(segnalato da Lia Pallone)
L'Unità, 19 luglio 2003
Innovativa sentenza della Corte Costituzionale: fino a ieri chi veniva prosciolto per infermità aveva davanti a sé solo l'ospedale psichiatrico. Cancrini: sentenza rilevante, così è possibile il recupero
"Non solo il carcere per i malati di mente che commettono reati"
di Marco Montrone
ROMA. Qual è il destino di chi commette un reato ma viene "prosciolto per vizio totale di mente"? Fino ad ieri se era socialmente pericoloso gli era concessa solo una via: l'ospedale psichiatrico giudiziario. Da oggi, ha un'alternativa: il giudice potrà adottare misure di sicurezza meno segreganti, come la libertà vigilata. A patto che si riesca a curare e tutelare la persona interessata, controllando contemporaneamente la sua pericolosità sociale.
E' quanto ha deciso la Consulta, che con la sentenza n. 253 ha dichiarato incostituzionale l'art. 222 del codice penale nella parte in cui imponeva al giudice sempre e solo la decisione del ricovero in un ospedale psichiatrico.
"E' una sentenza rilevante - dichiara con soddisfazione lo psichiatra e psicoterapeutica Luigi Cancrini - E' giusto che il giudice, consigliato da consulenti capaci, possa ragionare in direzione del recupero della persona malata, dando importanza più al disturbo che al reato.
Certo, alcune volte l'internamento può essere utile e questo avviene quando la persona ha un bisogno di contenimento, di riorganizzazione dall'esterno dei suoi comportamenti, ma in altre situazioni l'ospedale è inutile e addirittura controproducente".
A rivolgersi alla Consulta era stato il Gup del Tribunale di Genova, chiamato a pronunciarsi sulla responsabilità penale di un imputato di violenza sessuale aggravata e lesione personale, ritenuto, in sede di perizia, totalmente incapace di intendere e di volere per infermità psichica. Il giudice aveva fatto osservare che la rigidità dell'art. 222 impediva l'adozione di misure idonee a difendere la collettività e insieme a curare adeguatamente un soggetto pericoloso ma penalmente irresponsabile.
La Corte Costituzionale gli ha dato ragione, fissando i seguenti paletti:
1) "la situazione dell'infermo di mente che abbia compiuto atti costituenti oggettivamente reato, ma non sia responsabile penalmente in forza della sua infermità, è per molti versi assimilabile a quella di una persona bisognosa di specifica protezione come il minore";
2) "per l'infermo di mente l'automatismo di una misura segregante e totale come il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario imposta pur quando essa appaia in concreto inadatta, infrange l'equilibrio costituzionalmente necessario e viola esigenze essenziali di protezione dei diritti della persona, nella specie del diritto alla salute".
Gli infermi di mente, hanno sostenuto i giudici, "non solo penalmente responsabili e dunque non possono essere destinatari di misure aventi un contenuto anche solo parzialmente punitivo". Per loro c'è bisogno di "misure a contenuto terapeutico", in grado di "contenere la pericolosità e tutelare la collettività da ulteriori possibili manifestazioni". Tanto più, ha osservato la Consulta, che "le esigenze di tutela della collettività non potrebbero mai giustificare misure tali da recare danno, anziché vantaggio, alla salute del paziente". Ciò sarebbe "non ammissibile".
Nell'occasione i giudici hanno "bacchettato" il legislatore, colpevole di essere rimasto inerte "in un campo caratterizzato da scelte risalenti nel tempo e mai riviste alla luce dei principi costituzionali e delle acquisizioni scientifiche", invitandolo a intraprendere "la strada di un ripensamento del sistema delle misure di sicurezza, con particolare riguardo a quelle previste per gli infermi di mente autori di fatto di reato, e ancor più di una riorganizzazione delle strutture e di un potenziamento delle risorse".
Un avvertimento, quello della Corte Costituzionale, che trova pienamente d'accordo Franco Corleone dei Verdi, che nel 1996 aveva presentato una proposta di legge che prevedeva l'abolizione dell'art. 222 e una radicale riforma del concetto di imputabilità. Non aveva senso evitare all'infermo il carcere, per poi "punirlo con la restrizione ed il trattamento di un contesto psichiatrico".
"Spero - ha dichiarato Corleone - che questo sia il primo passo per riformare interamente il sistema psichiatrico giudiziario".
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