Liberazione 28.10.05
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28/10/2005
La speranza che ci accomuna e ci coinvolge
Ogni giovedì alle 17.30 mi ritrovo a girare per le strade di Trastevere, a caccia di un perimetro azzurro sulle cui sponde abbandonerò la mia automobile. Oggi è il 6 ottobre. Porto con me Liberazione. Ho già letto l'articolo di Giulia Ingrao. Ma spero di avere ancora qualche minuto per scorrerlo ancora, seduta su una panchina, non di un parco di Roma, ma di via Roma Libera 23, alla seduta di Analisi Collettiva del nostro psichiatra Massimo Fagioli. Via Roma Libera. E’ un bel nome. Contiene una parola che di questi tempi pare evocare un'utopia. Eppure qui, la parola Libertà ritrova tutto il suo senso, la sua importanza, la sua pretesa di essere pronunciata Qui la parola ha un suo volto, perché pensabile e concreta. Ha il significato di svincolare il pensiero da fedi, sovrastrutture, ideologie. Libertà di ricerca, libertà per ciascuno di trovare la cura e andare oltre ancora. Libertà costantemente coniugata a una prassi rigorosa in cui ogni volta la teoria della nascita trova la sua immediata espressione.
Giulia Ingrao parla di speranza. Quella che ci accomuna. Forse coinvolge anche chi pare averci rinunciato. La speranza è di trovare un’altra Roma Libera. E’ la nostra città, ma ora i suoi confini si allargano e mi piacerebbe pensare che quell’aggettivo, come un fiume in piena, possa cominciare a scorrere ovunque e inondare la mia città, il mio paese, il mio mondo.
Libertà da un pensiero millenario basato sull’assioma del male congenito all’uomo. Ma perché dovrei insegnare questo a mio figlio? Datemene un solo motivo.
Libertà dal giogo di un pensiero religioso onnipotente che ipnotizza e paralizza qualunque possibilità di nuovo, di ricerca, di poesia.
Libertà di ritrovare un’identità perduta negata avvilita.
Libertà di riscoprire la fantasia, di dimostrare che una ‘società di atei virtuosi’ può esistere. Anche se a ‘virtuosi’ preferirei sostituire ‘onesti’. Libertà di rifiutare la sottomissione al pensiero religioso che vorrebbe pervadere tutta la nostra esistenza, di rifiutare il mostruoso sodalizio potere-religione che spinge anche i più insospettati a indossare la maschera di un credo falso e violento.
Mi piacerebbe accendere la radio domani mattina e ascoltare la voce della sinistra, anche di un solo politico coraggioso (perché è vero che ci vorrebbe coraggio!) che denunci la truffa storica di una Chiesa tragicamente colpevole di interi genocidi e che ancora oggi persegue le medesime disumane strategie di morte. Cos’altro è, infatti, l’impedire l’uso del preservativo nei cristianizzati paesi del terzo mondo? Non ce la faccio più. La nostra speranza è anche questo giornale. Che non rinunci a portare avanti un filo di pensiero che possa riumanizzare una politica fredda e distante, unicamente impegnata a fare conti. Che possa smascherare i volti grotteschi e crudeli di chi ci propone furbescamente una cultura di morte e indifferenza.
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Oggi è il 27 ottobre. Riprendo i pensieri a distanza di tre settimane.Tre settimane fa, Giulia Ingrao “parla di speranza” sul vostro giornale. E io pensavo a “un fiume in piena…”.
Leggo l'articolo di Eugenio Scalfari, Repubblica, 23 ottobre.
Mi domando come possa un giornale permettere dichiarazioni delinquenziali e deliranti di questa portata. Un quotidiano che invade ogni giorno l'Italia dalla Sicilia alla Val d‘Aosta. Che circola nei bus, nei luoghi di lavoro, perfino nelle scuole come copia omaggio. Omaggio? Ma quale regalo! Questi chiedono un prezzo molto caro: la sanità della gente. E si, perché se uno ha già le idee poco chiare, con dichiarazioni di quella violenza, rischia di ammalarsi. Cito: “…Ma la bontà dei bambini non esiste. La predominante necessità d'ogni bambino è quella di conquistare il suo territorio, attirare su di sé l'attenzione di tutti, vincere tutte le gare, appropriarsi di tutto ciò che desidera. Togliendolo agli altri. Vincendo sugli altri. Sottomettendo gli altri.
Questo è l'istinto primordiale, innato, esclusivo. E spetta a chi li educa insegnare a contenere l'istinto primordiale…”. Penso non ci sia bisogno di altri commenti.
E riprendo i pensieri a distanza di tre settimane: “la nostra speranza è anche questo giornale, che possa smascherare i volti grotteschi e crudeli di chi ci propone furbescamente una cultura di morte e indifferenza …”. Lea Melandri appunto, intende, come Scalfari, annichilire, uccidere le speranze della gente (vedi Liberazione del 22 ottobre). O meglio, ci prova.
Di smascheramento in fondo non c’è bisogno. I volti grotteschi e crudeli mostrano spudoratamente da sé la loro tragedia. A noi non resta che denunciare il vuoto che li anima.
Paola Botta da Roma
martina.minei@alice.it oppure p.botta@sf.it
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