giovedì 17 febbraio 2005

l'arte in Cina

La Stampa 17 Febbraio 2005
ARRIVANO I CINESI: L’ARTE CONTEMPORANEA DI PECHINO CONQUISTA IL MERCATO INTERNAZIONALE
di Francesco Sisci
MAO
Il presidente è un’icona che percorre le opere nelle forme più varie: c’è anche chi lo colloca a un tavolo di casinò con Valeria Marini
Il tempio della nuova creatività è una vecchia
fabbrica militare trasformata in atelier

Il governo sembra chiudere un occhio sulle intemperanze dei giovani talenti da quando si è accorto che i collezionisti occidentali sono disposti a spendere decine di migliaia di dollari per i loro lavori

La mostra Out of the Red II si apre oggi alla Galleria MarellaArte contemporanea di Milano. Informazioni al sito www.marellart.com. La mostra Cina. Pittura contemporanea è visibile fino al 3 marzo a Bologna nelle due sedi di San Giorgio in Poggiale e Palazzo Saraceni. Curata da Vittoria Coen e ideata da Lorenzo Sassoli de Bianchi che ne cura invece il catalogo edito da Damiani, la mostra è organizzata dalla Fondazione Carisbo di Bologna.
PECHINO. LA prima mostra di arte contemporanea cinese si aprì nel 1988 e si chiuse il giorno dopo. Un giovane voleva imitare le performing arts occidentali e sparò un colpo di pistola a sorpresa in mezzo alla folla, fu fermato da agenti che pensavano fosse un terrorista o un pazzo. Il giorno dopo i vecchi soloni del partito, formati su decenni di realismo socialista, sbarrarono i battenti: l'evento era troppo bizzarro, irriverente, e semplicemente fuori dai canoni. La protesta di Tiananmen, non migliorò la situazione, anzi. Gli studenti dell'istituto centrale di belle arti, che allora aveva sede a 200 metri da piazza Tiananmen, costruirono la statua della «dea della libertà», simbolo stesso della protesta e richiamo evidente alla statua dela libertà di New York. La statua venne fatta a pezzi dalle truppe, e l'istituto venne messo sotto ghiaccio per quasi un decennio.
Le cose cominciarono a cambiare quando si fecero vivi i collezionisti stranieri. In un Paese sensibile ai segnali di mercato, l'attenzione di decine di miliardari di mezzo mondo per dei pittori squattrinati era un elemento strano. Ragazzi allora trentenni o quarantenni vendevano tele gigantesche in uno stile simil pop a migliaia di dollari, cifre che allora un impiegato non vedeva in una vita di stipendi. Tra i gli artisti di maggior successo degli inizi degli anni '90 c'era Feng Mengbo che disegnò una serie divenuta poi un classico: Mao zhuxi da di, il presidente Mao prende un taxi. Era la riproduzione a colori sgargianti della celebre posa di Mao con la mano destra alzata davanti a un piccolo furgoncino, che allora faceva da taxi popolare. In quella immgine c'è tutta la Cina dell'epoca. C'era la voglia di emancipazione sociale nel prendere i primi taxi e lasciarsi alle spalle la bicicletta o gli autobus sovraffollati, c'era la continua presenza nell'immaginario collettivo di Mao Zedong, dio, spirito guida della Cina, c'era l'ottimismo, l'allegria della posa e dei colori.
Quelle pitture finirono tutte all'estero, spesso nelle collezioni di un grande imprenditore svizzero Uli Sigg, oggi proprietario della maggiore collezione di arte contemporanea cinese del mondo, più completa di quella di qualunque museo. Sigg è diventato nel frattempo così importante che i prezzi delle opere cinesi si affermano solo se lui le compra. L'affermazione culturale di questa pittura e il crescente giro di affari, fecero cambiare molte idee sull'arte moderna. L'arte era una forza economica e uno mezzo di diffusione di valori e idee culturali. Visto che era inarrestabile il governo avrebbe fatto bene a cavalcarla e non a cercare di marginalizzarla.
Contemporaneamente cambiava anche la sensibilità all'arredo urbano. I primi anni '90 erano dominati da una specie di neoclassico ispirato e protetto dall'allora segretario del partito di Pechino Chen Xitong. L'idea non era sciocca. Diceva che le nuove architetture cinesi dovevano rielaborare elementi dell'architettura cinese tradizionale. Erano le tesi di Liang Sicheng, padre dell'architettura cinese moderna. Ma tali tesi vennero applicate come un dogma scolastico e così la leggenda riferisce che i progettisti dell'ufficio pianificazione del comune di Pechino avevano sempre in tasca un tetto a pagoda che imponevano come un cappello su tutti i nuovi grattacieli della città. Oggi i tetti a pagodina pullulano nel panorama urbano della capitale, ma stanno diventando rapidamente una minoranza confusi tra forme che sembrano prese dai fumetti di fantascienza: angoli che si incrociano, forme che salgono e scendono, buchi nel centro d'un palazzo. Insomma non ci sono più limiti alla fantasia tranne quelli imposti dalle leggi fisiche del cemento armato.
Questa nuova libertà espressiva, incoraggiata dall'allora presidente Jiang Zemin, diede nuova spazio anche ai pittori. Gli artisti cinesi divennero una costante delle mostre di ogni Paese straniero. I più ricchi cominciarono ad aprire ristoranti alla moda, dove era bello andare per il cibo, ma anche per l'idea di essere a casa di un artista. I prezzi delle opere nel frattempo sono lievitate oltre le decine di migliaia di dollari, cifre che hanno raffreddato gli estimatori più vecchi, ma che hanno attirato quelli più ingenui, che nel prezzo alto hanno visto l'affare e il calore di questo nuovo mercato. Così all'inizio del nuovo secolo Pechino, con l'aiuto anche della Biennale di Venezia guidata allora da Franco Bernabè, varò la sua biennale di arte e l'anno scorso anche una biennale di architettura. È stata anche la rivincita dell'istituto centrale di belle arti, trasferitori nel frattempo in una nuova sede alla periferia della città. Questo centro, insieme a quello di Hangzhou, vicino a Shanghai, sono oggi forse le due dinamo della scena artistica cinese. Producono pittori, disegnatori di cartoni animati, grafici pubblicitari, design industriali. Il suo nuovo centro di animazione mette in riga una decina di supercomputer ultima generazione donati dalla Apple.
Di qui non passa semplicemente la scena artistica cinese, ma una nuova concezione del bello, che ha negli artisti la loro punta di lancia. Non c'è uno sguardo uniforme. C'è tutto e il contrario di tutto. Ci sono quelli che riproducono con una tecnica ad olio da fotografia le vecchie immagini della tradizione cinese, ci sono quelli che cuciono insieme i topini, quelli che deturpano i cadaveri, quelli che cercano un nuovo modo di ripensare la tradizione del paesaggio di fiumi e monti disegnati con l'acquerello. Il loro nuovo luogo di incontro è la fabbrica 798, un ex stabilimento militare oggi «occupato» da artisti che ne hanno fatto il loro luogo di ritrovo. Tutti vogliono venire in Italia a vedere la luce, i panorami i colori del rinascimento, e in questo sono incoraggiati aiutati anche da italiano come Andrea Cavazzuti che lavorano sull'arte moderna cinese da 25 anni.