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Uomini geneticamente portatori di violenza? Non ne sono convinta.
Seguo con interesse il tema del rapporto uomo-donna, ormai divenuto dibattito, considerato il botta e risposta degli articoli che da giorni animano le pagine del vostro giornale. Mi pare che l'argomento sia stato dapprima preso "alla larga" affrontando in genere il tema della natura umana: se sia o no irrimediabilmente malvagia. Poi, quello splendido articolo del 30 ottobre scritto da Giulia Ingrao, ha fatto luce e ha indirizzato la riflessione verso una ricerca più profonda. Una bellissima provocazione che che a mio avviso andrebbe raccolta e sviscerata proprio ora che il dibattito si concentra sull'identità maschile in rapporto a quella femminile. Sì perché ancora mi pare che non si arriivi al vero cuore dell'argomento. Ancora si resta al largo. Da quello che ho letto fino ad oggi, attraverso le dieci testimonianze maschili e dall'ultimo articolo di Lea Melandri (nonché da quello precedente, sempre a firma della Melandri, in cui di fatto si dichiarava impossibile una dialettica autentica tra i due sessi) pare che gli uomini siano condannati "geneticamente" ad essere portatori di violenza. Sinceramente... non convince. Le cronache riportano anche molti casi di donne che uccidono i propri figli. Allora si potrebbe dire che le donne, una volta che diventino madri, sono "geneticamente" condannate a diventare assassine? No. Direi che in ogni caso, siano uomini o donne, alla base di questi atti di violenza c'è qualcosa che con la genetica ho idea non c'entri affatto. Che sia invece una alterazione del pensiero, degli affetti, del contatto con la realtà umana? Mi piacerebbe leggere presto, su Liberazione, un approfondimento. E sarei felice di leggere il pensiero della signora Ingrao in proposito.
Lettera firmata
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