Venezia, Gallerie dell’Accademia
Dal 1 novembre 2003 al 22 febbraio 2004
Vienna, Kunsthistorisches Museum
Da marzo a giugno 2004
(per altre informazioni, cliccare QUI)
“Egli appare piuttosto come un mito che come un uomo. Nessun destino di poeta è comparabile al suo, in terra. Tutto, o quasi di lui s’ignora, e taluno giunge a negare la sua esistenza. Il suo nome non è scritto in alcuna opera; e taluno non gli riconosce alcuna opera certa…”
G. D’Annunzio, Il fuoco, 1898
Dal 1 novembre le Gallerie dell’Accademia di Venezia ospitano uno straordinario evento espositivo dedicato a Zorzi da Castelfranco, detto Giorgione, tra i maestri più affascinanti e misteriosi della pittura rinascimentale. L’occasione è offerta dalla presentazione della Pala del Duomo di Castelfranco dopo l’esemplare restauro eseguito nei laboratori del museo a cura della Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Veneziano, la Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico del Veneto e l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.
Esponendo la Pala alle Gallerie, naturalmente all’interno di una speciale teca climatizzata, non si poteva non accostarla alle altre opere presenti nel museo: la Tempesta, la Vecchia, la Nuda , e insieme a queste il Cristo portacroce della Scuola Grande di San Rocco, unico altro dipinto rimasto in città e ormai concordemente assegnato all’artista. E’ sembrato conseguente aggiungere alla Nuda, frammento superstite della grande decorazione del Fondaco dei Tedeschi, quel Putto alato recentemente ricomparso in collezione privata inglese, che John Ruskin aveva acquistato a Venezia nella seconda metà dell’Ottocento, anch’esso restaurato, e mai esposto prima in pubblico.
A fronte di questo progetto il Kunsthistorisches Museum di Vienna ha consentito allo straordinario prestito dei Tre filosofi e della Laura che, dopo la mostra del 1955, non si sono più potuti vedere accostati.
Inoltre il museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam, proprio per la presenza contemporanea della Tempesta e dei Tre filosofi (condizione che aveva posto come sine qua non), ha eccezionalmente concesso in prestito l’unico disegno certo di Giorgione, "Veduta di Castel San Zeno a Montagnana e figura seduta", che presenta diverse analogie con i due dipinti. Per ragioni di conservazione il prezioso disegno potrà rimanere in mostra solo per quattro settimane ed essere visibile solo per alcune ore al giorno (negli intervalli rimarrà al buio e coperto).
Il Comune di Castelfranco, a sua volta, è inserito nel percorso espositivo con il famoso fregio di casa Marta Pellizzari, che riapre al pubblico per l’occasione dopo il restauro e con un nuovo impianto di illuminazione, e la cui visita sarà gratuita per i possessori del biglietto della mostra.
Essere riusciti a raccogliere nove opere fondamentali dell’artista, che presenta un corpus non superiore a 25 titoli, è un’impresa eccezionale che da oltre cinquant’anni non riusciva a realizzarsi.
Studiosi di fama internazionale hanno collaborato alla stesura del catalogo Marsilio con saggi, schede, una bibliografia aggiornatissima, completato da una sezione relativa alle analisi stratigrafiche, radiografiche e riflettografiche, con particolare attenzione ai risultati del restauro della Pala. Non mancano le novità: sul piano iconografico, sulla complessa creazione delle opere, sulla storia della loro circolazione. Tra queste le tracce di disegni evidenziate dalle riflettografie persino nella Tempesta e la scoperta che la Pala eseguita essenzialmente a tempera, mentre, la Tempesta e la Vecchia sono realizzate con una tecnica mista: a tempera e a olio. Ma se la tecnica è meno innovativa di quanto si fosse creduto in passato, completamente nuovi sono la resa del paesaggio, i soggetti e la stupefacente sensibilità cromatica.
Corriere della Sera 3.11.03
RINASCIMENTO Venezia: esposta alle Gallerie dell’Accademia la Pala di Castelfranco recentemente restaurata e altri nove dipinti
Giorgione: doppio mistero insoluto
Dell’artista morto di peste a 33 anni non si conoscono ancora tutte le opere e la loro simbologia
di Carlo Bertelli
Una rassegna di 10 dipinti, ma le tensioni che una mostra di Giorgione (1477/8-1510) provoca, fra prestiti ottenuti, negati e discordie fra gli esperti, sono tali che un progetto precedente, per Palazzo Grassi, poi abortito, costò la salute a Paolo Viti, uno dei più geniali ideatori e organizzatori di esposizioni che vanti l'Italia. Prendo in mano il catalogo di una celebre mostra, Giorgione e i giorgioneschi, del 1955, e colgo a volo le enormi differenze. Come oggi, mancavano all'appello opere cardine, come la Venere di Dresda e la Giuditta dell’Hermitage, ma un’altra ventina di opere erano lì per reclamare il visto d’entrata nel catalogo di Giorgione.
Oggi la discussione si è molto spostata dal dilemma «Giorgione-non Giorgione»: 74 pagine del catalogo (Marsilio) sono dedicate alla discussione sui dipinti esposti, 29 all'esame tecnico e ai restauri, 100 al dibattito iconologico, che può svolgersi benissimo in assenza delle opere, tanto che uno dei saggi verte su due piccole opere (le due tavolette degli Uffizi con storie bibliche) non pervenute e improbabili come opere di Giorgione.
Così l’esposizione diventa il paradigma della incapacità attuale della storia dell'arte di pronunciarsi. Concretezza dell'analisi scientifica e della ricerca d'archivio, sgomento di chi deve manifestare un'opinione conclusiva fra tesi discordanti, vanità dell'iconologia.
La grande occasione della mostra è stata offerta dal restauro della Pala di Castelfranco, la cui datazione da tempo è stata anticipata a circa il 1500, rispetto al 1504 che era dato come riferimento sicuro. Non sono piccoli spostamenti, per un artista nato tra il 1477 e il 1478 e morto di peste pochi giorni prima del 7 novembre 1510.
Una vita breve, affreschi eseguiti e perduti, dunque un catalogo ristrettissimo, che gli studi dell' ultimo decennio hanno ancora diminuito, attribuendo opere ritenute sicure ora a Tiziano, ora a Sebastiano del Piombo. Un solo dipinto chiaramente datato: la Laura, qui esposto, che ha sul retro la data 1506; del Ritratto virile di San Diego in California, non esposto, la data è stata letta 1506 o 1510.
Quando dipinse Laura, Giorgione aveva già incontrato Leonardo, che nel 1500 fu per breve tempo a Venezia. I tre filosofi, qui esposti, contengono altre sottili allusioni a Leonardo: nel filosofo giovane, che rammenta il san Matteo della Cena; nei ciottoli visti sotto il pelo dell'acqua, che fanno pensare alla Vergine delle Rocce.
La Pala di Castelfranco viene prima di tutto questo, il suo incanto è tutto e soltanto di Giorgione, ed Emilio Gadda vi colse la malinconia e «la vista, dagli archi del sontuoso tempietto, sui sereni colli e sfondo dei lor alberi e cielo».
E Gadda metteva queste riflessioni in bocca a una contadina veneta inurbata a Milano, scoprendo così un aspetto profondo della pittura di Giorgione come iniziatore della grande epopea della pittura veneziana del Cinquecento: la capacità di trasmettere sentimenti profondi al di là di ogni barriera.
Gli sforzi per dare una lettura intellettualistica delle opere di Giorgine si scontreranno sempre con la realtà di una pittura che ha il mistero come suo ineliminabile ingrediente.
A cominciare dalla Tempesta, che innumerevoli e sudati sforzi hanno cercato e cercano di banalizzare. Il rischio è di togliere a Giorgione la sua posizione di innovatore e costringerlo dentro la camicia stretta della normativa letteraria e filosofica, pur non avendo basi sufficienti per farlo e quando il colore di Giorgione, proprio per la sua densità e per il suo predominio assoluto sul disegno, annulla simili disquisizioni.
La mostra evita gli scogli attributivi, ma con la sua selezione rigorosa si allontana anche dal rischio di includere nel catalogo giorgionesco opere che vi sono entrate soltanto perché offrivano lo spunto a dissertazioni sociologiche.
Giorgione, Gallerie dell’Accademia, Venezia, sino al 22 febbraio. Tel. 041/5200345
La Repubblica 3.11.03
La struggente malinconia di un mito del Rinascimento
nuovi saggi di Gentili, Settis e Aikema
In mostra anche i "tre filosofi"
Un artista di cui si conoscono 25 opere
Alle Gallerie dell'Accademia di Venezia nove capolavori del pittore scomparso a 33 anni
di ANTONIO PINELLI
Negli ultimi anni abbiamo assistito all'infittirsi di rassegne così gremite di opere d'arte da ingenerare un principio di nausea perfino nel più bulimico dei visitatori. Da questo punto di vista, la mostra che si è inaugurata nelle Gallerie dell´Accademia è in netta controtendenza, essendo composta da solo 9 opere (Giorgione. Le maraviglie dell'arte, a cura di G. Nepi Sciré, fino al 22 febbraio). Beninteso, non 9 opere qualsiasi, ma altrettanti capolavori di Giorgione, un pittore stroncato dalla peste a circa 33 anni e di cui conosciamo non più di 25 dipinti. Ecco perché, sebbene così esigua, la mostra odierna ha tutti crismi di un evento da non perdere, cui però è consigliabile accostarsi con l´atteggiamento di chi è invitato ad un banchetto in cui assaporare le pietanze senza fretta, perché è la qualità e non la quantità a farla da padrone.
L'iniziativa nasce per festeggiare la fine del restauro della Pala di Castelfranco. Eseguito nel laboratorio dell'Accademia con la consulenza dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, l'intervento conservativo ha messo in sicurezza la pala con un sofisticatissimo restauro del suo fragile supporto ligneo, restituendole nel contempo l'incanto luminoso della superficie pittorica. Prima che torni nella sua sede originaria, la mostra offre l'opportunità rara di osservare da vicino il dipinto restaurato di fresco, ma per l'occasione è riuscita anche a riunire intorno alla pala altre 8 opere di Giorgione.
Per quattro di esse, la Tempesta, la Vecchia, la Nuda e il Cristo portacroce, non si è dovuti andare lontano, ma è invece eccezionale il doppio prestito da Vienna dei Tre filosofi e della Laura, così come la presenza in mostra dell'unico disegno attribuito concordemente a Giorgione, il cosiddetto Pastore in un paesaggio proveniente da Rotterdam, e del frammento di affresco con un Putto alato che rappresenta, di fatto, la più recente acquisizione allo scarno catalogo giorgionesco. Si tratta di un frammento staccato dalla facciata del Fondaco dei Tedeschi, che fu affrescata da Giorgione nel 1508 e di cui si credeva fosse rimasto solo il frammento della Nuda, staccato nel 1937 quando ormai non era altro più che un'evanescente reliquia corrosa dalla salsedine. Il nuovo frammento è anch'esso gravemente danneggiato, ma risulta assai più leggibile della Nuda, offrendoci informazioni preziose sull'affresco eseguito da Giorgione a due anni dalla morte. Rappresenta un putto alato che si arrampica su un ramo frondoso e colmo di frutti, fu acquistato nell´800 a Venezia da Ruskin ed è da poco ricomparso in una raccolta privata inglese.
Come tutti i personaggi di spicco morti anzitempo, Giorgione fu immediatamente avvolto dall'aureola abbagliante del mito. Il che aumentò il fascino delle sue opere, ma contribuì anche, in passato, ad alimentare un fiorente mercato di falsi e, ai giorni nostri, a moltiplicare le controversie attributive, per non dire del proliferare di dotte e talora astruse interpretazioni dei suoi dipinti. Grazie anche alle indagini riflettografiche e radiografiche appositamente condotte, l'odierna mostra è un´ottima occasione per fare il punto su alcune delle questioni più controverse, cui il catalogo offre un contributo critico prezioso. Augusto Gentili, ad esempio, schizza un vivace e anticonformista ritratto di Giorgione, mettendo il dito sulla piaga di certe debolezze della sua produzione giovanile in fatto di correttezza anatomica e di scioltezza nelle pose delle sue figure. Un impaccio che però sparisce nelle opere tarde, in cui emerge un «far grande» che valse all´artista le prime, importanti commissioni pubbliche. Più difficile è seguire Gentili nelle sue congetture sull'identità ebraica (o comunque culturalmente filoebraica) di Giorgione, che seppur basandosi sull'innegabile frequenza di personaggi vetero-testamentari nella sua opera, si fondano principalmente sul rilancio di una vecchia e implausibile interpretazione della Tempesta come Ritrovamento di Mosè e sulle identificazioni di uno dei Tre Filosofi di Vienna come l'Anticristo e del pastore nel disegno di Rotterdam come Elia, ipotesi che lasciano, a dir poco, perplessi.
Del tutto convincente, invece, è la lettura proposta da Settis della Pala di Castelfranco, che consente di datarla al 1504 o poco dopo. Riallacciandosi ad una dimenticata descrizione risalente al 1803, Settis interpreta come sarcofago di porfido il parallelepipedo scuro su cui poggia il trono marmoreo della Vergine. Si tratta insomma di una concreta allusione al vero sarcofago con le spoglie del giovane soldato Matteo Costanzo, morto nel 1504, che è situato nella cappella. In tal modo si spiega non solo la ragione del singolare verticalismo della composizione, ma soprattutto della palpabile mestizia che pervade l'intera pala, per evaporare come nebbia al sole soltanto nella quieta serenità del paesaggio. Una mestizia che induce la Vergine e il Bambino a rivolgere gli occhi verso il sepolcro sottostante, vela lo sguardo accorato di S. Francesco e proietta l'ombra dell'elmo sugli occhi del giovane santo soldato.
Vero è che la tristezza è quasi sempre di casa nei quadri di Giorgione, la cui carica di innovazione è proprio da cercare nel timbro espressivo del suo Stimmungsbild improntato ad una dolce ma struggente malinconia, e che volle autoeffigiarsi come malinconicissimo David, in perfetta sintonia con l'immagine topica dell'artista saturnino, proprio come avrebbe fatto un secolo dopo Caravaggio.
Forse è proprio la Tempesta il quadro giorgionesco meno malinconico, anche se alle spalle dell'arcadico idillio tra il «pastore» che osserva complice la «zingara che allatta» si addensano, non viste, le nubi squarciate dalla folgore. Su questo dipinto, che con la Flagellazione di Piero della Francesca e la Primavera di Botticelli condivide il primato assoluto di tentativi ermeneutici inesorabilmente falliti, va segnalato l'interessantissimo saggio di Bernard Aikema in catalogo che ha, a mio giudizio, soprattutto il merito di collegare il ruolo innovativo di Giorgione al suo dialogo con Dürer (che fu a Venezia dal 1505 al 1507) e, più in generale con i pittori e incisori della Germania meridionale. Riconducendo la Tempesta nell'ambito di opere che evocano lo stato primordiale dell'umanità, Aikema coglie a mio avviso nel segno, anche se a me pare che l'accento vada posto soprattutto sul contrasto tra un'arcadica età dell'oro ignara delle minacce che la stanno per travolgere, piuttosto che sull'affermazione ideologica di una superiorità della civiltà veneta su quella tedesca.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»