domenica 9 novembre 2003

Galimberti a Rovereto, su "il corpo in Occidente"

Alto Adige 9.11.03
Corpo & anima Al Mart una «lezione» sull'uso del nostro fisico oggi
I muscoli di Galimberti
«Diete, moda: così non siamo più noi»

No al corpo - oggetto. Umberto Galimberti, ieri a Rovereto per il convegno «Il corpo fra creatività artistica e tecnologica» presso il Mart, ha condotto una dura critica del modo tecnologico di pensare e usare il corpo umano. A Galimberti era affidata la prolusione sulla concezione del corpo nel pensiero occidentale.
di Andrea Mubi


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Il filosofo e prolifico saggista, ordinario del dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze all'Università di Venezia, è tra i critici più severi del predominio della tecnica, come bene testimonia una delle sue opere più eminenti, "Psiche e Techne"
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Il pensiero cristiano, spiega Galimberti, non eredita dall'ebraismo alcuna idea di anima, poiché nella cultura ebraica centrale era il corpo, e la parola «nefesh» (psyché) era intesa in senso vitalistico. La eredita invece da Platone, egli stesso punto di rottura rispetto alla concezione greca omerica antica e poi classica, dove il corpo non era ammasso anatomico, ma espressività energetica, e la psyché sembra riferirsi più a una proprietà respiratoria dell'essere vivente che non ad un'anima in senso compiuto. Ecco allora la rivoluzione platonica: la psyché come il prodotto di un programma filosofico volto alla ricerca di una base stabile, di verità, su cui porre la capacità generalizzante - astrattiva dell'uomo. L'anima non nasce come tentativo di spiegare la soggettività, bensì come tentativo di raggiungere l'oggettività, di astrattare al di là del punto di vista di ciascuno: l'anima come luogo epistemico (di salda e sicura conoscenza) dell'immutabile, come organo matematico che si intende cone le idee eterne, laddova il corpo muta instabile con le sue passioni, le sue malattie, il suo invecchiamento. Il pensiero cristiano, con Agostino, riprende la concezione platonica della psyché che altrimenti non avrebbe potuto inventare, non essendoci nella tradizione ebraica - e neppure nel cristianesimo delle origini - e la lega alla dimensione della salvezza spirituale dell'uomo. Allo stesso tempo è questa mossa a consacrare la nascita dell'individualismo occidentale: ognuno salva la propria anima. E intanto il corpo diventa sempre più «cosa». Con i moderni e Cartesio si inaugura la concezione del «corpo anatomico», il corpo oggettivo come insieme di organi su cui ancora oggi si basa la medicina. Il dualismo tra il corpo - vissuto del mondo della vita, cioé il corpo «mio» (Leib), da una parte, e il corpo - cosa, oggetto medico (Korperding) dall'altra, diviene radicale e pericoloso. Qui Galimberti sostiene l'importanza di reclamare che «il corpo non è una cosa, siamo noi». Al contrario, la frattura tra l'io e il corpo è la forma base della schizofrenia, che emerge in tutti i contesti patologici: nella malattia, l'io si oppone al proprio stesso corpo. E qualcosa, come una malattia, sono dunque da ritenere per Galimberti tutte quelle pratiche, diffusissime, che ci portano ad agire sul nostro corpo come su un oggetto, dalle palestra alle diete a una medicina che si è scordata che al di là degli organi c'è l'uomo. Soluzione? Tornare ad agire con il nostro corpo nel mondo.