domenica 15 maggio 2005

il prof. Umberto Veronesi

Corriere della Sera 15.5.05
FECONDAZIONE ASSISTITA
«Questa legge tutela più le cellule che le donne»
IL REFERENDUM

«Ogni giorno almeno 10 mila uova fecondate in normali rapporti di coppia non attecchiscono in utero e muoiono. Circa 300 mila al mese, 3 milioni e seicentomila l’anno. E questo solo in Italia. Una strage di potenziali bambini e, secondo la Chiesa, di anime che non si sa dove vanno. Un eccidio di innocenti inspiegabile». Umberto Veronesi, ex ministro della Sanità, oncologo e scienziato di fama internazionale voterà sì al referendum di abrogazione di alcuni punti controversi della ormai nota legge 40 che regola in Italia la procreazione medicalmente assistita o fecondazione artificiale.
Professore, secondo lei dove vanno tutti questi ovuli fecondati?
«Da scienziato e ateo rispondo: da nessuna parte. Ma secondo la Chiesa, non essendo battezzati, dovrebbero finire tutti nel Limbo. Ipotesi scartata però da San Tommaso d’Aquino che fissa al terzo mese di vita la comparsa dell’anima. Mentre per l’ebraismo il momento chiave è il quarto mese. Detto questo, ricordo la mia infanzia di bimbo cresciuto in cascina: la mortalità neonatale era allora altissima e ricordo l'angoscia dei genitori per non far finire il loro figlio al Limbo. Quando i piccoli stavano male, chiamavano prima il prete del medico».
Ma allora, quand’è che questo ovulo fecondato si completerebbe con l’anima?
«Scientificamente potremmo far coincidere l’anima con il pensiero, con la psiche. È ormai provato che il feto pensa, all’ottavo-nono mese. È ragionevole quindi ipotizzare che l’anima esiste se c’è il pensiero. Ed è ragionevole immaginare che l’anima, e secondo il pensiero cattolico la vita, entra nel corpo quando c’è un abbozzo di struttura pensante, di avvio dell’intelligenza. Tant’è che la morte oggi coincide con la morte del cervello: l’espianto di organi vitali è consentito anche dalla Chiesa dopo la morte documentata del cervello. Ma quando l’embrione inizia ad avere questo abbozzo? Questo accade dopo due settimane dall’attecchimento in utero. Prima è solo un ammasso di cellule. Un progetto di essere vivente».
Di essere vivente o di essere umano?
«Uno scimpanzé che cos’è? Un essere vivente con una differenza minima nel genoma rispetto all’uomo. Talmente minima, i geni sono uguali al 99,5 per cento, che potenzialmente potrebbe essere un progetto di uomo. E allora perché non tutelare anche lui? La Chiesa in realtà ha una visione antropocentrica: solo l’uomo conta. Ma io che sono animalista e vegetariano mi chiedo, provocatoriamente, perché non tuteliamo anche gli embrioni degli scimpanzé, anch’essi sono progetti di esseri umani».
Quindi, che cosa non va nella legge 40?
«Innanzitutto che tutela più gli ammassi di cellule che la donna o i feti veri e propri».
In che senso?
«Basti pensare all’inumana proibizione della diagnosi preimpianto per verificare la buona salute dell’embrione. Una palese contraddizione con la legislazione italiana in vigore che prevede l’esame prenatale del liquido amniotico o dei villi coriali, così come l’ecografia già dal secondo mese, che in caso dimostri una malformazione o una situazione grave del feto autorizza la scelta dell’aborto. E credo che nessuna donna ami abortire. Eppure mentre è prevista l’eliminazione di un feto, di un essere umano, si tutela un ammasso di cellule non pensante... Almeno fino a quando non diventa pensante, perché poi l’aborto è ammesso... Sconcertante».
Ma non c’è un rischio di deriva eugenetica?
«Bè, anche l’esame del liquido amniotico o l’ecografia al secondo mese in teoria nascondono il rischio di selezione eugenetica. Forse che poi la differenza non è fatta dall’etica del medico e dall’amore dei genitori in attesa. Non ho mai sentito di un aborto legato al colore degli occhi del futuro bambino. Eppure potenzialmente questo potrebbe accadere... In realtà la legge 40 offende i successi della ricerca scientifica che era arrivata ad anticipare la verifica della salute dell’embrione addirittura a prima dell’impianto evitando drammi psicologici ben maggiori. Offende me scienziato».
E sul numero massimo di tre embrioni da creare e impiantare, per evitare di congelarli?
«Anche in questo esiste una grave contraddizione etica. Se l’embrione è un essere vivente perché ne prevediamo la morte per legge?».
Che cosa vuol dire?
«Semplice, se impiantiamo tre embrioni sappiamo per certo che minimo uno muore, se non tutti e tre. Inoltre i parti plurigemellari sono un rischio per la donna. Allora, o si preleva un ovulo per volta, lo si feconda e lo si impianta. O si preparano più embrioni, si congelano e se ne impianta uno per volta. Questa peraltro è l’ultima indicazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)».
La legge però serviva a regolare una sorta di Far West?
«Parlare di situazione da Far West è un oltraggio per la medicina italiana che in questo campo era al primo posto in Europa. E comunque, come dice il giurista Pietro Rescigno, sarebbe stato meglio il vuoto normativo a una legge lacunosa e contraddittoria».
E il problema degli embrioni congelati «orfani»?
«Ho già espresso più volte il mio pensiero: piuttosto che finire in un lavandino, potrebbero essere fondamentali per la ricerca sulle cellule staminali e altro. Donatori di cellule così come un adulto, constatata la morte cerebrale, può essere un donatore di organi... E poi, quando un domani, studiando le cellule staminali di un embrione, all’estero verrà trovato un farmaco che cura per esempio il Parkinson, i cattolici che fanno?... Non lo prendono?».

la posta di Corrado Augias

Repubblica DOMENICA, 15 MAGGIO 2005
Il mistero della vita tra scienza e Chiesa
CORRADO AUGIAS

Caro Augias, la legge sulla fecondazione assistita porta con sé uno scontro di civiltà. Già oggi, nonostante la propaganda che si sente in giro, la comunità scientifica guarda con altri occhi, rispetto a 20 anni fa, l'inizio della vita. Scienziati come Angelo Vescovi (non credente), tra i maggiori esperti di cellule staminali nel mondo, spiega benissimo come l'inizio della vita non sia «una questione di fede» come vorrebbero farci credere, ma di scienza. La vita inizia con la fecondazione e termina con la morte. E' falso, aggiunge, che nel mondo esistano « terapie con cellule staminali embrionali» o che siano ragionevolmente prevedibili. Ci sono invece valide alternative molto più promettenti. Però le tecniche di clonazione ed estrazione delle staminali embrionali sono tutte coperte da brevetti che diventerebbero carta straccia se le alternative diventassero realtà terapeutica.
Per quanti accusano la Chiesa di essere rimasta ferma su posizioni»medievali», io invece come tanti penso che non abbia perso il treno della storia; semplicemente sta aspettando «qualche stazione più avanti», com'è stato per il marxismo. A chi accusa i sostenitori della legge 40 di voler isolare l'Italia rispetto ad altri paesi europei, mi piace ricordare che nel 1700 la Toscana fu il primo stato al mondo ad abolire la pena di morte.
Anche allora partimmo da soli, verso un nuovo umanesimo. Per questi motivi mi asterrò dal voto. Silvano Benini


Con tutto il rispetto per il professor Vescovi, ho ascoltato il parere contrario di Veronesi, e di due premi Nobel, Dulbecco e Levi Montalcini, che sinceramente mi pare più convincente. Vorrei però soffermarmi brevemente su un altro aspetto. Ho sentito un giornalista che ha fatto del suo essere cattolico una bandiera, dire che "da sempre" la posizione della chiesa fa coincidere fecondazione e inizio della vita ("animazione"). Non è vero, anzi questo dettato della chiesa è piuttosto recente. Nel saggio che all'apparenza riguarda altro, «Battesimi forzati» (Viella ed.), Marina Caffiero dedica un capitolo a "Il feto come non nato".
Accadeva infatti che qualche ebreo convertito al cattolicesimo offrisse anche la conversione dei suoi congiunti ("oblazione") per esempio una figlia o sorella incinta. L'atteggiamento della chiesa in quei casi era di rifiutare il battesimo del feto «ventris pregnantis» cioè ancora nel corpo della madre. La Caffiero racconta come l'assessore del Sant'Uffizio autorevolmente argomentasse questo rifiuto «derivante da assioma filosofico, sulla base di S. Agostino e di S. Tommaso, e dal consenso dei giuristi secondo cui il feto doveva ritenersi parte del corpo della stessa madre, dunque non autonomo da quella ma totalmente subordinato».
Il libro non dice quando questa giurisprudenza è cambiata; sappiamo però che la questione è rimasta aperta fin quasi ai primi del 900 e che solo in seguito, soprattutto su impulso dei cattolici irlandesi, si è ritenuto di poter battezzare i feti di aborti spontanei avviando così il processo che ha portato alle convinzioni attuali.
Questo dato è mancato alla discussione, sarebbe importante inserirlo invece perché dimostra come siamo anche qui in presenza di prese di posizione né scientifiche né dottrinali bensì di pura ideologia.

il fallimento della psicoanalisi
...se ne è accorto perfino Hillman!

Corriere dela Sera 15.5.05
LIBRI
Psicanalisi. Perché ha fallito
G.Cap.

La psicanalisi ha da poco compiuto cent’anni ed è tempo di bilanci. «Ora possiamo dire che la psicoterapia come è ancora vista oggi ha fallito» sentenzia il noto filosofo e psicanalista junghiano James Hillman in questo provocante libro. La dimostrazione sta nel dilagare delle nevrosi, delle paure, della depressione nella nostra società. La ragione sarebbe nascosta nelle terapie che cercano le cause all’interno dell’individuo favorendo un ripiegamento su se stesso. Per cambiare rotta e ridare efficacia alla psicanalisi diventata «sterile e inaridita» bisognerebbe invece guardare all’esterno, nella comunità, nell’ambiente, nei luoghi della vita, insomma, dove si manifestano l’arte o la politica. Solo così la scienza, nata con Freud, un secolo fa riconquisterebbe la sua «forza rivoluzionaria originale». Il libro è una sfida ma offre la soluzione esplorando il mondo della psicanalisi in questa direzione perché «la malattia è là fuori» ed è là che bisogna combatterla.

Severino Antinori

IL TEMPO 15.5.05
«Divieti mostruosi giustificati con bugie»

«UN pericoloso non senso medico». Severino Antinori presidente della WorId Association of reproductive medicine e pioniere della fecondazione assistita in Italia, non condivide affatto il divieto «mostruoso» alla diagnosi pre-impianto. «Devono smetterla di dire bugie — spiega — la cellula fecondata non è embrione prima del 14° giorno. È un materiale biologico prezioso che va conservato, ma non è embrione». «Ora — continua il professore — se viene da me una donna che vuole sapere, prima che si formi l’embrione, se il progetto di vita che porta in grembo è malato, perchè io non posso aiutarla? Stiamo parlando di prevenzione di malattie genetiche gravi non di eugenetica». «Quanto poi all’obbligo di produrre non più di 3 embrioni — continua —, siamo di fronte ad un’altra mostruosità. Da un lato, infatti, si riducono i tassi di gravidanza. Dall’altro con l’obbligo di trasferimento si aumentano le possibilità di parti trigemini che, nel 20% dei casi, portano alla nascita di bambini malati».

cento scienziati per il Sì

La Stampa 15 Maggio 2005
Scendono in campo cento scienziati
firmatari del documento «Ricerca e salute»

È squalificante, diseducativo, per nulla lodevole invitare e fare propaganda per l'astensione: il 12 e 13 giugno bisogna votare e votare sì ai quattro quesiti referendari su una legge, la 40/05, illiberale e antiscientifica. È quanto dicono il biologo molecolare Vittorio Sgaramella, il magistrato Amedeo Santosuosso e il bioeticista Demetrio Neri. Mercoledì 18 i cento scienziati (da Rita Levi Montalcini a Renato Dulbecco da Umberto Veronesi a Edoardo Boncinelli, Alberto Piazza e Carlo Alberto Redi, da Carlo Flamigni a Luca Gianaroli) firmatari del documento «Ricerca e Salute» spiegheranno motivi e ragioni della necessità di andare a votare e votare sì. Sempre la prossima settimana diranno la loro un qualificato drappello di bioetici, filosofi e giuristi anch'essi a favore del sì.

dal Congresso Wpa

Corriere della Sera Salute 15.5.05
I «matti»
Una recente indagine ha rivelato che nel nostro Paese è in atto una evoluzione positiva dell'atteggiamento della gente verso la malattia mentale. Più informazione, contatti con i malati psichiatrici, migliore livello d'istruzione e sociale sono i fattori determinanti del cambiamento.
Nel 1989 quasi la metà degli italiani riteneva opportuno ripristinare i vecchi manicomi. Oggi, ivece, ben il 96% giudica queste strutture più delle prigioni che degli ospedali.
I «matti» saranno sempre meno emarginati e stigmatizzati. Non tanto e non solo perché sta migliorando il trattamento della malattia mentale, quanto perché gli italiani diventano sempre più istruiti e benestanti.
Lo indica uno studio presentato all’ultimo Congresso Wpa dell'Associazione mondiale di psichiatria che, dopo aver toccato città come Yokohama o Vienna, quest'inverno ha fatto tappa a Firenze, raccogliendo quasi 7 mila psichiatri provenienti da tutto il mondo.
Sotto il coordinamento dell'Istituto di psichiatria della seconda Università di Napoli, una trentina di medici di base, hanno raccolto le opinioni, sulle malattie mentali gravi e l'assistenza psichiatrica, di varie centinaia di persone equamente distribuite fra Nord, Centro e Sud d'Italia.
Analizzando i dati raccolti fra uomini e donne di varia età, diversa estrazione sociale e differente livello culturale e professionale, gli psichiatri napoletani si sono così accorti che nel nostro Paese è in atto una evoluzione positiva dell'atteggiamento della gente verso la malattia mentale.
Oltre all'aumento dell'informazione e ai personali contatti con malati psichiatrici, i principali fattori in grado di facilitare l'accettazione dei pazienti psichiatrici nella comunità sono risultati il miglioramento del livello d'istruzione e di quello sociale.
Nell'1989, 48 italiani su cento ritenevano opportuno ripristinare la possibilità del ricovero negli ospedali psichiatrici.
Oggi, invece, ben il 96 per cento della gente giudica i manicomi più delle prigioni che degli ospedali. «Oggi la malattia mentale non è più un tabù - commenta il professor Mario Maj, presidente della Società europea di psichiatria e direttore del Dipartimento dell’Università di Napoli che ha condotto la ricerca - e l'atteggiamento degli italiani è più tollerante e disponibile: il 71 per cento, per esempio, riconosce a questi malati il diritto di votare, mentre 15 anni fa lo pensava appena il 20,6 per cento. Sono i loro bisogni affettivi a non essere ancora percepiti correttamente: il 40 per cento degli italiani pensa che i malati mentali non dovrebbero sposarsi e il 61 per cento che non dovrebbero nemmeno avere figli, soprattutto perché continuano a persistere preoccupazioni circa l’imprevedibilità di chi soffre di patologie psichiatriche, percepita come una minaccia».
Eppure, solo il 10 per cento dei comportamenti violenti in realtà è attribuibile a pazienti psichiatrici e, peraltro, soltanto alla limitata percentuale di quelli affetti da determinati disturbi.
Purtroppo queste convinzioni, risultate maggiormente radicate fra chi appartiene alla middle class, che ha figli minorenni, scarse informazioni sulle malattie mentali e principi di vita conservatori, continuano a rappresentare i principali ostacoli all'integrazione sociale dei pazienti psichiatrici di tutto il mondo.

il prof. Remo Bodei

La Stampa 15 Maggio 2005
IL FILOSOFO:
LE NUOVE PROSPETTIVE DELLA BIOTECNOLOGIA POSSONO STRAVOLGERE CONCEZIONI MILLENARIE
intervista
Bodei: siamo impreparati a una scelta drammatica
Luigi La Spina«
C’è il rischio di non raggiungere il quorum non solo per gli inviti della Chiesa, ma anche per l’insensibilità della maggior parte dei cittadini»
LA sua è una filosofia che non ha mai rinunciato a riflettere sui grandi temi dell’uomo: la sua identità, il suo destino, il rapporto tra ragione e fede. Remo Bodei, che insegna Storia della filosofia a Pisa, è alla vigilia di un viaggio in Russia e in procinto di trasferirsi in America, come docente in una università californiana. Proprio per questi suoi interessi, profondamente legati ai misteri più delicati dell’esistenza, chiediamo anche a lui di aiutarci a capire il significato dello scontro sui quattro quesiti del referendum per la legge sulla procreazione assistita.
Professore, come è stato per quello sul divorzio o sull’aborto, anche questo referendum divide gli schieramenti politici e le coscienze. Ma, in questo caso, si avverte nel clima della campagna propagandistica, più reticenza, imbarazzo, dubbio, persino timore che entusiasmo battagliero. Più voglia di riflessione che voglia di sfida. Perché?
«Perché è un tema che scuote tutte le nostre concezioni millenarie sulle questioni fondamentali dell’esistenza. Le nuove prospettive della biotecnologia possono stravolgerle: eravamo abituati a nascere con la procreazione sessuale, a vivere e a morire con tutti i nostri organi. Oggi, com’è capitato in California, si possono avere tre madri, quella biologica, quella portatrice del bambino e quella legale. Si può sopravvivere, con i trapianti, in una condizione di mezzo tra la vita e la morte. I momenti più solenni della nostra esistenza, quali il concepimento, la nascita, il matrimonio, la stessa morte se pensiamo all’eutanasia, sembrano poter sfuggire al destino per toccare un “anti-destino”, misterioso e inquietante».
Un anti-destino, come lo chiama lei, sul quale sembrano disputare, come una volta ma in forme nuove, laici e cattolici?
«In passato, quei momenti solenni della vita erano gelosamente riservati alle leggi dello Stato. Ora, certe decisioni si sono scaricate sull’individuo e spaccano le coscienze delle persone che non sono abituate a prenderle. Dubbiose tra l’osservanza ad alcune autorità morali, come la Chiesa, per cui la vita è sacra ed è come una livrea che il servo deve restituire al padrone alla fine del servizio, e una concezione laica per cui si guarda, più che alla sacralità della vita, alla qualità della vita. Così, nel caso di questo referendum, siamo davanti a una scelta drammatica, perché riguarda noi stessi nella prospettiva futura più delicata: la nostra discendenza».
Lei, che da tanti anni riflette su questi temi, come si comporterà?
«Io avrei preferito, come molti, che fosse stato dato alla gente più tempo di capire problemi, tra l’altro, di grande tecnicità. C’è il rischio di non raggiungere il quorum, a parte gli inviti della Chiesa, solo perché la maggior parte dei cittadini non è ancora abbastanza sensibile all’importanza di questi temi o si sente impreparata ad affrontare tali questioni morali e religiose. Comunque, in linea generale, sono favorevole a quattro sì, anche se ho qualche dubbio su quello per la fecondazione eterologa».
Anche lei si iscrive al partito, che mi pare sia in crescita, del cosiddetto tre più uno?
«Da una parte, comprendo il bisogno di una coppia che vuole un figlio, dall’altra sono indubbie le tensioni che si formano all’interno della famiglia con un bambino che è di lui e non è di lei o è di lei e non è di lui. Insomma, ci può essere un contrasto difficile con il costume, con la mentalità corrente...».
A questo proposito, non solo da parte cattolica, pare si stia assistendo a un ritorno della cosiddetta concezione del diritto naturale, non crede?
«C’è una dimensione storica della morale di cui è assurdo non tenere conto. Il diritto, secondo me, vale proprio perché, in certi casi, va contro le tendenze più arcaiche della natura umana: una maggior giustizia non sta scritta nei nostri cromosomi, come la tendenza a non aggredire, a non ammazzare. Il bello del diritto e della morale è proprio quello di imporre concezioni umane più alte. E su questi argomenti, pur con tutti i traumi, le contraddizioni, le difficoltà, si tratta di accettare come rischiosamente positivo il desiderio, maturo e consapevole, di voler essere padri e madri».
Perché “rischiosamente positivo”?
«Perché capisco le preoccupazioni della Chiesa per il pericolo di uno scivolo incontrollato verso la considerazione della vita come merce. Certo, ci vogliono regole, controlli, che, d’altra parte, ci sono già, contro i pericoli della clonazione, dell’eugenetica».
Limiti alla libertà assoluta della scienza che, secondo alcuni, possono essere solo fondati su una concezione religiosa della vita. Come dice Dostoevskij nella famosa frase: ”Se Dio non esiste, tutto è lecito”.
«Il confronto laici-cattolici, in Italia, è mutato e anche questa campagna referendaria lo dimostra. Nel campo religioso c’è una grande mobilitazione nei confronti del tema della vita. C’era, certamente, anche ai tempi del divorzio e dell’aborto. Ma, dopo quelle sconfitte, i cattolici ora si sono ricompattati e adesso vogliono estendere i diritti della persona fino al momento del concepimento. Di fronte all’inerzia e all’indifferenza dei laici su questi temi, c’è il tentativo di invadere quello spazio di neutralità che, in fondo, farebbe bene anche alla Chiesa. I cattolici hanno chiamato “relativismo” quello che, da una parte, dovrebbe essere un terreno fertile in cui si fa germogliare più libertà, più diritti e, dall’altra, è un campo che non tocca, tranne alcune minoranze quasi folkloristiche, la grande massa dei cittadini. La gente comune, si sente sostanzialmente soddisfatta da quanto ha ottenuto sul piano dei diritti civili e vive in una democrazia appagata e del tutto ripiegata sul presente».
Abbattute, finalmente, le grandi utopie dei secoli scorsi, foriere di altrettante grandi tragedie, sono solo i cattolici che paiono capaci di guardare al futuro?
«Pare di sì. Di fronte alla debolezza, all’incapacità progettuale, la Chiesa esercita una forma di supplenza alle nostre fiacche democrazie. Tocqueville, già nel 1840, preconizzava l’era del “materialismo onesto”. Un’èra in cui i cittadini, come uccelli impagliati, si ingozzano di conforti, di beni, di ogni cosa, proprio perché del domani non c’è certezza. Diceva ancora Tocqueville: “Quando il passato non getta la sua ombra sul futuro” dobbiamo essere molto preoccupati. Oggi, purtroppo, siamo in un questa condizione».

il manifesto: però cercano:
da Mesmer a Charcot

il manifesto 13 maggio 2005
Influssi magnetici sulla Rivoluzione
MARCO DOTTI
Incontro con Robert Darnton, fra i maggiori specialisti delle dinamiche interne alla censura nell'epoca moderna e tra le principali autorità nel campo della sociologia della lettura e della storia delle mentalità nella Francia del XVIII secolo. In questa pagina parla di Anton Mesmer, il medico-filosofo viennese «scopritore del magnetismo animale» e protagonista di un suo libro appena tradotto. Una figura di brillante ciarlatano capace di veicolare tensioni che sarebbero violentemente esplose negli anni della Rivoluzione francese propagandosi fino all'immaginario, politico e letterario, romantico
Si ha talvolta il sospetto che gli studiosi della società abitino un mondo a parte e che il loro universo sia strutturato unicamente secondo modelli di comportamento perfetti, popolato di tipi ideali. La stessa cosa non può dirsi per Robert Darnton che nel «disordine costitutivo» della storia mostra di trovarsi e di muoversi perfettamente a proprio agio. Presidente dell'American Historical Association, docente a Princeton, osservatore attento e interessato di e-books e nuove tecnologie applicate all'editoria, Darnton è fra i maggiori specialisti per quanto attiene alle dinamiche della censura nell'epoca moderna e tra le principali autorità nel campo della sociologia della lettura e della storia delle mentalità nella Francia del diciottesimo secolo. Da Il grande massacro dei gatti (Adelphi, 1988), a Il grande affare dei lumi (Sylvestre Bonnard, 1998), monumentale affresco dedicato alle vicende editoriali dell'edizione in-quarto dell'Encyclopédie, fino al dettagliato resoconto della caduta del muro e dell'asfittico regime del suo architetto politico, Erich Honecker, pubblicato in quel singolare esercizio di «storiografia in presa diretta» che è il Diario berlinese (Einaudi, 1992), a più riprese il grande pubblico ha mostrato di apprezzare i suoi testi, scritti con chiarezza e stile esemplari e concepiti con ambizioni che vanno ben oltre i confini e il gergo del mondo accademico. Interrogato sulla sua passione per i fatti esemplari della storia e per quelli, forse meno gratificanti, dell'attualità, Robert Darnton ama ricordare - come ha puntualmente fatto nelle pagine di uno dei suoi libri più noti, Il bacio di Lamourette (Adelphi 1994) i giorni in cui, ventenne cronista di nera, venne inviato presso il commissariato di Newark, dove imparò a scontrarsi con «stereotipi e gerarchie» che regolavano la selezione, la stesura e la presentazione delle notizie: una «B» maiuscola posta su un fascicolo indicava, per esempio, che la vittima era di colore (black), classificando il fatto come «privo di interesse». Molti anni più tardi, quando aveva ormai cambiato mestiere e svolgeva ricerche tra ben altri fascicoli, Darnton confessò di aver ritrovato negli archivi francesi «racconti che presentavano una grande somiglianza» con gli articoli scritti dai giornalisti che frequentavano il comando di polizia di Newark. «Allora nessuno di noi sospettava che sul nostro modo di riportare i crimini di Newark influissero delle determinanti culturali», eppure «quando ci mettevamo alla macchina da scrivere le nostre menti non erano certo tabula rasa», soltanto che «a causa della nostra tendenza a osservare i fatti del momento piuttosto che i processi a lungo termine, ci muovevamo come ciechi».
La necessità di «non essere ciechi dinanzi agli eventi» lo portò a studiare uno dei più discussi, e tuttavia misconosciuti, momenti di crisi e di passaggio dall'illuminismo alle idee rivoluzionarie, attraverso quello sguardo «dal basso» che si sarebbe rivelato come il tratto distintivo di tutta la sua ricerca storica a venire. Nel 1968, Darnton diede infatti alle stampe il suo primo lavoro, dedicato alla vera e propria mania che si scatenò attorno alla figura di Franz Anton Mesmer, il medico-filosofo viennese «scopritore del magnetismo animale». Una figura di brillante ciarlatano capace, suo malgrado, di veicolare tensioni e conflitti che sarebbero violentemente esplosi negli anni della Rivoluzione propagandosi fino all'immaginario, politico e letterario, romantico. Nonostante il successo editoriale e gli immediati riscontri critici che accolsero il lavoro del neppure trentenne Darnton, il libro è misteriosamente sfuggito all'attenzione dei consulenti editoriali delle case editrici italiane. Solo ora, in una traduzione curata da Roberto Carretta e Renato Viola, appare per i tipi di Medusa col titolo Il mesmerismo e il tramonto dei lumi (pp. 201, euro 21). Per l'occasione, Robert Darnton, di passaggio a Monaco di Baviera, ha accettato di rispondere ad alcune domande.
Lei ha studiato sotto molti aspetti l'ambiente della letteratura bassa e della scienza popolare, analizzando soprattutto le dinamiche della circolazione e della diffusione, quasi sempre clandestina, delle idee illuministe. Ci può raccontare come è nato il suo interesse per Mesmer e per il mesmerismo?
Avevo incrociato, da poco, quel ramo della nostra disciplina che gli storici francesi chiamano «storia delle mentalità». Allora pensai - e anche oggi continuo a pensarla in questo modo - che lo studio della scienza popolare offrisse un percorso importante per esplorare e comprende l'orizzonte mentale delle donne e degli uomini francesi durante l'Ancien régime. Ovunque, negli scritti e negli opuscoli scientifico-popolari dell'epoca, trovavo riferimenti a forze meravigliose e invisibili, come quelle che alimentavano gli esperimenti con l'elettricità e i primi voli su palloni aerostatici e mongolfiere, forze che si ritrovavano in eguale misura anche nell'aria e nell'acqua e che per la prima volta i chimici erano in grado di scomporre e classificare nei loro singoli elementi. Franz Anton Mesmer annunciò la scoperta di una energia di questo genere, un fluido invisibile che, se correttamente manipolato, poteva curare malattie e malanni di ogni tipo, una sorta di panacea, ingenua quanto si vuole, ma pur sempre tale. Il pubblico rimase affascinato da questo proclama. Centinaia di persone affluirono a Parigi, dopo che, nel febbraio del 1778, Mesmer vi si era trasferito lasciando la sua bella abitazione viennese. Occorre infine ricordare che mesmerismo e magnestismo animale furono usati come sinonimi nella lingua di fine Settecento. Si trattò del movimento più ampiamente discusso ed esaminato, eccezion fatta, forse, per le mongolfiere, negli anni ottanta del XVIII secolo. Seguire il corso di quel movimento, ora, a due secoli di distanza, significa entrare in un mondo non certo costruito da Mesmer, ma forgiato - ecco il punto - dall'immaginazione collettiva. Un esempio che può illustrare il contesto di cui stiamo parlando si ritrova, ad esempio, in una nota scena «mesmerica» del Così fan tutte di Mozart.
Dopo essere stati osteggiati in ogni modo dall'ufficialità medica viennese, anche in Francia, a partire dal 1779, i metodi di Mesmer divennero oggetto di ferocissimi attacchi sferrati dalle pagine del «Journal de Médecine» e dalla «Gazette de Santé». Ma, al di là delle polemiche sulla «scientificità» della sua pratica terapeutica, esiste forse qualche altra ragione per cui le autorità cominciarono ad allarmarsi e, ben presto, dichiararono illegale il mesmerismo. In un certo senso, proprio grazie al mesmerismo, le tanto temute idee radicali stavano rientrando dalla porta di servizio.
Certamente, concordo sul fatto che le idee più radicali e innovative rientrino, talvolta, dalle «porte di servizio» della coscienza collettiva. Allo stesso modo, succede col commercio e lo scambio di libri clandestini, il cui passaggio di mano in mano avveniva spesso, letteralmente, dalle porte e dalle finestre poco in vista delle librerie. Potremmo scoprirne casi esemplari un po' dovunque, tranne che nei posti più ovvi, dove tutti si aspetterebbero di trovarne: è proprio questa una delle cose più affascinanti, credo, del nostro genere di ricerche. Nei manoscritti di quello che, nel 1780, era il capo della polizia parigina, ho trovato una nota informativa molto interessante. Se ne deduce che la polizia aveva motivo di ritenere che i luoghi dove si svolgevano gli incontri tra mesmeristi fossero pericolosi centri di fermento ideologico radicale. Nei manoscritti della «Società per l'Armonia universale», infine, ho scoperto le prove che i sospetti della polizia erano fondati. Simili commistioni di ideologia e mondanità possono trovarsi in alcune (non molte) logge massoniche del tempo. Ora che sono tornato a studiare le fonti delle polizia, agli archivi di Quai d'Orsay, sono più impressionato che mai dalla scaltrezza delle autorità durante l'Ancien Régime. La sapevano lunga anche loro, riguardo alle «porte di servizio».
Una di queste brecce fu aperta nei confronti di un'altra rivoluzione, quella americana. Che rapporto intercorse tra le idee di Mesmer e quelle che si andavano affermando oltre oceano?
Gli autorevoli membri della mesmerista «Società dell'Armonia universale», non escluso La Fayette, erano fortemente schierati al fianco della Rivoluzione americana. Bergasse e Brissot, entrambi ferventi seguaci di Mesmer, diedero vita a una «Gallo-American Society», attraverso la quale venivano diffuse idee radicali legate alla Rivoluzione americana. La Fayette cercò pure di «convertire» George Washington al mesmerismo. Come ho provato a raccontare nel mio ultimo libro, La dentiera di Washington (trad. di Andrea Bianchi, Donzelli) che è anch'esso uno studio sull'ideologia e «le mentalità», il povero presidente soffriva di un terribile mal di denti. Usava una dentiera di legno, e non poteva mangiare carne senza provare un terribile dolore alle gengive. Per questo, essendo alla ricerca di una cura, gli fu offerto il «rimedio universale» del fluido animale... Ciò nonostante non si convertì al mesmerismo.
Tra le idee progressiste che hanno incontrato il favore non solo delle élites letterarie, ma anche delle masse semi-illetterate francesi possiamo dunque includere anche il magnetismo animale?
In effetti, la versione popolare e sviluppata da certi seguaci di Mesmer, in particolare da Bergasse, mostra come idee astratte possono essere inglobate in un movimento che già ha riscontrato i favori del grosso pubblico, diventando in tal modo un eccellente veicolo per la diffusione e la copertura di una ideologia clandestina. Inoltre, non dimentichiamoci del ruolo che ebbe Bergasse nel corso della Rivoluzione francese.
Riferendosi, in particolare, proprio alla figura di Nicholas Bergasse e a quella di Jacques-Pierre Brissot, entrambi mesmeristi radicali, lei sostiene che il movimento si rivelava anche come una teoria politica (in parte derivata da una «semplificazione» di Rousseau) sotto mentite spoglie. Può chiarire questo punto?
Ovviamente, le idee mesmeriche di Bergasse e Brissot erano versioni annacquate e divulgative delle idee e dei concetti di Rousseau, eppure queste volgarizzazioni apparivano perfettamente adatte e funzionali alla larga diffusione presso un pubblico che cominciava a riscoprire natura e scienze della natura. Gli esponenti più radicali del movimento sostenevano che il mesmerismo offrisse lo spunto per un nuovo genere di scienza sociale, qualcosa che potesse infine aiutare i francesi a liberarsi dai troppi fardelli socio-politici che ancora si portavano addosso, e li conducesse a un ordine più «naturale». Se guardiamo bene, anche Condorcet stabilisce un parallelo simile tra scienze sociali e naturali, quantunque fosse uno strenuo oppositore del mesmerismo. Questo stesso modo di pensare abbracciava, d'altronde, ambiti molto diversi tra loro.
Il successo del mesmerismo tra i letterati potrebbe essere dovuto al fatto che rappresentava una sorta di apertura elementare verso tutte quelle forze invisibili e oscure che la scienza non era ancora in grado di descrivere. Come fu possibile che una figura controversa e atipica come Mesmer - da lei definito «il primo romantico ad attraversare il Reno» - riuscisse ad influire in maniera tanto forte sull'immaginario francese del XVIII secolo?
Non solo nel XVIII, anche nel XIX secolo il mesmerismo continuò ad attrarre alcune persone, e a respingerne altre. In particolare, suscitò una attrazione irresistibile su tutti quelli che si riconoscevano nello spirito del Romanticismo. Una volta che si acquista dimestichezza con i particolarissimi modi di pensare e il linguaggio, ricco di metafore, del mesmerismo, non è difficile ritrovarne le tracce in gran parte della letteratura europea dell'epoca. Lo troviamo un po' ovunque in Balzac, Hugo e in altre correnti intellettuali e movimenti di idee, dalla frenologia ai seguaci di Swedenborg. Lo potreste ritrovare in luoghi sorprendenti e inaspettati della letteratura inglese e tedesca. È certo che esercitò una grandissima attrattiva fra gli americani del XIX secolo. Certamente, l'opposizione nei confronti dell'establishment medico ufficiale, rappresentato dall'Accademia francese delle scienze, indirizzò molte persone verso il mesmerismo. I conflitti, le defezioni, i dissensi e gli scandali tennero vivo l'interesse per più di un secolo. Grazie alla scoperta dell'ipnosi da parte di Puysegur, uno dei più attivi discepoli di Mesmer, continuarono a sopravvivere diverse correnti di mesmerismo, talvolta sotto la superficie, in maniera nascosta e latente, nelle scienze mediche, pensiamo all'opera di Charcot. Da quando Freud studiò con Charcot ed esplorò l'ipnotismo su larga scala, con i suoi esperimenti e con i problemi connessi al transfert psicoanalitico, il mesmerismo ha trovato il modo di sopravvivere, in forme attenuate e latenti, anche nel XX secolo. Pensi che mi è capitato di essere stato invitato per una lezione, a Parigi, da alcuni psicoanalisti che pensavano fosse giunto il momento di lasciare perdere Freud e di tornare alla vera fonte delle sue più importanti intuizioni: Franz Anton Mesmer!

Nel corpo dei nervi da Mesmer a Charcot
Una fede febbrile
A centinaia si affollarono per curare mali di ogni tipo tramite il magnetismo animale

M. D.

Nato a Iznang, sulle sponde del lago di Costanza, il 23 maggio del 1734, Franz Anton Mesmer studiò teologia presso l'Università di Ingolstadt, in Baviera, dove si dedicò anche all'approfondimento della matematica e delle scienze naturali. Trasferitosi a Vienna, nel 1766 discusse presso la Facoltà di medicina una dissertazione di laurea sull'attrazione e l'influsso esercitato dagli astri nei confronti della «gravità animale». Fu approfondendo queste ricerche che Mesmer incontrò le teorie sulla «terapia attraverso i magneti» di Maximilian Hell, un estroso gesuita, professore di astronomia nell'università della capitale e astrologo alla corte di Maria Teresa. Ben presto Mesmer giunse ad affermare l'esistenza di un «fluido universale veicolato dagli esseri viventi, capace di passare da un corpo all'altro» e in grado, indipendentemente dalla presenza di magneti, di curare febbre, paralisi e innumerevoli malattie di origine nervosa, semplicemente «liberando», attraverso un rudimentale procedimento catartico, l'energia ostruita nell'organismo malato. Fu così che lo stravagante medico-filosofo, figlio di un modesto guardia bosco, balzò agli onori delle cronache per le «miracolose» - e, a quanto pare, costosissime e sospette - guarigioni di giovani epilettiche. Il giardino della sua casa, con vista su Prater e Danubio, si riempì di visitatori curiosi e di pazienti senza speranza provenienti da ogni dove. Maestro di teatralità, per allietare l'attesa dei suoi ospiti e stordire gli increduli, Mesmer organizzava spettacoli con giochi d'acqua e luci, o concerti per glassa harmonica, ammaliante strumento a cristalli rotanti che in quegli anni era stato perfezionato da Benjamin Franklin. Osteggiato dall'ufficialità medica che mal tollerava il suo disinvolto sincretismo e la sua crescente notorietà, nel febbraio del 1778, Mesmer decise di trasferirsi a Parigi, stabilendosi in Place Vendôme. Nei venti anni che precedettero la Rivoluzione, Parigi era tutto un fermento di logge massoniche «progressiste», di almanacchi astrologici e gazzette scientifiche che, mischiando divulgazione e scienza popolare, contribuivano a costruire una sorta di meraviglioso scientifico collettivo. Ma anche in Francia, a partire dal 1779, Mesmer fu oggetto di dure contestazioni. Al centro delle polemiche si trovava la «baquet», una delle «trovate» più feconde e pittoresche di Mesmer. Si trattava di una grande vasca di legno in cui i pazienti si immergevano per essere «magnetizzati» collettivamente attraverso conduttori metallici, come in un enorme condensatore elettrico. Un metodo che attraverso gli esperimenti sul «sonno ipnotico» del marchese di Puységur e di Joseph Philippe François Deleuze - autore, tra l'altro, di una Histoire critique du Magnétisme animal edita a Parigi nel 1813 - condurrà il mesmerismo a una sorta di «interiorizzazione», portandolo da un versante puramente meccanicistico di azione e reazione ad uno più «psicologizzante», legato al sonno, ai sogni e all'ipnosi È in questa forma che il «mesmerismo» giungerà fino a Charcot «suggerendo» la pratica ipnotica nel trattamento dell'isteria. Come osserva Alessandra Violi in un bel lavoro titolato Il teatro dei nervi. Fantasmi del moderno da Mesmer a Charcot, recentemente apparso per Bruno Mondadori (2005, pp. 249, euro 23), la teatralizzazione mesmerica della terapia riguarderebbe una sorta di «automatismo nervoso» per cui, in assenza del controllo vigile del soggetto preda della trance, «la macchina nervosa» darebbe «vita a un interscambio con l'esterno che oscilla ambiguamente tra attività e passività», rendendo «impossibile stabilire a chi appartenga quel corpo letteralmente sensazionale». La condizione di ipnosi mesmerica connoterebbe, in altri termini, «una esistenza informe, incompatibile con la nozione occidentale di identità» e induce a concludere che, all'epoca dì Mesmer e nel secolo successivo, «la logica della macchina nervosa» corrisponderebbe a quello che potremmo definire «un inconscio corporeo, calato cioè nel corpo materiale e nell'autonomia delle sue sensazioni». In questa prospettiva, la «terapia mesmerica» rappresenterebbe «il momento di massima esplicitazione di questo inconscio, lo spettacolo di un corpo nervoso sensazionale afflitto da un'attività inconsapevole e mimetica che solo il ricorso al sovrannaturale può intervenire a spiegare».

veterofreudismo
il prof. Gioanola e la letteratura italiana
...e Severino su Leopardi

L’ARENA Sabato 14 Maggio 2005
Follia sintomo di genialità
Esplorazioni nella psiche di scrittori e poeti italiani
Intervista a Elio Gioanola, autore di un saggio su «Psicanalisi e interpretazione letteraria», in cui si dice convinto che la creatività sia sempre figlia di una sottile nevrosi
Renzo Oberti

La follia è il primo sintomo della genialità, così come la creatività è generalmente figlia di una sottile nevrosi. Potrebbero sembrare dei paradossi, ma il professor Elio Gioanola, docente di Letteratura italiana all'Università di Genova, ne è convinto. E questo l'ha spinto a scrivere i venti saggi raccolti nel volume Psicanalisi e interpretazione letteraria (Jaca Book, 447 pagine, 24,00 euro), che sono altrettante esplorazioni nella psiche di Leopardi, Pascoli, D'Annunzio, Saba, Montale, Penna, Pavese, Quasimodo, Caproni, Sanguineti, Elsa Morante, Primo Levi, Mario Soldati e altri scrittori e poeti italiani. Poiché dietro e dentro un'opera letteraria c'è sempre la presenza di una sofferenza, si è sentito autorizzato a praticare "un'ermeneutica letteraria rigorosamente freudiana", ad avvicinarsi a questi autori con l'occhio del critico psicanalista. Tanto più che la psicanalisi "è insieme una teoria delle nevrosi e una teoria della cultura".
"L'artista - mi dice il prof. Gioanola - possiede sempre una sensibilità eccezionale, per cui è più soggetto di altri a subire delle ferite dal mondo esterno. A questa ipersensibilità reagisce con la malattia, sublimata dall'opera. Non tutti i malati psichici diventano artisti, ma è difficile che un artista non abbia qualche sofferenza della psiche."
Molti scrittori s'immedesimano totalmente con i loro personaggi, altri invece mantengono le distanze. Da cosa dipendono questi due diversi atteggiamenti ?
"Italo Svevo, ad esempio, si rispecchia nei suoi personaggi, perché la loro nevrosi non è dissimile dalla sua. Tutt'altra cosa avviene per Pirandello, i cui personaggi presentano una vasta gamma di caratteri e non hanno mai molti riscontri con lui, perché soffrono di un disagio psichico diverso dal suo. In Pirandello c'è un io diviso che va in frantumi, e da questo deriva tutta la sequela straordinaria dei protagonisti dei suoi drammi."
La nevrosi di Pirandello non fu scatenata dalla follia della moglie, che fu per lui una durissima prova ?
"La malattia della moglie fu la classica goccia che fa traboccare il vaso. Perché Pirandello già a 18 anni confessava alla sorella che aveva paura di impazzire, e prima di sposarsi scrisse i famosi dialoghi Fra il gran me e il piccolo me, che sono una specie di manuale della divisione dell'io, e l'io diviso è la condizione dello schizoide. Non è detto che uno schizoide diventi schizofrenico : può diventare anche un genio come Pirandello, il quale poi ebbe la sventura di avere la moglie pazza e per di più di subire un dissesto economico, per cui si trovò in una condizione tremenda e dovette tramutare il piacere della scrittura in un mestiere."
E Leopardi ? Anche la sua famosa malinconia era la spia di una nevrosi ?
"Ho scritto un lungo saggio che s'intitola Leopardi e la malinconia. Questo "male dell'anima" è sempre stato amico degli artisti, e già Aristotele avvicinava la condizione malinconica al genio. In Leopardi essa è vissuta sino allo spasimo, e c'è un legame profondo tra la malinconia e la sua poetica dell'Infinito. E' la ricerca di un bene perduto che non si sa cosa sia, una nostalgia per ciò che poteva essere e non è stato. L'Infinito di Leopardi esprime questa ricerca che va al di là delle cose, del fenomenico."
Anche Giovanni Pascoli presenta patologie che mi sembra abbiano stimolato egregiamente il suo lavoro. Di cosa si alimentava la sua nevrosi ?
"Sì, Pascoli è un altro dei casi che ho studiato a fondo, tanto che su di lui ho scritto un libro, Sentimenti filiali di un parricida, che la dice lunga sul poeta della Cavallina storna. Il titolo è una frase di Proust che mi è sembrata adatta al suo caso, perché lui continuò per tutta la vita a piangere sulla morte del padre, e questo vuol dire che evidentemente era stato tentato da desideri parricidi, per cui quando poi il padre fu ammazzato si sentì talmente implicato in quell'omicidio da dedicare tutta la sua vita al tentativo di liberarsi dal senso di colpa."
Si dice che Pascoli annegasse spesso la tristezza in un buon bicchiere. Era un suo modo di dominare la nevrosi ?
"Cesare Garboli, a proposito della malattia che portò Pascoli nella fossa, ha scritto che la sua vita 'è il decorso di una malattia che abbandona progressivamente lo spirito e conquista, trasformata in cirrosi, il corpo'. Quando andò a Bologna per rimpiazzare Enotrio sulla più prestigiosa cattedra letteraria d'Italia, era già malato, ma continuò a farsi mandare damigiane di vino, rifiutandosi di ammettere il collegamento fra l'alcool e la sua infermità. D'altronde, come avrebbe potuto, senza il vino, far fronte agli assalti della malinconia, ai complessi d'inferiorità e alle ombre paranoidi che gli facevano vedere in tutti i colleghi dei nemici ?"
E dell'esibizionismo di D'Annunzio che diagnosi fa ?
"Si trattava di una forma di narcisismo portato all'esasperazione. Va naturalmente tenuto conto del clima dell'epoca, perché l'estetismo toccò anche scrittori di area inglese, francese e tedesca. Ma anche qui siamo di fronte a una forma di sofferenza, pur se mascherata da atteggiamenti gaudiosi. Anche il narcisismo, infatti, è una patologia, e nasconde spesso una pulsione di morte, e in D'Annunzio questa pulsione è molto forte. Nel Notturno e in alcuni romanzi emerge con forza il suo desiderio di volere tutto, un tutto non raggiungibile se non con la morte. Il suo stesso eroismo di aviatore è una dimostrazione dell'attrazione per la morte come raggiungimento dell'assoluto."
Nel suo libro lei si occupa anche di Federico Tozzi, un autore poco letto.
"E' stato soprattutto Debenedetti a rivalutare Tozzi nel suo Romanzo del Novecento, avvalendosi per primo in Italia di strumenti psicanalitici per far capire come il romanzo intitolato Con gli occhi chiusi sia anche una metafora della cecità come punizione. Abbiamo qui a che fare con un tema ricorrente nella letteratura del primo Novecento : la sofferenza nel rapporto tra padri e figli. In Tozzi un padre dominante schiaccia il figlio con la sua personalità fuori dal comune, e il figlio reagisce con la scrittura. Una condizione che si ritrova anche in Kafka e in Svevo, basta pensare alla Lettera al padre del primo e al capitolo La morte di mio padre nella Coscienza di Zeno del secondo."
Eppure, dopo aver formulato tante interessanti diagnosi, lei scrive che "il talento non è analizzabile". Perché ?
"Perché creare vuol dire inventare dal nulla.
E come si fa ad analizzare il nulla ?
Freud ha tentato di ridurre il più possibile il campo del non analizzabile, ma la creatività è al di fuori di qualsiasi possibilità di spiegazione, e se noi siamo ancora qui a parlare di Omero o di Dante, è proprio perché non c'è stata ancora una spiegazione.
Se fossimo riusciti a spiegare come sono andate davvero le cose nella loro creatività, avremmo esaurito la nostra comprensione. Invece noi non spieghiamo, interpretiamo all'infinito."

Il Giornale di Brescia 14.5.05
Severino e Leopardi
di Alberto Ottaviano

È noto che, per Emanuele Severino, Giacomo Leopardi è uno dei più grandi pensatori dell'Occidente: è lui il più coerente interprete di quella linea di pensiero dominante nel mondo, la quale, avendo avuto fede nel divenire dell'essere, ha portato al trionfo del nichilismo. È una linea che comincia da lontano, con Eschilo, il poeta greco che sta all'inizio del «sentiero della Notte», dunque della «follia dell'Occidente», che ha pensato che l'essere possa coincidere col nulla. L'affermazione che non esiste nulla di eterno - sottolinea Severino - è il centro della filosofia e della cultura di oggi. E Leopardi, abbastanza ignorato come pensatore nonostante le rivalutazioni, non solo ha aperto la strada alla filosofia contemporanea, ma è stato - secondo il filosofo bresciano - quello che meglio ha visto il futuro dell'Occidente: l'approssimarsi del paradiso della civiltà della tecnica e l'inevitabilità del suo fallimento. Si muove attorno a queste considerazioni un libro di Emanuele Severino pubblicato la prima volta nel 1990: Il nulla e la poesia, con sottotitolo Alla fine dell'età della tecnica: Leopardi. Quel libro, in una nuova edizione riveduta, è ora diventato un tascabile uscito nei mesi scorsi per la Bur di Rizzoli (9,20 euro). Severino segue il pensiero di Leopardi - nello Zibaldone, ma anche nell'Epistolario e nei Canti, «La ginestra» in primo luogo - mettendo in luce come il poeta abbia anticipato i «maestri del nulla» del pensiero contemporaneo, a partire da Nietzsche; e sottolinea come la poesia rappresenti per Leopardi l'ultima illusione di salvezza offerta agli uomini. Il libro è il primo dei due volumi che il filosofo bresciano ha dedicato al pensiero del Recanatese: il secondo volume è uscito nel 1997, sempre con l'editore Rizzoli (Cosa arcana e stupenda. L'Occidente e Leopardi).

l'opinione della neurolgia sullo stress

GALILEO 15.5.05
NEUROSCIENZE
La memoria dello stressdi Daniela Cipolloni

Sotto stress. Per un esame da sostenere, per un incontro che fa battere il cuore, per una scadenza di lavoro. Che sia positivo o traumatico, cronico o estemporaneo, lo stress è una condizione da mettere in conto, uno stato quasi ineliminabile della vita, al quale l'organismo è preparato a rispondere. Ma in che modo? Quali reazioni molecolari si scatenano nelle cellule nervose per effetto di uno stimolo stressante? Su Nature Neuroscience appare una ricerca dell'Istituto di Biomedicina e Immunologia Molecolare (Ibim) del Cnr di Palermo, condotta in collaborazione con l'Iserm di Bordeaux, che fa luce sui meccanismi cellulari dello stress e sulle conseguenze comportamentali che ne derivano. Come i vividi ricordi che si imprimono nella memoria nel caso di un'esperienza stressante.
Finora, di noto c'era che la reazione fisiologica a uno stimolo di stress culmina, al termine di una cascata di eventi, con l'aumento nel sangue dei livelli di glucocorticoidi, ormoni rilasciati dalla ghiandola surrenale. Il messaggio di una variazione ormonale in corso viene recapitato al cervello, nei distretti bersaglio capaci di accogliere lo stimolo. Infatti, su alcune cellule nervose, situate nella corteccia e nell'ippocampo, sono presenti i recettori dei glucocorticoidi che si attivano, a loro volta attivando nella cellula un sistema a catena di traduzione del segnale, capace poi di regolare tutte le risposte a valle. "La nostra scoperta", spiega Francesco Di Blasi dell'Ibim-Cnr, "consiste nell'aver individuato i target molecolari dei glucocorticoidi, ovvero la proteina chinasi attivata dal mitogeno, Mapk, e il fattore proteico Egr1. Entrambe hanno un ruolo fondamentale nelle reazioni fisiche e psicologiche legate allo stress".
Con sofisticate tecniche di biologia molecolare, i ricercatori hanno inibito selettivamente nei topi la proteina Mapk nei neuroni dell'ippocampo, regno della memoria e dell'apprendimento. Il ricordo, non a caso, è uno degli effetti maggiori indotti dalla secrezione dei glucocorticoidi. "Basti pensare allo studente che si prepara a un'interrogazione", osserva Di Blasi. "Vive un momento di stress, che tuttavia lo agevola, perché lo aiuta a tenere a mente le nozioni acquisite e mantenere più a lungo le capacità di attenzione". È così anche per gli animali. I topi, per esempio, se in passato hanno subito uno shock, ogni qualvolta tornano nello stesso ambiente manifestano una reazione di paura, anche quando la causa che li ha spaventati non c'è più. Ma inibendo la proteina Mapk il brutto ricordo se ne va: esposti nuovamente nel luogo che prima temevano, gli animali non reagiscono più. La traccia mnemonica dell'esperienza negativa è stata rimossa. Inibita insieme alla proteina.
"Nella risposta fisiologica allo stress, la relazione diretta, evidenziata da questo studio, tra i glucocorticoidi e il consolidamento della memoria di un'esperienza molto carica emotivamente rappresenta un meccanismo adattativo del sistema nervoso centrale", commenta Simona Cabib, psicobiologa presso la facoltà di Psicologia dell'Università "La Sapienza" di Roma. "La possibilità di mantenere una traccia mnestica è, infatti, una difesa naturale per l'organismo: se dimenticassimo le esperienze negative sarebbe come se non imparassimo mai, continueremmo ad affrontare le situazioni di pericolo senza percepirle come tali".
La stress attiva, quindi, una risposta positiva, di per sé utile e capace di autoregolarsi. Ma in casi particolari, in presenza di uno stimolo prolungato o in soggetti predisposti, tutto il sistema può andare in corto circuito. Così, quello che normalmente è fisiologico, può diventare patologico. "È il caso di chi soffre del disturbo post traumatico da stress" continua Cabib. "Dopo aver subito un evento traumatico, la persona comincia ad avere spaventose intrusioni di memoria nella vita quotidiana, che rendono difficilissima ogni altra attività". Anomalie nei livelli di glucocorticoidi sono state rilevate anche negli stati di depressione o nelle dipendenze da sostanze d'abuso.
Aver individuato i target molecolari coinvolti nello stress significa aver individuato punti di intervento specifici per alcune patologie. È un passo in avanti che potrà orientare la ricerca farmacologica nello sviluppo di strategie mirate contro sindromi, che sono legate allo stress. "In ogni caso", mette in guardia Cabib, "i farmaci di nuova generazione non serviranno in alcun modo a a proteggerci dallo stress quotidiano. Nello stress non c'è niente da curare. Lo scopo della ricerca è comprendere come intervenire in situazioni patologiche". E per fortuna, altrimenti, con molta probabilità, saremmo tutti da curare.

la sofferenza delle donne immigrate

L’Adige 13.5.05
Trento. In un convegno del Centro salute mentale analizzate le cause del disagio psicologico
Donne immigrate sole e «disperate»
Il 45% ha meno di 30 anni e cerca casa e lavoro
A. N.

«Salute mentale immigrazione»: questo il tema scelto per l'ultima serata del ciclo di incontri «Salute mentale, empowerment e cittadinanza attiva». Per parlare di un tema così complesso e così nascosto sono stati invitati assistenti sociali, psichiatri e delle donne, nella duplice veste di presidenti di associazioni per gli immigrati e nello stesso tempo protagoniste di un disagio vissuto in prima persona.
Nicola Pedergnana, assistente sociale del Comune di Trento, ha fornito dei dati interessanti: la presenza straniera nella nostra città è stimata al 4,7% sul totale della popolazione. La gran parte, oltre il 50%, sono donne e per il 45% si tratta di persone sotto i 30 anni. Successivamente sono intervenute Aicha Mesrar e Laura Ndrita, mediatrici culturali e presidenti rispettivamente dell´associazione Città Aperta e dell´associazione Amic, oltre a Nadia Kouliatina, presidente dell´associazione Agorà. Tutte hanno messo in rilievo la grande difficoltà in cui si viene a trovare una persona, soprattutto se sola, nel dover affrontare una serie di problemi fondamentali: la ricerca di una casa e di un lavoro.
«Vi è una forte tensione psicologica - ha affermato Aicha Mesrar - in quanto il contratto di lavoro è strettamente legato al permesso di soggiorno. Si tratta di persone con elevati titoli di studio che si trovano costrette ad accettare offerte di lavoro precario e pericoloso. Devono affrontare cambiamenti climatici ed adattarsi a diverse abitudini alimentari e culturali e senza una rete sociale e familiare di sostegno». Dai loro racconti è emerso che la famiglia è, in un certo senso, più protetta rispetto al single, ma i problemi insorgono quando i figli crescono e, giunti all´età dell´adolescenza, entrano in conflitto con la loro stessa identità. I ragazzi non si sentono né carne né pesce e non sanno cosa fare.
Le conclusioni sono state lasciate a Licia Scantamburlo, psichiatra e presidente del Gris (Gruppo di Immigrazione e Salute), che ha evidenziato le cause del fallimento del progetto migratorio. «Sono persone - ha affermato - che spesso devono vivere nella clandestinità, che perdono il loro status e ruolo e che si vedono negata la loro naturale esigenza di affettività e di sessualità. Spesso sono considerati come mera forza lavoro e nulla più».
Renzo De Stefani, responsabile del Centro di Salute mentale di Trento, ha affermato la necessità di fare di più per aiutare queste persone, anche perché ai servizi si rivolgono solo coloro che si sono già integrati e che hanno raggiunto una certa consapevolezza.

integrazione sensoriale: vista e udito

Le Scienze 12.05.2005
Integrazione sensoriale e attenzione
Un compito secondario può distrarre il cervello durante la fusione degli input sensoriali

Per ottenere una rappresentazione coerente e precisa dell'ambiente circostante, il cervello lega insieme i segnali provenienti dai differenti sensi, per esempio dalla vista e dall'udito. Questo processo si verifica spesso senza apparente sforzo e sembra non necessitare la nostra attenzione. Tuttavia, alcuni ricercatori hanno scoperto che l'integrazione dei segnali sensori può risultare disturbata quando l'attenzione viene distolta a favore di un compito secondario, suggerendo che la fusione non si verifichi in modo così "automatico" come si pensava finora. Lo studio di Salvador Soto-Faraco e colleghi dell'Università di Barcellona e di Ruth Campbell dell'University College di Londra è stato presentato sul numero del 10 maggio della rivista "Current Biology".
Un esempio classico di come la vista e l'udito si fondono insieme è dato dalla percezione del linguaggio. Anche se si tende a pensare che il linguaggio sia un processo puramente uditivo, è in realtà sorprendentemente sensibile alle influenze visive. Ciò è particolarmente evidente quando si tenta di seguire una conversazione in un luogo rumoroso: chi ascolta tende a osservare i movimenti labiali di chi parla e di sfruttarli per ricostruire le sue parole. Si riteneva che molti fenomeni di integrazione multisensoriali si verificassero senza bisogno di attenzione, ossia in modo automatico, poiché chi li percepisce ha accesso a entrambi i canali di input. Ora i ricercatori hanno messo direttamente alla prova questa ipotesi, scoprendo che se i soggetti devono eseguire un compito difficile che li distrae, la capacità di integrare il linguaggio uditivo e quello visivo risulta molto ridotta (illusione di McGurk), anche quando chi parla è chiaramente udibile e visibile, e a prescindere dalla natura visiva o uditiva del compito secondario.

A. Alsius, J. Navarra, R. Campbell, S. Soto-Faraco, "Audiovisual Integration of Speech Falters under High Attention Demands". Current Biology, Volume 15, No. 9, pp. 839-843 (10 maggio 2005).

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