lunedì 22 dicembre 2003

Bonito Oliva su Alberto Burri

ALBERTO BURRI: SE LA PITTURA SI FA EPICA
Varie manifestazioni in corso consentono un bilancio sull'artista
di ACHILLE BONITO OLIVA


«Essere originali significa tornare all'origine», diceva Picasso. «Origine» negli anni Cinquanta denomina un gruppo di artisti (Burri, Capogrossi, Colla e Ballocco) che identificano il gesto pittorico come contatto con la realtà primigenia delle cose, passaggio dal pratico inerte quotidiano alla totalità assolutoria della creazione artistica.
Per l'informale di Alberto Burri (1915-1995) palingenetico è mettere in forma la materia: sacchi, cellotex, cretti, plastiche, ferri, ceramiche. Questo si evince dal triangolo espositivo che lo riguarda (ex Seccatoi del tabacco di Città di Castello, galleria Mazzoleni di Torino e prima ancora Auditorium di Roma).
Burri aveva cominciato la propria pittura quasi costretto dalla propria biografia: la prigionia nel Texas durante la seconda guerra mondiale e il successivo ritorno in un'Italia piena di lacerazioni e frustrata dalla sconfitta.
Alla soggezione e alla frustrazione di un quotidiano prosaico e banale, Burri risponde immergendosi eroicamente nella materia dei propri quadri, mettendo nero su nero, cercando nel processo creativo il valore di una autenticità che invece la vita normale non riesce a dare.
Perché non è possibile retrocedere all'origine, alla primigenie mitica della materia, in quanto esiste il peccato della pittura, della storia del linguaggio e della Storia in generale, la materia, quando attraversa la soglia del linguaggio, si rapprende e si raffredda nello spazio congelato del quadro.
Allora Burri approfondisce la propria strategia, il proprio scontro epico col mondo, cercando di accorciare la distanza che separa la realtà della materia dalla necessità della forma.
Perciò, nel 1952, realizza i primi quadri gobbi, introducendo dietro la superficie della tela un tronco laterale d´albero, che ingobba il quadro verso il fuori e lo spinge verso lo spazio dell'esistenza e dello spettatore.
L'epicità della pittura di Burri consiste proprio nell´accettare lo scontro tra l'urgenza della materia, del caos, e la sua sistemazione nel luogo colto e storicizzato della pittura. Allora lo scontro diventa sempre più drammatico, ai gobbi succedono i ferri, opere in cui i metalli si sistemano crudelmente in rapporti che conservano la memoria e la nostalgia della proposizione di Nietzsche, del desiderio primitivo e mitico dell´espansione organica.
Le opere si succedono alle opere, alle prime materie succedono i legni, i catrami, le plastiche fino ad arrivare ai cretti e ai cellotex. Eppure tali opere sembrano conservare il movimento e la proliferazione, i materiali continuano a modificarsi, ma sempre dentro la soglia del quadro: questo è il destino, l'unico possibile. Il movimento, in quanto previsto e rispondente al progetto e alla qualità scelta dei materiali, avviene sempre dentro un futuro organizzato nel linguaggio.
Non a caso i quadri acquistano una grande dimensione, le campiture di materie e colori si estendono, acquistando il respiro antico dei quadri classici che raffigurano scene di battaglie, perché proprio di questo si tratta, di una battaglia epica combattuta dall´artista contro l'irriducibilità del linguaggio che riesce, come uno specchio, a riflettere la tensione, ma non a risolverla, ripete la domanda ma non dà la risposta.
Il processo creativo diventa il luogo di riscatto, la cesura che separa la piatta orizzontalità dell'esistenza dal momento verticale della creazione. Ma la creazione nasce proprio come risposta al quotidiano, per questo ne assume tutte le tracce, tutti i materiali che ne segnalano i traumi, gli strappi e la violenza.
Dopo il Nero del 1948, Burri, realizzando un dipinto, SZ1, del 1949, sceglie uno sprofondamento non più strettamente nietzschiano nella materia, tragicamente vitale, ma allarga il proprio scandaglio nell'ambito concreto dell'esistenza: da qui il primo recupero del sacco.
Il materiale è sapientemente impaginato nella struttura del quadro senza quella nerità, quel sentimento del nero, del tragico assoluto quando tratta la materia intesa come essenza, come Materia. Ora il quotidiano orizzontale entra nello spazio verticale dell'arte, l'oggetto vissuto si integra nella materia del quadro, che sono i colori e la storia di questi colori, cioè la storia dell´arte.
Così sottilmente nell'esprit de matière si insinua un esprit de géométrie, un'inconscia volontà quasi mondrianesca di sistemare la propria urgenza esistenziale, la propria espansa vitalità, nell'ordine formale dell'opera. Così accanto alla polarità Nietzsche possiamo porre la polarità Mondrian, accanto al desiderio di una espansione cosmica, senza né alto né basso, senza dentro né fuori, cioè verso l'ovunque, nasce l'esigenza del qui e ora dell'opera, la necessità di riportare il caos nell'ordine della cultura. Informale diventa letteralmente il mettere in forma, il sistemare i dati frantumati, i reperti della realtà in una griglia linguistica rassicurante e definitoria.
Se all'inizio Burri può affermare con Nietzsche che "noi cresciamo come alberi", se usa il processo creativo come metafora della crescita biologica e dell'espansione naturale, alla fine l'opera, nella sua definizione formale, diventa il momento traumatico che indica il punto dove tale crescita si interrompe, dove i rami e le radici diventano un'unica cosa, un circuito chiuso che rimanda con nostalgia a un movimento avvenuto, ma ormai impossibile.
Quando la pittura ingloba i temi del tempo e del suo fluire, allora diventa il segno del puro interrogare, il punto interrogativo che non porta a nessun approdo, che conduce al luogo della domanda primaria, quella della materia come nascita della morte.
In questo senso la pittura di Burri approda alla soglia della forma, nella coscienza irreversibile di tale stato, nella condizione antropologica che non ammette repliche, in quanto fissa i termini e i confini di qualsiasi operare, anche di quello dell´arte. La forma non è la morte, come non è nemmeno la vita: è il margine in cui l'esistenza e il puro agire si stemperano in un´intenzionalità, quella che sottrae insensatezza alla materia.
Qui l'Informale, nella grafica talvolta fino all'estetismo, diventa obbedienza quasi monastica e quaresimale al precetto della Forma.