SU LIBERAZIONE DI SABATO 24 DICEMBRE 2005
Il Commento
La sessualità non è procreazione, ma è identità tra diversi
di Massimo Fagioli
Chiedo scusa ma ormai, da tempo, sento molte voci che, la notte, si sommano e si confondono con quelle del vento e della pioggia. Riesco a distinguerne una che dice sempre “scrivere, scrivere, scrivere”: è quella di Giulia Ingrao. È un nome conosciuto, lo conoscono tutti.
Oggi è celebrato da tutti, ma un tempo a pochi, rimaneva impresso nella mente il nome del direttore de L’Unità. Poi, più tardi divenne presidente della camera dei deputati.
Io ricordo, ero ragazzino, che quel nome aveva la magia di non essere sporcato neppure da coloro che pensavano sempre di eliminare i comunisti. Era uno stile di vita che rimaneva sempre lontano quel tanto che era sufficiente per delineare un immagine di eterno dissidente. Identità onesta che, nel rapporto, realizzava un continuo rifiuto.
Pietro è il fratello maggiore di Giulia, secondo ed altro nome che non ha mai avuto figura manifesta, non è mai comparso sulle pagine dei giornali. L’immagine era sempre quella dell’uomo. Io, da ragazzino, non sapevo neppure che esistesse ma era Iris, messaggera dei partigiani Dei: come me.
Poi, qualche anno fa accadde quanto non dovrebbe mai accadere nel mio lavoro che è anonimo e libero; qualcuno, forse per malignità, mi disse il nome di una donna che era stata sempre presente, silenziosamente, nel mio lavoro. In mezzo a tanti altri non chiedeva mai nulla. La vidi comparire un anno fa in pubblico, accanto al fratello; e la fantasia mi disse, poi nella notte, che era l’ombra del comunista.
Abito in un piccolo appartamento alto, all’ultimo piano e spesso i gabbiani mi danno l’angoscia perchè si gettano a corpo morto sulla copertura di lamiera della veranda. È un tonfo che risuona come qualcuno che cade per aver fatto un salto nel vuoto. Allora con le voci, che si confondono con lo stridio dei gabbiani, compare l’immagine di donna che sembra un fantasma. Risale dal selciato lontano cento metri, forse risale da cento anni di illuminismo e comunismo.
Ma, come a Enea che voleva abbracciare Creusa, a Ulisse che, nell’Ade, voleva abbracciare la madre, le braccia ricadono sul mio corpo: “ter conatus ibi collo dare brachia circum”.
Restano le voci che si confondono con lo stridio dei gabbiani ed io accendo la televisione e non distinguo le voci sterili in Matrix, Porta a porta, Markette dalle parole silenziose perché lette su Liberazione e non udite, che dicono penetrazione no, pillola no, é innata violenza maschile; la masturbazione è la vera realtà della sessualità, il rapporto uomo-donna non deve esistere.
Allora penso che i genitali diversi dell’uomo e della donna sono una malformazione genetica inventata dall’uomo per fecondare la donna, come accade negli animali.
Il gabbiano sa il mio pensiero e, di notte, si getta sulla lamiera che mi ripara dalla pioggia e fa un tonfo come un corpo di donna che cade sul selciato da cento metri. Non so come fermarlo; se esco all’aperto mi metto a tremare e dico una bugia perché penso che è per il freddo.
In verità è la paura della donna che non sono riuscito a fermare dal suicidio con cinquant’anni di scritti sulla negazione, che non è rifiuto ma deformazione della realtà. Evidentemente non ho scritto bene e so il perché.
Perché l’invito a prendere la pillola antifecondativa è la richiesta di un amore gradissimo ad una donna che ti vuole dare l’identità.
Ed è giusto, non posso chiederlo dopo migliaia di anni che l’uomo, il maschio della specie, ha distrutto l’identità della donna, le sue possibilità di amare e di unire il suo corpo ad un corpo diverso. E allora si ribella con l’odio e fa la negazione e muore; e non fa il rifiuto che è facoltà dell’io umano che distingue il vero dal falso ed è basato sul rapporto e non sull’annullamento del rapporto. Mi devo rassegnare alla castità dal momento che non riesco ad accogliere il comando a masturbarmi.
Ho però un po’ di speranza: i gabbiani bianchi che ad ali spiegate si stagliano contro il cielo terso d’estate, quando all’ aperto non tremo per il freddo, mi fanno tornare alla mente il grande cartello bianco portato dalle donne, trent’anni fa, che cantava “contraccezione per non abortire, aborto per non morire”.
E, maschilisticamente, aggiungo: per scoprire e realizzare il più totale e bel rapporto con la realtà umana diversa da me, per scoprire e realizzare che l’identità della specie umana è diversa da quella animale e la sessualità è identità e rapporto e non mezzo per la moltiplicazione della specie.
Ora i gabbiani beccano forte e rompono un telo di plastica che protegge dalla pioggia; forse sono stato prepotente e domani entrerà l’acqua e cadrà sui fogli che ho scritto; forse le parole si cancelleranno. Forse è meglio così. Non ho nessun diritto di predicare le scoperte fatte e le verità conosciute; mi rassegno alla solitudine del piccolo appartamento, insieme ai gabbiani. Poi, ottimista come al mio solito, penso che mi salverò perché le cose fondamentali le ha dette Giulia Ingrao.
Lo abbiamo messo a fuoco un anno fa, dopo l’incontro con voi del 5 novembre, con l’osservazione della scoperta biologica che il feto umano non solo non è vita, ma non ha neppure la possibilità di vivere; fino alla ventiquattresima settimana di gravidanza, quando si forma la rétina dell’occhio ed emerge la possibilità della reazione alla luce; poi alla nascita con la luce può iniziare il pensiero umano e la vita umana.
È scienza maschile? Penso che non sia importante se, chi ha messo a fuoco il tempo della formazione della rétina che dà la possibilità di vita alla specie umana, è maschio o femmina. Questa scienza, precipuamente, insieme alla pillola anticoncezionale salva la donna dalla tragedia mentale di legare la sessualità che è amore e identità, all’assassinio.
Domani chiederò all’architetto amico di rimettere il telo di plastica sulla lamiera della veranda affinché l’acqua, cadendo sui fogli, non cancelli le parole scritte.
So che i gabbiani arrabbiati beccheranno ancora e le voci stridenti ripeteranno: contraccezione no, penetrazione no, meglio il cattolico metodo Billings con l’angoscia che non fa amare.
Ma io chiederò ancora a Giulia di gridare più forte che la sessualità umana non è procreazione come per gli animali che non hanno sessualità; è identità tra persone diverse, è amore tra persone che non si capiscono.