Il Sole 24ore 13.6.04
MAESTRI CATTIVI
Stanno per uscire le sconvolgenti memorie di Marina, nipote del pittore
Picasso, un nonno terribile
Un ritratto crudo e risentito da cui emerge l'egoismo e l'insensibilità dell'artista verso i familiari: «La capra Esmeralda era di casa, noi degli estranei»
di Marco Carminati
La storia dell’arte è costellata di maestri «cattivi». Giotto rovinò molte persone prestando telai a usura. Piero della Francesca era un micidiale evasore di imposte e Georges De La Tour accumulava avidamente granaglie per rivenderle nei periodi di carestia.
Niente a confronto di Picasso. Le «cattiverie» di Picasso sono state più intense e raffinate. Un’idea ce la siamo fatta leggendo le bellissime memorie di Françoise Gilot (sua compagna per dieci anni) o il saggio di John Berger sulle miserie del pittore. Ma adesso possiamo toccarle con mano grazie al volume di Marina Picasso dal titolo «Mio nonno Picasso» in libreria dal prossimo 21 giugno nella traduzione di Daniela Marin (Archinto).
Quando uscirono in Francia nel 2001, le memorie della nipote dell’artista suscitarono grande clamore. A molti parvero eccessive. Può darsi. Sta di fatto che Picasso non ha lasciato dietro di sé un’«eredità d’affetti» ma di cadaveri. Dopo la sua morte, nel 1973, il nipote Pablito (fratello di Marina) trangugiò mezza bottiglia di candeggina per protestare contro Jacqueline, la vedova in carica, che aveva negato al giovane l’ultimo saluto al nonno. Il figlio Paulo (padre di Pablito e di Marina) morì nel 1977 sovraffatto dall’alcool e dalle umiliazioni inflittegli da Pablo. Quell’anno anche Maria Thérèse Walther, l’amante bambina del maestro, s’impiccò nel garage della sua villa e la stessa Jacqueline, incapace di gestire il peso della memoria e dell’eredità del pittore, nel 1986 pensò di farla finita con una revolverata alla tempia. Picasso aveva funestamente pronosticato: «Quando morirò sarà un naufragio. E, come quando la nave cola a picco, molti attorno verranno risucchiati dal gorgo».
Marina Picasso che oggi ha 54 anni, cinque figli e si occupa di opere umanitarie, ha scritto questo terribile ritratto del nonno probabilmente per espellerlo, per esorcizzarlo, per isolare - come lei dice - «il suo virus». Dobbiamo immaginarla stesa sul lettino dello psicanalista mentre si libera dell’incubo.
Flash back. Marina è una bambina. C’è il padre Paulo (sempre ubriaco per farsi coraggio) e il pallido fratellino Pablito. attende davanti ai cancelli della Villa California che il nonno decida o meno di riceverli. Picasso sa che la famigliola viene a batter cassa, così, il più delle volte, si nega. «Il Maestro dorme» fa dire. Quando però le porte della villa si spalancano, allora arriva il peggio. Il nonno non vuole che lo si chiami così, tutti lo devono chiamare Pablo. Ai bambini fa domande di circostanza, mentre al figlio riserva solo rimproveri: «Paulo, i tuoi bambini sono troppo seri, dovrebbero sbloccarsi un po’!». La capra Esmeralda bruca beata in giardino e appare più a suo agio degli ospiti. Marina se ne accorge perfettamente: «Esmeralda è a casa sua, noi siamo gli intrusi».
Picasso, in verità, tenta di comportarsi da nonno. Per far divertire i nipotini, ritaglia per loro animaletti di carta, ma si guarda bene dal regalarglieli: quelli non sono ritagli qualsiasi, sono opere d’arte. E se vede che i bimbi hanno fame prende datteri e fichi e li farcisce con pezzi di noce. Fa spalancare loro la bocca e glieli porge come se fossero l’Eucarestia. «È l’unico dono che ci abbia mai fatto» rammenta la nipote. L’ora del congedo arriva comunque assai presto: «Marina, Pablito, è ora di andare - dice Jacqueline - Pablo ha bisogno di stare solo. L’avete stancato».
Un altro dolore trafigge Marina: «Tra le migliaia di immagini che ha fatto Picasso non c’è la minima traccia di noi. Nessun disegno, nessun quadro che ci ritragga. Come mai ci ha esclusi dalla sua tavolozza? Eravamo invisibili? Eravamo due bastardi?». La nipote è convinta che lei e suo fratello fossero un «fastidio» per il nonno, in quanto figli di un padre incapace di mantenersi e di una madre (Emilienne Lotte) dedita agli scandali. Un intralcio alla beatitudine del genio.
A Natale, quando veniva annunciato il regalo del nonno, un brivido di gelo correva in famiglia. Pablo, naturalmente, guardava bene dal farsi vivo. In compenso, incaricava i suoi segretari di comprare qualcosa per i bambini: così a Marina capitava che arrivasse un foulard di seta di Hermès e a Pablito una spilla per cravatta. Evidentemente «regali senz’anima e senza cuore, fatica mercenaria dei tirapiedi di mio nonno».
Picasso non aveva alcun riguardo per la fragile sensibilità dei nipoti. Quando si degnava di riceverli, li riceveva indossando un paio di mutande di cotone floscio che lasciavano intravvedere i genitali penzolanti. «Una vista oltraggiosa per me bambina di otto anni - ricorda con disappunto Marina - come lo sarà più tardi per la ragazza di diciassette, ricevuta allo stesso modo». La cosa incredibile è che Picasso ci fa sopra anche la morale: «imparate, bambini, che si può benissimo vivere senza niente. Senza scarpe, senza vestiti, senza mangiare. Guardate me». Chi parla è il pittore plurimiliardario che lesina gli alimenti di base ai figli di suo figlio.
Il giorno in cui Pablo compì 88 anni, Pablito ebbe un fremito d’affetto e di coraggio. Prese il telefono e chiamò Villa California. «Sono Pablo, il nipote, vorrei parlare col nonno» «Pablo? Sappia giovanotto che esiste un solo Pablo, e non può riceverla. Monseigneur non c’è. Se vuole, può scrivergli».
Picasso muore l’8 aprile 1973. Pablito si precipita a casa sua ma c’è ordine tassativo di non farlo entrare. Pablito insiste e allora dalla villa gli aizzano contro due cani inferociti. Tornato a casa disperato, il giovane berrà il fatidico flacone di candeggina. «Il veleno di Picasso» commenta amaramente Marina.
Marina Picasso, «Mio nonno Picasso», Archinto, Milano 2004, pagg 158, € 13,00
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»