martedì 15 luglio 2003

Gianni Vattimo, Luciana Sica, Herbert Marcuse

(citato al seminario)
Repubblica 15.7.03
L´INTERVISTA
Parla Gianni Vattimo: "Il suo pensiero della rivolta lo iscrive fra i grandi pensatori del secolo"
"Ma per lui la vera rivoluzione era anche liberarsi da se stessi"
La sua riflessione ancora attuale: ipotizza una liberazione "estetica" che non si lascia integrare
Riuscì a far capire che non basta rovesciare le classi dominanti, se non ci si libera dalla repressione interiore
LUCIANA SICA

ROMA - E´ un´idea oggi abbastanza diffusa: a Herbert Marcuse nuoce essere ricordato soprattutto come il filosofo della rivoluzione studentesca, mentre è tra i più importanti pensatori del Novecento. Ma quest´idea, a Gianni Vattimo, sembra piuttosto un luogo comune del tutto inconsistente. «Marcuse - dice - è un marxista critico, ma pur sempre un marxista, che non separa facilmente la teoria dalla prassi. Io non opporrei le sue qualità, perché anzi le due cose si tengono strettamente: è proprio il suo pensiero della rivolta che lo iscrive tra i grandi filosofi del secolo. Del resto anche Hegel, quando preparava i suoi scritti, era un ammiratore della Rivoluzione francese».
Oggi in che consiste la grandezza di Marcuse?
«Nell´aver liberato il marxismo dal puro sociologismo... Marcuse, con Eros e civiltà, mostra che non si può immaginare la rivoluzione solo come rovesciamento del potere della classe dominante, ma anche come rottura delle gerarchie repressive interne ai singoli individui. In questo unifica l´eredità di Marx con quella di Hegel, ma anche con l´insegnamento di Nietzsche».
E mostra di aver letto a fondo Freud...
«Senz´altro: legge Freud come Marx. Non è affatto un ideologo della psicoanalisi, Marcuse, ma lega saldamente lo strapotere invadente delle strutture sociali alle repressioni individuali. E quindi non può fare a meno di Freud. Naturalmente il problema è vedere se la fine dell´alienazione sia possibile. Marcuse lo crede davvero?».
Si direbbe di no. In fondo ritiene che la società repressiva sia congegnata in modo da integrare i "portatori di alternative": studenti, intellettuali, emarginati, poveri del mondo... Non è una posizione assolutamente pessimista?
«Non sono sicuro che fosse così disperato. Non era molto ottimista, è vero, ma la sua idea di un´uscita "estetica" dall´alienazione può ancora indicare una direzione realisticamente percorribile».
In che senso? Nel saggio del ´55 che lei citava, Eros e civiltà, Marcuse riconosce nella dimensione estetica il modello di un´esperienza non alienata, rivalutando la nozione romantica del "gioco" come principio di una cultura non repressiva. Ma oggi, di questa analisi, che cosa resta in piedi?
«Resta in piedi che non crediamo più nella possibilità e neppure nella necessità di trasformare totalmente la società. In questo siamo meno pessimisti di lui, nel senso che - pur non aspettandoci la rivoluzione globale - riteniamo possibile realizzare delle zone di esistenza autentica, appunto "estetica". E´ in fondo l´idea di prendersi cura di se stessi, anche al di fuori della presa del potere a tutti i costi, di una possibilità di spazi creativi individuali o di gruppi o anche di comunità».
Lei considera la lezione di Marcuse molto attuale, ma l´impressione è un´altra. Si potrebbe forse riassumere così: Marcuse negli anni Sessanta è un mito, ma poi il suo pensiero - come più in generale quello dei "francofortesi" - diventa quasi una zavorra del passato...
«Per quello che mi riguarda, parlo sempre di Marcuse: lo trovo un pensatore estremamente attuale, che intanto ha il merito di separare il progetto di autenticità dall´idea leninista di rivoluzione».
Ma il best-seller di Marcuse è L´uomo a una dimensione, dove si ipotizza un´omologazione di patrie, di razze, di individui... Non le sembra che il ritorno ai nazionalismi e alle teocrazie lo rendano abbastanza inservibile?
«Certamente, il saggio di Marcuse più attuale è Eros e civiltà, dove l´idea della liberazione sul piano estetico ipotizza molteplici forme di esistenza che non si lasciano integrare da nessuna parte. L´uomo a una dimensione introduce invece quel pessimismo totale sulla società tecnologica che può sfociare soltanto nel terrorismo o nell´inerzia».