Ranucci.

Pera, presidente innovatore

CORRIERE DELLA SERA 16.12.04
[...]

SENATO - La rappresentazione della Natività per la prima volta al Senato. Le statuine sono state posizionate dal presidente Pera, aiutato da Silvia, la figlia dodicenne del segretario generale Antonio Malaschini, nella Sala degli Specchi a Palazzo Giustiniani.
[...]

Fausto Bertinotti non cede alle prestese di egemonia ds

Corriere della Sera 16.12.04
I Ds: a noi la Puglia ma diamo il via libera a Mastella
BERTINOTTI E IL CASO UDEUR
DUE NUOVI FRONTI PER PRODI
Maria Teresa Meli

Il segretario del Prc: Romano, dimostra che sei il leader
«Tu sei il leader? E allora su questa storia di Vendola devi andare fino in fondo e assumerti tutte le tue responsabilità». Così Fausto Bertinotti a Romano Prodi reduce da un incontro andato male con Massimo D'Alema (ma il segretario di Rifondazione non si aspettava un esito diverso), Bertinotti ricorda all'ex presidente della Commissione europea che al candidato premier «spettano gli onori ma anche gli oneri». «Le scuse servono a poco: se Prodi è il leader deve dimostrarlo». Così Clemente Mastella ai suoi. Insultato e contestato dalla Gad, il numero uno dell'Udeur annuncia ai colleghi di partito che è intenzionato a non andare al vertice di venerdì. «Prodi avrà la parola conclusiva sulle indicazioni di candidature provenienti dal territorio". Così Francesco Rutelli, in pubblico. Morale della favola: se non vuole indebolire la sua leadership difficilmente, questa volta, Prodi (che oggi saràa Roma) potrà esimersi dal prendere una decisione. Sia pure quella di rinviare i nodi delle candidature regionali a gennaio. Soluzione che i bookmakers del centrosinistra danno come favorita.
Il vertice
Il vertice della Gad di venerdì, comunque, rischia di essere inutile. Bertinotti ha già annunciato ai leader del centrosinistra che lui non ci sarà: mandera il capogruppo Franco Giordano. E anche Clemente Mastella ha minacciato di disertare l'appuntamento. Ma i "big" della Gad non disperano. A Montecitorio Piero Fassino e Franco Marini, nonchè i responsabili Enti Locali di Ds e Margherita, Antonello Cabras e Beppe Fioroni, cercano una via d'uscita praticabile. Una delle ipotesi che vengono fatte nella riunione informale e riservata che si svolge in serata è quella di accontentare in qualche modo Mastella (ma non con la Basilicata) e di trovare una via d'uscita onorevole per Bertinotti che consenta al leader di Rifondazione comunista di rinunciare a Nichi Vendola senza apparire agli occhi di dirigenti e militanti del suo partito come uno che si è fatto fagocitare dalla Gad.
La lite
Ma anche su questo punto Margherita e Ds hanno avuto modo di litigare. Secondo Franco Marini, infatti, «è una sciocchezza pensare di accontentare prima Mastella e poi di provvedere al problema Bertinotti". Fassino, invece, è convinto che sia più importante scendere a patti con l'Udeur che con Rifondazione. «Tanto - è il suo convincimento - Fausto non rompe». Identica la posizione di D'Alema: «No, non può rompere, perchè non può andare altrove, mentre Mastella può farlo perché ha una subordinata». Quale sia l'antifona l'hanno ben capito i dirigenti del Prc. Tant'è che Giordano spiega: «E' la Puglia che vuole altrimenti».
« Insomma, a meno che Prodi non decida di imporsi sui Ds e sulla Margherita, difficilmente Mastella e Bertinotti vedranno soddisfatte le loro richieste. Ma se Bertinotti cederà in questo frangente gli sarà ancor più difficile resistere quando, tra qualche mese, si troverà dì fronte a un altro passaggio difficile. Quello del simbolo e del nome della coalizione. «Non possiamo cancellare l'Ulivo: sarebbe un errore» va ripetendo Prodi in questi giorni. E intende ripeterlo anche al segretario del Prc, che invece non vuoi sentire parlare di Ulivo. Ma Prodi è convinto che, tanto, «Fausto non vuole creare problemi al centrosinistra».

il ministro Sirchia vuole controlli psicologici per tutto il personale sanitario, medici compresi

CORRIERE DELLA SERA 16.12.04
SIRCHIA: INTRODURRE TEST PSICHICI

Certificati di idoneità e prove di «tenuta» psicologica prima e durante i corsi di formazione universitaria. Poi, al momento dell'assunzione e una volta che entra in servizio o sceglie la libera professione, l'infermiere non è obbligato a superare altri esami. La stessa trafila vale per tutto il personale sanitario, medici compresi. Così avviene anche oggi, dopo l'istituzione del corso universitario per gli angeli custodi della corsia.
«Il caso di Lecco deve farci riflettere. Sarebbe opportuno prevedere verifiche psicoattitudinali periodiche e all'inizio del rapporto di lavoro come succede per certe categorie a rischio cli stress, ad esempio i piloti di aereo», si dice convinto il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, chiarendo però che «non è competenza dello Stato fissare i termini delle modalità di assunzione, ma di ospedali e Regioni".
Da nessuna parte è scritto che il personale sanitario è soggetto a test di verifica, conferma Gennaro Rocco, presidente del Collegio di Roma dell'Ipasvi, la federazione degli infermieri, e vicepresidente nazionale con un passato in prima linea al policlinico Umberto I. Rocco è preoccupato e ritiene scontato che la drammatica vicenda di Lecco getti ombre sull'immagine della categoria da lui rappresentata. Circa 320 mila professionisti in forze presso strutture pubbliche e private e, in minima parte, più o meno 15 mila, impegnati nella libera professione, come consulenti o per l'assistenza domiciliare: «Chi si avvia versoquesta professione e aspira al diploma universitario deve presentare un certificato del medico legale che attesta l'idoneità psicologica e fisica - si addentra nei particolari il presidente del Collegio -. Nei tre anni di corso il percorso di formazione include una decina di materie psicologiche e la partecipazione ai giochi di ruolo dove i laureandi vengono addestrati a gestire situazioni stressanti. Siamo gente ben preparata, la nostra affidabilità non va messa in dubbio».Una prima selezione naturale avviene già nei primi mesi di corso, quando comincia il tirocinio in un ospedale. In questa fase una parte considerevole degli iscritti si tirano indietro, rinunciano, perché si rendono conto di quanto sia pesante il confronto quotidiano con la sofferenza, la morte, il pianto. E' molto difficile che dopo l'assunzione si venga convocati per una visita psichiatrica, a meno che nelle ore di lavoro l'infermiere non abbia mostrato segni di disagio evidente. Sirchia denuncia un secondo problema: «La carenza di personale è tale che non sempre il personale viene selezionato e assegnato ai reparti che più si addicono alle sue capacità».
Margherita De Bac
mdebac@corriere. it

il New York Times di oggi
gravi malattie mentali affliggono i veterani dell'Iraq

The New York Times

December 16, 2004
A Flood of Troubled Soldiers Is in the Offing, Experts Predict
By SCOTT SHANE

WASHINGTON, Dec. 15 - The nation's hard-pressed health care system for veterans is facing a potential deluge of tens of thousands of soldiers returning from Iraq with serious mental health problems brought on by the stress and carnage of war, veterans' advocates and military doctors say.

An Army study shows that about one in six soldiers in Iraq report symptoms of major depression, serious anxiety or post-traumatic stress disorder, a proportion that some experts believe could eventually climb to one in three, the rate ultimately found in Vietnam veterans. Because about one million American troops have served so far in the conflicts in Iraq and Afghanistan, according to Pentagon figures, some experts predict that the number eventually requiring mental health treatment could exceed 100,000.

"There's a train coming that's packed with people who are going to need help for the next 35 years," said Stephen L. Robinson, a 20-year Army veteran who is now the executive director of the National Gulf War Resource Center, an advocacy group. Mr. Robinson wrote a report in September on the psychological toll of the war for the Center for American Progress, a Washington research group.

"I have a very strong sense that the mental health consequences are going to be the medical story of this war," said Dr. Stephen C. Joseph, who served as the assistant secretary of defense for health affairs from 1994 to 1997.

What was planned as a short and decisive intervention in Iraq has become a grueling counterinsurgency that has put American troops into sustained close-quarters combat on a scale not seen since the Vietnam War. Psychiatrists say the kind of fighting seen in the recent retaking of Falluja - spooky urban settings with unlimited hiding places; the impossibility of telling Iraqi friend from Iraqi foe; the knowledge that every stretch of road may conceal an explosive device - is tailored to produce the adrenaline-gone-haywire reactions that leave lasting emotional scars.

And in no recent conflict have so many soldiers faced such uncertainty about how long they will be deployed. Veterans say the repeated extensions of duty in Iraq are emotionally battering, even for the most stoical of warriors.

Military and Department of Veterans Affairs officials say most military personnel will survive the war without serious mental issues and note that the one million troops include many who have not participated in ground combat, including sailors on ships. By comparison with troops in Vietnam, the officials said, soldiers in Iraq get far more mental health support and are likely to return to a more understanding public.

But the duration and intensity of the war have doctors at veterans hospitals across the country worried about the coming caseload.

"We're seeing an increasing number of guys with classic post-traumatic stress symptoms," said Dr. Evan Kanter, a psychiatrist at the Puget Sound veterans hospital in Seattle. "We're all anxiously waiting for a flood that we expect is coming. And I feel stretched right now."

A September report by the Government Accountability Office found that officials at six of seven Veterans Affairs medical facilities surveyed said they "may not be able to meet" increased demand for treatment of post-traumatic stress disorder. Officers who served in Iraq say the unrelenting tension of the counterinsurgency will produce that demand.

"In the urban terrain, the enemy is everywhere, across the street, in that window, up that alley," said Paul Rieckhoff, who served as a platoon leader with the Florida Army National Guard for 10 months, going on hundreds of combat patrols around Baghdad. "It's a fishbowl. You never feel safe. You never relax."

In his platoon of 38 people, 8 were divorced while in Iraq or since they returned in February, Mr. Rieckhoff said. One man in his 120-person company killed himself after coming home.

"Too many guys are drinking," said Mr. Rieckhoff, who started the group Operation Truth to support the troops. "A lot have a hard time finding a job. I think the system is vastly under-prepared for the flood of mental health problems."

Capt. Tim Wilson, an Army chaplain serving outside Mosul, said he counseled 8 to 10 soldiers a week for combat stress. Captain Wilson said he was impressed with the resilience of his 700-strong battalion but added that fierce battles have produced turbulent emotions.

"There are usually two things they are dealing with," said Captain Wilson, a Southern Baptist from South Carolina. "Either being shot at and not wanting to get shot at again, or after shooting someone, asking, 'Did I commit murder?' or 'Is God going to forgive me?' or 'How am I going to be when I get home?' "

When all goes as it should, the life-saving medical services available to combat units like Captain Wilson's may actually swell the ranks of psychological casualties. Of wounded soldiers who are alive when medics arrive, 98 percent now survive, said Dr. Michael E. Kilpatrick, the Pentagon's deputy director of deployment health support. But they must come to terms not only with emotional scars but the literal scars of amputated limbs and disfiguring injuries.

Through the end of September, the Army had evacuated 885 troops from Iraq for psychiatric reasons, including some who had threatened or tried suicide. But those are only the most extreme cases. Often, the symptoms of post-traumatic stress disorder do not emerge until months after discharge.

"During the war, they don't have the leisure to focus on how they're feeling," said Sonja Batten, a psychologist at the Baltimore veterans hospital. "It's when they get back and find that their relationships are suffering and they can't hold down a job that they realize they have a problem."

Robert E. Brown was proud to be in the first wave of Marines invading Iraq last year. But Mr. Brown has also found himself in the first ranks of returning soldiers to be unhinged by what they experienced.

He served for six months as a Marine chaplain's assistant, counseling wounded soldiers, organizing makeshift memorial services and filling in on raids. He knew he was in trouble by the time he was on a ship home, when the sound of a hatch slamming would send him diving to the floor.

After he came home, he began drinking heavily and saw his marriage fall apart, Mr. Brown said. He was discharged and returned to his hometown, Peru, Ind., where he slept for two weeks in his Ford Explorer, surrounded by mementos of the war.

"I just couldn't stand to be with anybody," said Mr. Brown, 35, sitting at his father's kitchen table.

Dr. Batten started him on the road to recovery by giving his torment a name, an explanation and a treatment plan. But 18 months after leaving Iraq, he takes medication for depression and anxiety and returns in dreams to the horrors of his war nearly every night.

The scenes repeat in ghastly alternation, he says: the Iraqi girl, 3 or 4 years old, her skull torn open by a stray round; the Kuwaiti man imprisoned for 13 years by Saddam Hussein, cowering in madness and covered in waste; the young American soldier, desperate to escape the fighting, who sat in the latrine and fired his M-16 through his arm; the Iraqi missile speeding in as troops scramble in the dark for cover.

"That's the one that just stops my heart," said Mr. Brown. "I'm in my rack sleeping and there's a school bus full of explosives coming down at me and there's nowhere to go."

Such costs of war, personal and financial, are not revealed by official casualty counts. "People see the figure of 1,200 dead," said Dr. Kanter, of Seattle, referring to the number of Americans killed in Iraq. "Much more rarely do they see the number of seriously wounded. And almost never do they hear anything at all about the psychiatric casualties."

As of Wednesday 5,229 Americans have been seriously wounded in Iraq. Through July, nearly 31,000 veterans of Operation Iraqi Freedom had applied for disability benefits for injuries or psychological ailments, according to the Department Veterans Affairs.

Every war produces its medical signature, said Dr. Kenneth Craig Hyams, a former Navy physician now at the Department of Veterans Affairs. Soldiers came back from the Civil War with "irritable heart." In World War I there was "shell shock." World War II vets had "battle fatigue." The troubles of Vietnam veterans led to the codification of post-traumatic stress disorder.

In combat, the fight-or-flight reflex floods the body with adrenaline, permitting impressive feats of speed and endurance. But after spending weeks or months in this altered state, some soldiers cannot adjust to a peaceful setting. Like Mr. Brown, for whom a visit to a crowded bank at lunch became an ordeal, they display what doctors call "hypervigilance." They sit in restaurants with their backs to a wall; a car's backfire can transport them back to Baghdad.

To prevent such damage, the Army has deployed "combat stress control units" in Iraq to provide treatment quickly to soldiers suffering from emotional overload, keeping them close to the healing camaraderie of their unit.

"We've found through long experience that this is best treated with sleep, rest, food, showers and a clean uniform, if that is possible," said Dr. Thomas J. Burke, an Army psychiatrist who oversees mental health policy at the Department of Defense. "If they get counseling to tell them they are not crazy, they will often get better rapidly."

To detect signs of trouble, the Department of Defense gives soldiers pre-deployment and post-deployment health questionnaires. Seven of 17 questions to soldiers leaving Iraq seek signs of depression, anxiety and post-traumatic stress disorder.

But some reports suggest that such well-intentioned policies falter in the field. During his time as a platoon leader in Iraq, Mr. Rieckhoff said, he never saw a combat stress control unit. "I never heard of them until I came back," he said.

And the health screens have run up against an old enemy of military medicine: soldiers who cover up their symptoms. In July 2003, as Jeffrey Lucey, a Marine reservist from Belchertown, Mass., prepared to leave Iraq after six months as a truck driver, he at first intended to report traumatic memories of seeing corpses, his parents, Kevin and Joyce Lucey, said. But when a supervisor suggested that such candor might delay his return home, Mr. Lucey played down his problems.

At home, he spiraled downhill, haunted by what he had seen and began to have delusions about having killed unarmed Iraqis. In June, at 23, he hanged himself with a hose in the basement of the family home.

"Other marines have verified to us that it is a subtle understanding which exists that if you want to go home you do not report any problems," Mr. Lucey's parents wrote in an e-mail message. "Jeff's perception, which is shared by others, is that to seek help is to admit that you are weak."

Dr. Kilpatrick, of the Pentagon, acknowledges the problem, saying that National Guardsmen and Reservists in particular have shown an "abysmal" level of candor in the screenings. "We still have a long ways to go," he said. "The warrior ethos is that there are no imperfections."

Richard A. Oppel Jr. contributed reporting from Baghdad for this article.


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la sentenza della Consulta sul crocifisso nelle scuole
LA CORRETTA INTERPRETAZIONE GIURIDICA

15.12.04 ore 21:35
(fate circolare questo comunicato)

“Per la Scuola della Repubblica”

Tel. 06 3337437 telefax 06 3723742
e-mail scuolarep@tin.it
sito www.comune.bologna.it/iperbole/coscost


comunicato stampa

La Corte Costituzionale:
il crocefisso nelle scuole non è previsto della Legge.
Le norme regolamentari di 80 anni fa
non contengono alcun obbligo per le scuole.

Non essendoci una legge specifica, lo Stato e le Scuole devono applicare il principio supremo di laicità dello Stato.
Quindi le scuole devono rispettare tale principio e non devono affiggere simboli religiosi.

La pronuncia, al contrario di quanto parrebbe aver imprudentemente affermato qualche mezzo di informazione, è meramente processuale, poiché si limita ad affermare che la Corte costituzionale non è competente a giudicare della legittimità delle norme censurate (in quanto contenute, in realtà, in fonti regolamentari e non in fonti legislative).
La Corte Costituzionale afferma che le norme impugnate ''si limitano a disporre l'obbligo a carico dei Comuni di fornire gli arredi scolastici, rispettivamente per le scuole elementari e per quelle medie'', ma allo stesso tempo circoscrivono ''il loro oggetto e il loro contenuto solo all'onere della spesa per gli arredi''.
Insomma, dell'obbligo di esposizione del crocifisso nelle norme regolamentari impugnate non si parla affatto.
Infatti la tabella allegata al regio decreto del 1928 ''contiene soltanto elenchi di arredi previsti per le varie classi, elenchi peraltro in parte non attuali e superati, come ha riconosciuto la stessa amministrazione''.
L’art. 118 del r.d. n. 965 del 1924 “si riferisce bensì alla presenza nelle aule del Crocifisso e del ritratto del Re, ma non si occupa dell’arredamento delle aule, e dunque non può trovare fondamento legislativo”.
Infine - conclude la Corte - non ha alcun valore il fatto che l'art. 676 del testo unico preveda che rimangono in vita tutte le norme non espressamente abrogate dallo stesso testo unico, perche' ''l'eventuale salvezza'' di norme ''non incluse nel testo unico e non incompatibili con esso, puo' concernere solo disposizioni legislative e non disposizioni regolamentari''
Il segnalato problema di legittimità riguarda il fondamento legislativo delle norme regolamentari (che l’ordinanza della Corte non ha indicato);
Il problema amministrativo dovrà ovviamente trovare soluzione nel giudizio principale,
da parte del Tribunale Amministrativo Regionale remittente;


Il comitato direttivo dell’associazione

Roma 15 dicembre 2004

la Consulta ha deciso sul crocifisso nelle scuole
ecco il testo ufficiale integrale

IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA:


ORDINANZA della Corte costituzionale N.389 dell’ANNO 2004

LA CORTE COSTITUZIONALE
ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 159 e 190 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), come specificati, rispettivamente, dall’art. 119 (e allegata tabella C) del regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297 (Approvazione del regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare), e dall’art. 118 del regio decreto 30 aprile 1924, n. 965 (Ordinamento interno delle Giunte e dei Regi istituti di istruzione media), e dell’art. 676 del predetto decreto legislativo n. 297 del 1994, promosso con ordinanza del 14 gennaio 2004 dal TAR per il Veneto sul ricorso proposto da Soile Lautsi in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale contro il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, iscritta al n. 433 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, edizione straordinaria, del 3 giugno 2004.

Visti l’atto di costituzione di Soile Lautsi nonché gli atti di intervento di Paolo Bonato ed altro e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 26 ottobre 2004 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi l’avvocato Massimo Luciani per Soile Lautsi, l’avvocato Franco Gaetano Scoca per Paolo Bonato ed altro e l’avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 14 gennaio 2004, pervenuta a questa Corte il 20 aprile 2004, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, nel corso di un giudizio per l’impugnazione di una deliberazione del consiglio di istituto di una scuola, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento al principio di laicità dello Stato, e, "comunque", agli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, degli artt. 159 e 190 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), "come specificati", rispettivamente, dall’art. 119 (e tabella C allegata) del regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297 (Approvazione del regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare), e dall’art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965 (Ordinamento interno delle Giunte e dei Regi istituti di istruzione media), "nella parte in cui includono il Crocifisso tra gli arredi delle aule scolastiche", nonché dell’art. 676 del medesimo d.lgs. n. 297 del 1994 "nella parte in cui conferma la vigenza delle disposizioni" di cui ai predetti art. 119 (e tabella C allegata) del r.d. n. 1297 del 1928 e art. 118 del r.d. n. 965 del 1924;

che l’impugnato art. 159 del d.lgs. n. 297 del 1994 stabilisce fra l’altro, al comma 1, che "spetta ai Comuni provvedere (…) alle spese necessarie per l’acquisto, la manutenzione, il rinnovamento (…) degli arredi scolastici" nelle scuole elementari, mentre l’art. 119 del r.d. n. 1297 del 1928 stabilisce che "gli arredi, il materiale didattico delle varie classi e la dotazione della scuola sono indicati nella tabella C allegata", la quale, nell’elencare gli arredi e il materiale occorrente nelle varie classi, include al n. 1, per ogni classe, il Crocifisso;

che, a sua volta, l’impugnato art. 190 del d.lgs. n. 297 del 1994 stabilisce fra l’altro, al comma 1, che "i Comuni sono tenuti a fornire (...) l’arredamento" dei locali delle scuole medie, mentre l’art. 118 del r.d. n. 965 del 1924 recita che "ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del Crocifisso e il ritratto del Re";

che l’impugnato art. 676 del d.lgs. n. 297 del 1994 stabilisce che le disposizioni non inserite nel testo unico "restano ferme ad eccezione delle disposizioni contrarie od incompatibili con il testo unico stesso, che sono abrogate";

che il Tribunale remittente premette che le disposizioni citate del r.d. n. 1297 del 1928 e del r.d. n. 965 del 1924 costituirebbero adeguato fondamento giuridico del provvedimento impugnato nel giudizio a quo; sarebbero tuttora in vigore in quanto non abrogate per incompatibilità dalle disposizioni dei Patti Lateranensi cui si è data esecuzione con la legge 27 maggio 1929, n. 810, né da quelle dell’Accordo di modifica di detti Patti reso esecutivo con la legge 25 marzo 1985, n. 121; non sarebbero incompatibili infine con il testo unico approvato con il d.lgs. n. 297 del 1994, né sarebbero state abrogate per nuova disciplina dell’intera materia in quanto l’impugnato art. 676 del testo unico medesimo dispone che restino salve le norme preesistenti non inserite in esso e non incompatibili con le disposizioni del medesimo testo unico; che dette disposizioni sarebbero destinate ad introdurre norme attuative di dettaglio rispetto ad atti legislativi, e cioè, rispettivamente, il r.d. 5 febbraio 1928, n. 577, al cui art. 55 corrisponde oggi l’art. 159, comma 1, del d.lgs. n. 297 del 1994, e il r.d. 6 maggio 1923, n. 1054, al cui art. 103 corrisponde oggi l’art. 190 del d.lgs. n. 297 del 1994;

che il giudice a quo si pone il problema della costituzionalità delle disposizioni regolamentari citate, da cui discenderebbe l’obbligo di esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche, e ritiene che queste, pur non potendo essere oggetto diretto di controllo di costituzionalità, dato il loro rango regolamentare, sarebbero invece suscettibili di controllo indiretto, in quanto specificano e integrano i disposti legislativi impugnati degli artt. 159 e 190 del d.lgs. n. 297 del 1994, il cui art. 676 a sua volta costituirebbe una norma primaria "attraverso la quale l’obbligo di esposizione del Crocifisso conserva vigenza nell’ordinamento positivo";

che, in punto di non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale remittente sostiene che il Crocifisso è essenzialmente un simbolo religioso cristiano, di univoco significato confessionale; e che l’imposizione della sua affissione nelle aule scolastiche non sarebbe compatibile con il principio supremo di laicità dello Stato, desunto da questa Corte dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, e con la conseguente posizione di equidistanza e di imparzialità fra le diverse confessioni che lo Stato deve mantenere; e che la presenza del Crocifisso, che verrebbe obbligatoriamente imposta ad alunni, genitori e insegnanti, delineerebbe una disciplina di favore per la religione cristiana rispetto alle altre confessioni, attribuendo ad essa una ingiustificata posizione di privilegio;

che si è costituita la parte privata ricorrente nel giudizio a quo, concludendo per l’accoglimento della questione;

che, secondo la parte, l’obbligatoria esposizione del Crocifisso nelle aule violerebbe il dovere di equidistanza dello Stato rispetto alle varie confessioni e contraddirebbe l’esigenza di uno "spazio pubblico neutrale" in cui non potrebbe trovare posto un simbolo religioso; non si potrebbe attribuire al Crocifisso il carattere di un simbolo genericamente civile e culturale, essendo innegabile la sua valenza religiosa, e mancando del resto ogni base costituzionale per poter fare del Crocifisso un simbolo dell’unità della nazione al pari della bandiera; non sarebbe praticabile, infine, nemmeno una soluzione che postuli la permanenza dell’esposizione del Crocifisso salvo che qualcuno degli alunni ritenga di esserne leso nella propria libertà religiosa, poiché sarebbe violato comunque il principio oggettivo di laicità, né si potrebbe costringere il singolo a opporsi apertamente alla eventuale volontà maggioritaria del gruppo sociale di appartenenza;

che sono intervenuti altresì, con unico atto, il sig. Paolo Bonato, in proprio e quale genitore di un’alunna della stessa scuola, e il sig. Linicio Bano, in qualità di presidente dell’associazione italiana genitori di Padova, concludendo per la inammissibilità e comunque per la infondatezza della questione;

che gli intervenienti, affermata la propria legittimazione ad essere presenti nel giudizio in quanto controinteressati nel giudizio a quo, pur se non evocati in esso, nonché in quanto titolari di un interesse direttamente inerente al rapporto sostanziale dedotto nel giudizio medesimo, negano che l’esposizione del Crocifisso nelle aule leda il principio di laicità, il quale non implicherebbe indifferenza dello Stato rispetto alle religioni, e non impedirebbe l’esposizione di un simbolo che rappresenta una parte integrante dell’identità culturale e storica del popolo italiano;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l’inammissibilità e comunque per l’infondatezza della questione;

che l’Avvocatura erariale eccepisce anzitutto il difetto di rilevanza della questione, in quanto, alternativamente, il giudizio davanti al TAR non sarebbe stato proponibile per difetto di contraddittorio e di legittimazione del ricorrente, ovvero il TAR sarebbe carente di giurisdizione;

che, nel merito, la difesa del Presidente del Consiglio sostiene che le norme legislative impugnate e le norme regolamentari richiamate dal remittente non stabiliscono alcun obbligo di esposizione del Crocifisso, e che, in assenza di un obbligo legale di esposizione, il problema sarebbe quello di verificare se le norme costituzionali consentano l’esposizione di quel simbolo del cattolicesimo: esposizione che non sarebbe in contrasto con la laicità dello Stato e sarebbe coerente sia con l’art. 7 della Costituzione, sia con il riconoscimento, contenuto nell’art. 9 dell’accordo di revisione del concordato reso esecutivo con la legge n. 121 del 1985, secondo cui i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano;

che nella memoria presentata in vista dell’udienza l’Avvocatura erariale argomenta nel senso della legittimità costituzionale della presenza del Crocifisso nelle aule, quale "evenienza naturale" nell’ordinario svolgimento della vita scolastica: il Crocifisso sarebbe bensì anche un simbolo religioso, ma sarebbe "il vessillo della Chiesa cattolica, unico alleato di diritto internazionale" dello Stato nominato dalla Costituzione all’art. 7, e dunque sarebbe da considerarsi alla stregua di un simbolo dello Stato di cui non si potrebbe vietare l’esposizione, al pari della bandiera e del ritratto del Capo dello Stato.

Considerato che l’intervento spiegato nel giudizio è stato ammesso dalla Corte con ordinanza pronunciata in udienza, in quanto la posizione sostanziale fatta valere dal sig. Paolo Bonato, in proprio e in qualità di genitore di un’alunna, è qualificata in rapporto alla questione oggetto del giudizio di costituzionalità, dovendosi in questa sede precisare che la legittimazione ad intervenire non si estende all’altro firmatario dell’unico atto di intervento, sig. Linicio Bano, in quanto presidente dell’associazione italiana genitori di Padova;

che il remittente impugna gli articoli 159 e 190 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, sul presupposto che essi, "come specificati", rispettivamente, dall’art. 119 (e allegata tabella C) del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297, e dall’art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965, forniscano fondamento legislativo ad un obbligo – contestato dal ricorrente per contrasto con il principio di laicità dello Stato – di esposizione del Crocifisso in ogni aula scolastica delle scuole elementari e medie; e impugna altresì l’art. 676 del medesimo d.lgs. n. 297 del 1994 sul presupposto che a tale disposizione – che sancisce l’abrogazione delle sole disposizioni non incluse nel testo unico che risultino incompatibili con esso – debba farsi risalire la permanente vigenza delle due norme regolamentari citate, dopo l’emanazione dello stesso testo unico;

che tali presupposti sono però erronei;

che, infatti, gli articoli 159 e 190 del testo unico si limitano a disporre l’obbligo a carico dei Comuni di fornire gli arredi scolastici, rispettivamente per le scuole elementari e per quelle medie, attenendo dunque il loro oggetto e il loro contenuto solo all’onere della spesa per gli arredi;

che, pertanto, non sussiste fra le due menzionate disposizioni legislative, da un lato, e le disposizioni regolamentari richiamate dal remittente, dall’altro lato, quel rapporto di integrazione e specificazione, ai fini dell’oggetto del quesito di costituzionalità proposto, che avrebbe consentito, a suo giudizio, l’impugnazione delle disposizioni legislative "come specificate" dalle norme regolamentari;

che, a differenza di quanto rilevato da questa Corte nelle sentenze n. 1104 del 1988 e n. 456 del 1994 (richiamate dal remittente) a proposito dell’ammissibilità di censure mosse nei confronti di disposizioni legislative come specificate da norme regolamentari previgenti, fatte salve dalla legge fino all’emanazione di nuovi regolamenti, nella specie il precetto che il remittente ricava dalle norme regolamentari non si desume nemmeno in via di principio dalle disposizioni impugnate degli artt. 159 e 190 del testo unico;

che, infatti, per quanto riguarda la tabella C allegata al r.d. n. 1297 del 1928, e richiamata nell’art. 119 dello stesso, essa contiene soltanto elenchi di arredi previsti per le varie classi, elenchi peraltro in parte non attuali e superati, come ha riconosciuto la stessa amministrazione;

che l’assenza del preteso rapporto di specificazione è ancor più evidente per quanto riguarda l’art. 118 del r.d. n. 965 del 1924, che si riferisce bensì alla presenza nelle aule del Crocifisso e del ritratto del Re, ma non si occupa dell’arredamento delle aule, e dunque non può trovare fondamento legislativo nella – né costituire specificazione della – disposizione censurata dell’art. 190 del testo unico, volta anch’essa, come si è detto, a disciplinare solo l’onere finanziario per la fornitura di tale arredamento;

che, per quanto riguarda l’art. 676 del d.lgs. n. 297 del 1994, non può ricondursi ad esso l’affermata perdurante vigenza delle norme regolamentari richiamate, poiché la eventuale salvezza, ivi prevista, di norme non incluse nel testo unico, e non incompatibili con esso, può concernere solo disposizioni legislative, e non disposizioni regolamentari, essendo solo le prime riunite e coordinate nel testo unico medesimo, in conformità alla delega di cui all’art. 1 della legge 10 aprile 1991, n. 121, come sostituito dall’art. 1 della legge 26 aprile 1993, n. 126;

che l’impugnazione delle indicate disposizioni del testo unico si appalesa dunque il frutto di un improprio trasferimento su disposizioni di rango legislativo di una questione di legittimità concernente le norme regolamentari richiamate: norme prive di forza di legge, sulle quali non può essere invocato un sindacato di legittimità costituzionale, né, conseguentemente, un intervento interpretativo di questa Corte;

che, pertanto, la questione proposta è, sotto ogni profilo, manifestamente inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 159 e 190 del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), come specificati, rispettivamente, dall’art. 119 (e allegata tabella C) del r.d. 26 aprile 1928, n. 1297 (Approvazione del regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare), e dall’art. 118 del r.d. 30 aprile 1924, n. 965 (Ordinamento interno delle Giunte e dei Regi istituti di istruzione media), e dell’art. 676 del predetto d.lgs. n. 297 del 1994, sollevata, in riferimento al principio di laicità dello Stato e, comunque, agli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2004.

F.to:
Valerio ONIDA, Presidente e Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 dicembre 2004.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA

Allegato
ordinanza letta all’udienza del 26 ottobre 2004
ORDINANZA

Visto l’intervento spiegato in giudizio, in termini, dal Sig. Paolo Bonato e dal Sig. Linicio Bano;

considerato che la posizione sostanziale fatta valere nel presente giudizio dal Sig. Paolo Bonato in proprio e quale genitore dalla minore Laura Bonato appare qualificata in rapporto alla questione oggetto del giudizio di costituzionalità.

per questi motivi
ammette l’intervento di cui in premessa.

F.to: Valerio ONIDA, Presidente