venerdì 28 maggio 2004

dantisti e biologi:
Giuseppe Sermonti vs Edoardo Boncinelli

Corriere della Sera 25.5.04
Alle porte dell' inferno Dante volta le spalle al mondo
Ma il suo universo, così umano perché l' uomo vi sta ancora al centro, presto sarà ribaltato dalla scienza
LA NOSTRA COMMEDIA
di Edoardo Boncinelli
(*)


«Lo giorno se n' andava e l' aere brun
toglieva li animai che sono in terra
dalle fatiche loro»
Con questa splendida immagine Dante si congeda dal nostro mondo e dalla «selva erronea di questa vita», e inizia il suo lungo cammino, l' «alto passo». Il suo sarà un viaggio nella Commedia Umana, anche se i luoghi, i tormenti e gli splendori sono quelli di una superba costruzione di fantasia, sorretta da una grande dottrina e illuminata da una fede veramente totalizzante. È un viaggio della mente e del cuore nelle diverse province «delli vizi umani e del valore», una compilazione e una visitazione dello specificamente umano, privato e collettivo, al tempo stesso eterno e storicamente individuato, che non ha l' uguale per grandezza e per forza espressiva. Non può non colpire il contrasto esistente fra la grandiosità della costruzione poetica di Dante che raggiunge vertici di validità universale e la povertà delle conoscenze e della visione del mondo propria del suo tempo. L' universo si presenta veramente minuscolo e l' uomo vi si sente ancora al centro, privilegiato fra i viventi, sparso su un territorio di cui non considera neppure l' estensione e di cui ignora i confini, signore del globo, un pianeta piantato in mezzo al tutto, con i pianeti e le stelle che gli girano intorno. Non erano ancora arrivati Copernico, Darwin, Freud, Marx, Einstein o Hubble. Tutto sembrava chiaro e relativamente semplice, senza spessore e senza doppi fondi immanenti: il cielo, la terra, le stelle, gli animali, le piante, i moti dell' anima e le operazioni della mente, lucida e consapevole, quando non cade preda delle passioni. La vastità delle osservazioni e delle «spiegazioni» offerte da Aristotele e dai suoi commentatori e continuatori conferisce un carattere di monoliticità a questa visione. Il mondo inanimato, in sostanza, ma anche buona parte di quello animato, non pongono problemi. Tutto è lì davanti, sostanzialmente in mostra, e per nulla diverso da quello che sembra. Noi sappiamo che la gran parte dei processi materiali, compresi quelli biologici, possono essere spiegati soltanto guardando «dentro» le cose, che contengono una congerie di cose più piccole, in uno sforzo di comprendere e «spiegare il visibile complesso in termini dell' invisibile semplice» per citare una frase del francese Perrin. A quel tempo invece la spiegazione delle cose si trova «accanto» alle cose, in una sostanziale duplicazione della realtà, sdoppiata in due piani paralleli: un piano degli eventi e un piano delle spiegazioni degli eventi, non significativamente dissimile dal primo, in un quadro pressoché identico a quello dei Greci anche se «ben mille ed ottocento / anni varcàr poi che spariro». È chiaro che si tratta di una visione del mondo che sta celebrando i suoi ultimi fasti e che presto crollerà sotto i colpi della riflessione e della sperimentazione, ma è altresì comprensibile che molti oggi rimpiangano più o meno apertamente quel mondo, in cui tutto è chiaro e semplice, non c' è troppo da sapere ed è sufficiente credere in un numero limitato di affermazioni, sulla materia, sulla mente e sullo spirito. Sono passati sette secoli e di tutto questo è rimasto ben poco, anche se sono sicuro che in cuor loro molte persone il mondo se lo immaginano più o meno come lo ha rappresentato Dante, con il suo al di qua e il suo al di là. Questa è la forza della poesia e della rappresentazione poetica. Su uno sfondo naturale povero e intrinsecamente poco problematico si muovono gli esseri umani, con i loro contrasti e i loro drammi, figure a tutto tondo, spesso titaniche, che si agitano contro fondali da opera pastorale. Si ha qui l' assoluta centralità dell' umano: umano è il problema, umane le soluzioni, gli errori ed eventualmente i rimedi in una visione esaltata e piena di chiaroscuri tipica di un atteggiamento adolescenziale. Adolescenziale è la compresenza di grande modestia e smisurato orgoglio, incertezza e ostinazione, capacità di porsi al centro, un centro spesso dolente, dell' universo e del suo dramma. Questi tratti della personalità poetica dantesca, già chiaramente presenti nella Vita Nova riaffiorano nell' impostazione del poema maggiore. Dante sta per partire per un viaggio d' iniziazione che ha dell' adolescenza tanto l' esigenza di un' educazione sentimentale quanto quella di una «risistemazione» mentale delle cose della vita e della storia, rimesse a posto secondo i criteri di una giustizia superiore, inevitabilmente e protervamente soggettiva. È un tributo pagato ai giusti e una vendetta postuma consumata ai danni di peccatori e ipocriti, magari osannati e premiati in vita, per non parlare di quegli sciagurati, gli ignavi, «che mai non fur vivi». In questa selva dell' umano operano essenzialmente tre forze, espressione di altrettante istanze: le passioni, la ragione e la fede, impersonate rispettivamente dalle tre fiere, da Virgilio e da Beatrice e le altre due «donne benedette». La ragione, si noti, è una, rappresentata da un solo personaggio, contro la molteplicità dei simboli delle altre istanze: una strozzatura, una via di congiunzione, si direbbe innaturale, fra il mondo terreno e quello celeste, un varco, un tramite, l' espressione di una hybris conoscitiva e normativa, ciò che ci situa a mezza strada fra gli animali e gli angeli, ma che ci fa anche capire che non siamo né questi né quelli; piuttosto un' anomalia, uno sgarro, un virus nel computer del mondo. Ma anche gli unici che lo possono notare. Il ricorso ai simboli e al linguaggio dell' allegoria sembra quasi inevitabile in un mondo che vive su due piani. E di simboli nel poema ce ne sono tanti e tanto se ne è discusso. Assente al tempo degli classici, dove il simbolo non allude che a se stesso, il dibattito sul valore dell' allegoria nell' economia di un' opera poetica si inaugura più o meno ai tempi di Dante e si tratta di un esordio fragoroso, data la massiccia presenza delle simbologie nella sua opera. Considerata da un certo punto di vista la presenza di tutta questa simbologia non può che risultare fastidiosa e ingombrante: sul vero significato della selva e del monte, delle tre fiere, del Veltro, delle donne benedette e via discorrendo si sono versati fiumi di inchiostro. Tutto ciò appartiene però più al farsi della poesia che al suo godimento. La Divina Commedia può essere letta infatti in modo del tutto indipendente dal significato simbolico di molte sue figure. Le immagini e le espressioni alate vivono di una loro vita autonoma e ci catturano per la loro forma e il loro contenuto manifesto. Ma c' è nella mente di Dante e nel suo cuore un doppio piano di realtà, dal quale non si può prescindere se si vuole intendere la sua poesia e la sua anima. Dietro il contenuto immediato ci sono i simboli la cui concezione ed elaborazione costituisce una sorta di disciplina interna per il poeta, un modo sostanzialmente equivalente allo studio «matto e disperatissimo» del giovane Leopardi, per accogliere non impreparato l' ispirazione che, come la fortuna, viene quando viene, ma ha bisogno di un terreno lavorato. E anche un modo per essere poeta e al tempo stesso sentirsi degno di un' attività edificante, un morale negotium come lui stesso definisce nell' epistola a Cangrande la redazione dell' opera.

Corriere della Sera 28.5.04
DISCUSSIONI / GIUSEPPE SERMONTI REPLICA A EDOARDO BONCINELLI
Ma l’universo del divin Poeta rende visibile l’invisibile
E i simboli rimandano a ciò che la scienza non spiega
di Giuseppe Sermonti


L’universo di Dante, annuncia il Corriere del 25 maggio, sarà presto ribaltato dalla scienza moderna. La Divina Commedia diventerà un’opera minore, una reliquia. Si impegna a dimostrarlo il genetista Edoardo Boncinelli. Invano le invocate Muse e l’«alto ingegno» vengono in aiuto di Dante e del suo universo. «E’ chiaro - scrive Boncinelli - che si tratta di una visione del mondo che sta celebrando i suoi ultimi fasti e che presto crollerà sotto i colpi della riflessione e della sperimentazione». Mio fratello Vittorio Sermonti, che va leggendo e commentando Dante nelle belle chiese d’Italia, dovrà lasciare il campo a un altro genere di divulgatori che illustrino, in qualche stazione ferroviaria o deposito di autobus, la bellezza della traslocazione cromosomica o delle orbite di Bohr?
Secondo Boncinelli, i processi materiali possono essere spiegati solo guardando «dentro» le cose, nel submicroscopico, che contiene la spiegazione di quello che appare ai sensi. Lo disse il Nobel Jean-Baptiste Perrin (1870-1942), che Boncinelli cita: la scienza cerca di «spiegare il visibile complesso in termini dell’invisibile semplice». C’è un fondo di moralismo in questo enunciato, perché il visibile e il complesso sono sensuali, rispetto all’ordine elementare del submicroscopico.
Ma Perrin sbagliava. Gli invisibili fisico o biologico non sono per nulla semplici. La fisica subatomica ha evidenziato, in ogni atomo, quasi cento particelle, alcune delle quali, i quark, inafferrabili. Per spiegarne le vicende è dovuta ricorrere alla logica della meccanica ondulatoria (per cui alcune entità sono allo stesso tempo onde e particelle), a concetti come l’antimateria, i buchi neri, lo spazio curvo e la non località. La biologia molecolare ha scoperto in ogni invisibile cellula un patrimonio di tre miliardi e passa di nucleotidi, decine di migliaia di geni e almeno dieci volte tante proteine. Sempre più grandi computer sono richiesti per raccogliere la sterminata informazione accumulata dai fisici della materia o dai biologi molecolari. La semplicità di Perrin non esiste. E' più complicata una cellula, osservò René Thom, che un organismo. Un atomo che una sedia.
Lo scienziato eccepisce che se anche la semplicità dell'invisibile non è così semplice è pur essa soltanto che ci consente di capire il visibile. Dal lato biologico che mi compete debbo dire che non è per nulla così. «Più ci si avvicina al livello molecolare - ha scritto R.E. Dickerson - nello studio degli organismi viventi, più simili questi appaiono e meno importanti divengono le differenze fra, per esempio, una vongola e un cavallo». In altre parole, in termini di submicroscopia biologica non sappiamo spiegarci perché una vongola è una vongola e un cavallo è un cavallo.
La scienza del submicroscopico ci ha presentato un mondo differente da quello dell’esperienza e della logica comune, un mondo insensato, capovolto e folle, veramente un «altro mondo», che ha perso contatto con questo mondo, più di quanto la dantesca realtà ultramondana si sia allontanata dalla vita terrena. L'uomo scienziato, per citare una famosa espressione di Jacques Monod (1969), si trova ai margini di un universo «sordo alla sua musica, indifferente alle sue speranze, alle sue sofferenze, ai suoi crimini».
Il futuro, caro Boncinelli, non è nell'atomismo o nel riduzionismo, le microspiegazioni stanno facendo il loro tempo. Sta riprendendo corpo la tendenza verso le macrospiegazioni, verso lo studio della totalità strutturata, quale la formulò Hans Driesch (1867-1941). La forma organica non è un prodotto laterale (e pletorico) di un contesto microscopico, ma una realtà autonoma, che tende verso se stessa e si ripete nelle generazioni. Secondo lo zoologo Adolf Portmann (1960) l'«aspetto esteriore» non è un optional, ma è ciò che dà significato all'animale e lo presenta al mondo. L'olandese Buytendijk chiama questa proprietà «valore esibito dell'esistenza» e Portmann usa il termine di Darstellungswert (valore di presentazione). «La proprietà più significativa delle forme organiche - scrive - è quella di rendere manifesta, nel linguaggio dei sensi, la peculiare natura dei singoli esseri viventi».
La verità è oggi considerata come un derivato (statistico) della realtà, una sua «iperbole», scrive Vittorio. Dante e il suo tempo seguivano il processo inverso.
« La realtà non era che una delle possibili manifestazioni simboliche, grazie alle quali l'uomo può intravedere, presentire, la Verità. Verità che è, in eterno, presente in Dio ». La nuova scienza della morfologia, come espressione di archetipi costanti, è uno dei capitoli più affascinanti della biologia moderna, al di là delle inadeguate letture molecolari. «Ogni forma propria - ha scritto René Thom - aspira all’esistenza e attrae il fronte d'onda degli esseri».
Dante è grande per le «verità» che intravede, offre all'esistenza e compone in leggi nel ritmo dei versi e nella cadenza delle rime. Parafrasando quel che V.I. Verdansky dice in merito alla «noosfera» (la sfera del pensiero), si può dire che la Commedia «è un nuovo fenomeno geologico sul nostro pianeta».

(*) Biologo