Il Mattino di Padova, lunedì 17 marzo 2003
Un autoritratto di Schönberg. Le sue opere sono in mostra a Torino
Una selezione di opere del musicista-pittore in mostra alla Galleria d'Arte Moderna di Torino
Schönberg, sguardi e visioni
I ritratti del compositore che inventò la dodecafonia
di Virginia Baradel
Fu nel corso degli anni Novanta che il mondo della cultura si accorse che esisteva anche uno Schonberg pittore: il grande compositore che inventò la dodecafonia non era affatto un pittore dilettante. Non fu, infatti, una sorpresa il fatto che dipingesse ma destò interesse la consistenza di questa produzione e la considerazione in cui egli stesso la teneva negli anni che vanno dal 1906 al 1912. Addirittura ci fu un momento in cui pensò di affermarsi come pittore e di promuoversi anche sul mercato, fosse anche nelle vesti di ritrattista. In realtà ciò non accadde e la sua pittura rimase un episodio circoscritto assai importante non solo per i risultati ottenuti ma anche perché riuscì ad assorbire l'eccesso di investigazione spirituale, le tensioni, i brividi dell'accanimento introspettivo, proprio di quegli anni, lasciando una soggettività più libera e dissodata alla ricerca musicale.
Tale divaricazione era ben percepita da Kandinsky il quale da un lato era ammirato e catturato dall'assonanza tra la ricerca musicale di Schönberg e la sua arte astratta, dall'altro cercava di trovare un modo per valorizzare anche la pittura del musicista ponendo l'accento su un carattere di fisiologica inadeguatezza della pittura a esprimere temi di per sé insondabili. Egli infatti la definì "pittura del soltanto" intendendo per esso quell'aspetto di inquieta difettosità implicita nel tentativo di esteriorizzare l'"occhio interiore" poggiato sulla "bocca dell'anima". Sono gli anni in cui l'artista russo scrive "Lo spirituale nell'arte" e la dimensione della ricerca oltre il visibile e il sensibile affratella in un unico orizzonte ermetico la nascente arte astratta e la disposizione simbolista-espressionista.
La stagione di Schönberg pittore durò pochi anni e produsse un numero limitato di opere che appartengono in massima parte agli eredi. Sino al 1998 la collezione di oltre 160 opere era conservata all'Istituto Arnold Schönberg di Los Angeles. A quella data essa è stata trasferita a Vienna nel nuovo Centro che porta il nome del musicista e dunque da allora la figura di Schönberg pittore è stata approfondita sia per quel che riguarda la sua singolarità che il contesto in cui si è manifestata. Ora una selezione di dipinti, disegni e bozzetti di scena è in mostra alla Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino (sino al 16 marzo) nell'ambito del programma "Sintonie" che vede in scena musica, arti figurative, cinema e teatro in una combinazione pluriennale che arriverà sino all'appuntamento olimpico del 2006. Da gennaio a marzo di quest'anno la concertazione si muove intorno alle figure di Beethoven e Schönberg e la mostra si è inaugurata con l'esecuzione all'Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto della Kammersynphonie n02 op.38 eseguita dalla Mahler Chamber Orchestra diretta da Daniel Harding.
Dunque la pittura del compositore viennese si accorda ad una catena di eventi che ruotano intorno alla musica - "Sintonie" nasce da un'idea di Claudio Abbado - anche se non è più tempo di orientare la riflessione cercando rimandi tra la sua musica e la sua pittura, bensì di leggere questa avventura come capitolo a sé. E' evidente che negli occhi sbarrati degli autoritratti e dei ritratti di Schönberg si registra l'eco di un sisma che agita il profondo, l'abisso interiore dove trovano luogo non solo l'inconscio (dirompente novità freudiana) ma anche quegli stati remoti e misteriosi frequentati dalla letteratura simbolista e dalla Teosofia.
Il clima era propizio a questi affondi irrazionali che trovano una via di sofferta e originale evidenza nel solco tra la Secessione e l'Espressionismo, più esattamente nell'esperienza del Blaue Reiter intrisa programmaticamente di spiritualismo. Sulla strada di Schönberg pittore contarono certo Kokoschka e Gerstl non meno di Van Gogh, Munch e Kubin. Contò molto anche Kandinsky ma più come interlocutore che venerava il compositore che come collega e critico. Questo dell'approvazione da parte degli altri artisti fu un terreno scosceso che fece penare e arrabbiare il musicista. Gli stessi artisti del Cavaliere Azzurro, con i quali Schönberg espose in occasione della prima esposizione del gruppo, erano perplessi e Macke non risparmiò strali sarcastici. Cosa c'era che non andava? L'eccesso di rovello introspettivo, l'urgenza emotiva non governata da una sicura padronanza espressiva. La ricerca dell'essenziale, pur professata e condivisa con lo stesso Kandinsky, non riguardava tanto i mezzi linguistici quanto l'enucleazione del centro ribollente di un "io" che abitava i piani sotterranei della coscienza. Dunque un investimento di significato recondito rischiava di sovraccaricare una dotazione espressiva che non sembrava in grado di sopportarne il peso.
Gli autoritratti e i ritratti di Schönberg si guardano, infatti, più rapiti per la testimonianza che ammirati per la prova d'arte; mentre le cosiddette "Visioni" sono molto più interessanti e riescono a riverberare il mistero che si annida alla radice dell'uomo con i mezzi di una pittura povera, volutamente larvale, certamente incline al Simbolismo. Il tema delle "Visioni" è lo "Sguardo" che rivela mondi indicibili e non negoziabili dalla mente. Al confronto con questi sguardi visionari, con queste pupille dilatate come fuochi non più regolabili e cerchiate da una veggente insonnia, l'occhio-satellite di Odilon Redon sembra piuttosto appartenere ad una preziosa e surreale fantascienza. E' certamente a questa altezza, tra le pieghe forse ancora avviluppate e non mai del tutto dispiegate di un inquieto spiritualismo che l'inflessibile autoanalisi di Schönberg trova modo di manifestarsi e perciò stesso, in qualche modo, di placarsi.
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