venerdì 9 aprile 2004

Marisa Malagoli Togliatti, psichiatra:
gli omicidi in famiglia non sono malattia mentale

Repubblica 9.4.04
LA PSICHIATRA
"Sono violenti per la perdita del dominio"
Identità fragili, non malati di mente
di MARIA STELLA CONTE


ROMA - Marisa Malagoli Togliatti, aumentano i casi di uomini che dopo la separazione uccidono le ex mogli, quando non i loro stessi figli, per vendetta. Pazzia, instabilità mentale, raptus... Di che si tratta?
«No, in generale direi che non si può parlare di raptus. Semmai di identità fragili, questo sì; ma - attenzione - non di malattia mentale. Sarebbe troppo facile. La separazione è un lutto che deve essere elaborato, richiede un percorso psicologico lento e delicato che fortunatamente, nella maggioranza dei casi, si compie. Quando questo non accade, possono esserci esplosioni di violenza anche a distanza di anni».
Però, e lo dicono anche i dati Eurispes, sono soprattutto i mariti a trasformarsi in assassini.
«Infatti. Allora dobbiamo partire da una riflessione che ci riporta un po´ indietro nel tempo per capire quel che succede ora: quando in Italia entra in vigore il divorzio, quasi contemporaneamente viene introdotto il nuovo diritto di famiglia: la donna quindi si trova, almeno formalmente, su un improvviso piano di parità giuridica, psicologica ed economica con l´uomo. Prima c´era la patria potestà, prima c´era il capofamiglia, prima c´era una gerarchia familiare rispettata anche dai figli; prima l´uomo si trovava in un ruolo di dominanza...».
Prima c´erano meno omicidi...
«Sì, ma c´era, tra le mura domestiche, una violenza che non usciva mai allo scoperto; una sofferenza che non trovava vie di fuga; c´era, per moltissime donne, una non-vita: non essendoci il divorzio, le loro erano esistenze congelate in storie, talvolta terrificanti, nelle quali l´uomo ribadiva il proprio ruolo egemone di padre e marito, la propria identità di maschio dominante. Un´identità di ruolo che negli anni Settanta viene messa i discussione in base a leggi che, appunto, proponevano una situazione più paritaria. Ma i tempi della legge non necessariamente coincidono con quelli umani. Così, nel momento in cui oggi una donna ha consapevolezza della cattiva qualità del rapporto coniugale può decidere, e di fatto decide più spesso lei di lui, di interrompere il matrimonio. Il che viene vissuto, da alcuni, come un gravissimo atto di insubordinazione: è proprio nei momenti di difficoltà che ci rifà ai modelli tradizionali, quelli dei propri padri».
Un atto di insubordinazione tale da meritare la morte?
«Per alcuni - e insisto, solo per una minoranza - essere lasciati è una ferita narcisistica grave e dunque, perdita di autostima. Per ritrovare la quale si compie un gesto estremo di violenza che ribadisce la predominanza del ruolo. Non a caso, anche se certo non solo per questo, in generale sono gli uomini quelli che più frequentemente si risposano; a differenza delle donne che hanno un più forte senso di identità».