mercoledì 1 giugno 2005

resistenza

una segnalazione di Franco Pantalei

Repubblica 1.6.05
Mohamed Arir non è Abdallah
(e gli inglesi chiedono scusa)

E' stata dura, ma alla fine il sudanese Mohamed Arir ce l'ha fatta ed è riuscito a dimostrare di non essere Abdallah. Non è stato facile, anche perché gli inglesi non ne volevano sapere. Ma adesso la partita è chiusa e, chissà, è anche possibile che Mohamed Arir in Inghilterra riesca ad avere lo status di rifugiato.
E' una storia surreale ma, per l'Italia, anche consolante. Dimostra, infatti, che non abbiamo il monopolio dell'ottusità burocratica.
Alla base di tutto c'è "l'accordo di Dublino". E' questo il nome del sistema che i paesi dell'Unione europea hanno ideato per rispondere alla domanda che si propone quando si ha a che fare con uno dei cosiddetti "rifugiati in orbita", cioè con una di quelle persone che i vari Stati europei, in assenza di un regolamento, si rimpallerebbero eternamente tra loro. La domanda è: "A chi tocca occuparsene?" Nel 1990, a Dublino, si è stabilito che la competenza spetta al primo paese dell'Unione che consentì l'ingresso del rifugiato nel suo territorio. In parole povere, se una persona presenta la domanda d'asilo in Inghilterra ma si scopre che era passata per l'Italia, la si invia qui da noi. Naturalmente il principio vale anche in senso contrario, anche se si tratta di casi meno frequenti.
In ogni paese dell'Unione, esistono delle strutture che si chiamano "Unità Dublino" e che hanno il compito dare applicazione all'accordo creando una sorta d'anagrafe europea dei rifugiati. Ma siccome l'accordo di Dublino, come tutte le normative, è soggetto ad interpretazioni: il suo funzionamento è molto meno semplice di come potrebbe apparire sulla carta.
Inoltre, alcune "unità Dublino" mostrano un'esagerata predilezione per l'Italia. Nel senso che, quando si ha a che fare con un "rifugiato in orbita" e non si riesce a ricostruirne la provenienza, si tende a presumere che sia in ogni caso transitato per il nostro paese. Un retaggio di quella nomea di "colabrodo d'Europa" che ci portiamo appresso dall'inizio degli anni Novanta.
In questa casistica rientra, almeno in parte, la bizzarra vicenda di Mohamed Arir. "Orbitava" in Inghilterra nell'attesa della risposta alla sua richiesta d'asilo quando gli dissero che sarebbe stata l'Italia ad occuparsi del suo caso. L'annuncio lo sorprese: lui in Italia non c'era mai stato e non aveva alcuna intenzione di andarci. Chiese spiegazioni. Si sentì rispondere: "No, si ricorda male o mente. Lei, infatti, in Italia è passato, eccome. Risulta a noi e soprattutto risulta alla questura di una città del sud Italia, Lecce, dove lei è stato schedato. Dunque, deve tornare in Italia, signor Abdallah":
"Ma io mi chiamo Mohamed. Mohamed Arir", protestò. Niente da fare. Per gli inglesi era Abdallah, e come tale fu trattato.
Giunto in Italia, Mohamed-Abdallah cercò qualcuno che potesse aiutarlo ed entrò in contatto con un operatore del Cir, il Consiglio italiano per i rifugiati, che lo accompagnò alla questura di Lecce, cioè dove, secondo gli inglesi, era stato fotografato e dove gli erano state prese le impronte digitali.
Fu subito evidente che Mohamed Arir non era quell'Abdallah che era transitato in Puglia: non corrispondevano né la foto, né le impronte. Gli inglesi si erano sbagliati. E' quanto immediatamente comunicò a Londra "l'unità Dublino" italiana. Caso risolto? Nient'affatto. Mentre Mohamed Arir, ridotto ad un fantasma privo d'identità, di documenti validi, di mezzi di sostentamento, attendeva la risposta e trascorreva i giorni come un barbone, mangiando nelle mense dei poveri e dormendo dove gli capitava, "l'unità Dublino" britannica - con molta calma - esaminava suo caso. La risposta arrivò dopo sei mesi. Strabiliante. Fatte le verifiche, gli inglesi avevano accertato che nei loro file non esisteva alcun altro individuo con quelle caratteristiche e che dunque Abdallah non poteva che essere lui. Un'identità definita per esclusione, un 'dover essere' anagrafico, un incubo.
La storia sarebbe probabilmente finita là se l'orbitante Mohamed Arir non avesse avuto le energie fisiche, la volontà, la tenacia di resistere: sarebbe diventato un nuovo fantasma, un nuovo clandestino, la preda ideale per uno dei tanti sfruttatori del lavoro nero. Per un errore burocratico, per un file impazzito. Ma aveva allacciato i contatti giusti. Il Cir trovò in Inghilterra un avvocato disposto ad occuparsi del suo caso e a ricorrere alla magistratura. Una causa vinta facilmente, a mani basse: c'era la dichiarazione della questura di Lecce, c'era la mancata corrispondenza delle impronte digitali.
Il governo di Londra è stato condannato a pagare a Mohamed Arir l'equivalente di 5000 euro di risarcimento e a riammetterlo nel territorio inglese. Ancora non è chiaro perché "l'unità Dublino" britannica abbia tentato fino all'ultimo di negare l'evidenza del suo errore. C'è però un'ipotesi poco onorevole per il governo di Sua Maestà britannica: che, semplicemente, contasse sul fatto che Mohamed, sbattuto in un paese dove non aveva né contatti, né mezzi di sostentamento, non avrebbe trovato il modo di reagire al sopruso. Evidentemente, in altre occasioni, la tecnica aveva funzionato. Non questa volta. Dal 23 marzo Mohamed Arir è tornato a Londra e nessuno osa più chiamarlo Abdallah.