martedì 7 febbraio 2006

una segnalazione di Nereo Benussi:

Massimo Fagioli sull'Unità:
l'Unità 6 Febbraio 2006
UN GRUPPO DI SCIENZIATI
«L’aborto non è assassinio: la vita inizia dalla 24ª settimana»


L'aborto non è un assassinio: la vita umana inizia solo a partire dalla 24esima settimana di gestazione, sotto questo limite minimo di vitalità il prematuro non sopravvive. È quanto affermano autorevoli esperti di diverse branche della scienza e della medicina: dallo psichiatra Massimo Fagioli al genetista Edoardo Boncinelli; dal direttore della Società Italiana Studi Medicina Riproduzione Luca Gianaroli al presidente della Società Italiana di Neonatologia Giorgio Rondini del Policlinico San Matteo di Pavia.
«Il feto non solo non è vita, ma non ha la possibilità di vivere; fino alla 24esima settimana di gravidanza quando si forma la retina dell'occhio ed emerge la possibilità di reazione alla luce: poi, alla nascita, con la luce può iniziare il pensiero umano e la vita umana», sostiene Fagioli.
Da parte sua, Boncinelli precisa, «bisogna intendersi con la parola vita: se ci si riferisce a quella biologica essa inizia con la fecondazione, se invece ci riferiamo alla vita umana non inizia nè con la fecondazione nè con l'embrione». L'embrione, infatti, «fino alla seconda settimana non ha alcuna caratteristica che si attribuisce all'essere umano». «Il limite sotto il quale non ci sono probabilità di una vita dignitosa, è un'area tra la fine della 23esima e l'inizio della 24esima settimana di gestazione - spiega Rondini - Non ha senso praticare cure straordinarie ad un feto precoce per una avere nella migliore delle ipotesi un neonato fortemente menomato nel cervello e nello sviluppo psichico».
«Non sono di certo per fare più aborti: quanti però urlano oggi contro l'aborto e la stessa Ru-486, sono gli stessi che lo hanno incentivato per legge - osserva Gianaroli - la 40 che vieta di selezionare gli embrioni destinati ad aborto naturale. Così gli italiani oltre ad andare all'estero per la fecondazione assistita ci andranno pure per abortire».

una segnalazione di Roberto Martina:

un altro articolo che altrettanto cita Massimo Fagioli a proposito dell'inizio della "vita umana alla 24esima settimana" è apparso nella stessa data [fonte: presstoday.com] anche sulle seguenti testate - tutti quotidiani regionali FINEGIL della medesima proprietà del gruppo l'Espresso -:
"Alto Adige" di Bolzano, "La Gazzetta di Modena", "La Gazzetta di Mantova", "Trentino" di Trento, "Corriere delle Alpi" di Belluno, "La Nuova Ferrara", "La Gazzetta di Reggio".
Eccone qui di seguito il testo:


pagina 6
Attualità
Per alcuni scienziati non avrebbe senso parlare di aborto prima di questa tappa

«Vita umana alla 24ª settimana»
Fissato lo sviluppo minimo perchè un neonato possa vivere

ROMA. L’aborto non è un assassinio, nè tanto meno un dramma per la donna: la vita umana inizia solo a partire dalla 24ª settimana di gestazione, sotto questo limite minimo di vitalità il prematuro non sopravvive. E’ quanto affermano autorevoli esperti di diverse branche della scienza e della medicina: dallo psichiatra Massimo Fagioli al genetista Edoardo Boncinelli. E ancora il direttore della Sismer (Società italiana studi medicina riproduzione) Luca Gianaroli, della Sin (Società italiana di neonatologia) Giorgio Rondini, del San Matteo di Pavia. «Il feto non solo non è vita, ma non ha la possibilità di vivere; fino alla 24ª settimana di gravidanza quando si forma la retina dell’occhio ed emerge la possibilità di reazione alla luce: poi, alla nascita, con la luce può iniziare il pensiero umano e la vita umana», sostiene lo psichiatra. Da parte sua, Boncinelli precisa, «bisogna intendersi con la parola vita: se ci si riferisce a quella biologica essa inizia con la fecondazione, se invece ci riferiamo alla vita umana non inizia nè con la fecondazione nè con l’embrione». L’embrione, infatti, «fino alla seconda settimana non ha alcuna caratteristica che si attribuisce all’essere umano: non possiede neanche un piccolo segno del sistema nervoso e non reagisce, non pensa, non soffre, non gioisce». Poi più avanti, «si formano le caratteristiche che fanno l’essere umano - conclude Boncinelli - fino alla nascita quando compare il respiro e la vita autonoma: ci vuole il respiro e il funzionamento del sistema nervoso per parlare di vita umana». Un ‘pool’ di nove società scientifiche ha messo a punto un protocollo ‘raccomandazioni per le cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse’ che pone il limite minimo di vitalità del nascituro alla 24ª settimana di gestazione. «Il limite sotto il quale non ci sono probabilità di una vita dignitosa, è un’area tra la fine della 23ª e l’inizio della 24ª settimana di gestazione - spiega Rondini -. Non ha senso praticare cure straordinarie, intensive e di rianimazione, ad un feto precoce, dal tessuto molto, molto precario per una avere nella migliore delle ipotesi un neonato fortemente menomato nel cervello e nello sviluppo psichico». Dunque, prima della 24ª settimana non c’è vita umana. Gianaroli critica quindi la legge sulla fecondazione assistita che vieta di selezionare gli embrioni, evitando di impiantare quelli che produrranno aborti spontanei.


Inoltre era uscito in precedenza - domenica 5 febbraio - un altro articolo che citava Massimo Fagioli:
Latina Oggi, domenica 5.02.06
VIOLENTI QUASI NORMALI
Viaggio nel disagio degli adolescenti
di Licia Pastore


Partire dalle cifre può aiutare, ma non è certamente sufficiente a spiegare cosa si cela dietro quei comportamenti di adolescenti che sempre più spesso diventano protagonisti sulle pagine della cronaca di azioni indiscutibilmente violente e nello stesso tempo non facilmente comprensibili. Le ultime stime degli accessi annui al Pronto Soccorso del Presidio Ospedaliero del Goretti parlano di un aumento rispetto agli scorsi anni, degli stati d'ansia, di disagi psichici. Ma non basta a fornire prime possibili ipotesi. C' è pronta la spiegazione di chi sottolinea che è inutile fare riferimento solo a queste diagnosi, perché è la stessa vita frenetica di tutti i giorni a rendere ansiosi. Nel caso dei giovani le cose starebbero diversamente. Si sente parlare dell'adolescenza come quel periodo in cui spesso si manifestano le 3 D. Disagio, devianza e delinquenza farebbero parte di quella teorica condizione di difficoltà minorile. Ma è proprio così? Risale a fine dicembre il fatto del giovane laureando in farmacia da tutti descritto come un ragazzo tranquillo, perfettamente normale, (impegnato nel servizio civile ) che improvvisamente in seguito ad un litigio si scatena e prende a martellate la madre. Un giudizio immediato, vorrebbe che a fatti di questo tipo corrispondano punizioni esemplari: ma tralasciando la ricostruzione dei gravi fatti accaduti, non limitandosi quindi alla sola comunicazione della notizia è chiaro che episodi così eclatanti aprono la strada a riflessioni complesse. Cosa si cela effettivamente dietro questa apparente normalità? Sono giovani che magari si fanno qualche spinello, bevono un bicchiere in più la sera con gli amici, frequentano la scuola o l'università e non sembrerebbero neanche afflitti da pesantezze familiari, perché nella realtà sono liberissimi di muoversi come gli pare. Cosa si scatena nella mente di un giovane difficile da immaginare come un potenziale mostro capace di una violenza non facilmente comprensibile? Come inquadrare un gesto di questa portata? Come fatto di eccessivo contrasto tra adolescenti e genitori? Oppure c'è un qualcosa che potrebbe spingere a pensare a una abnormalità richiamando elementi patologici specie tra le fasce sociali adolescenziali e giovanili?
Alcune domande rivolte al primario del Centro Pschiatrico dell'Infanzia e dell'Adolescenza, Servizio Speciale della Asl, Sandro Bartolomeo hanno confermato questa pista.
Infatti è lo stesso specialista a lanciare l'allarme sull'aumento di «gravi disturbi di personalità» degli adolescenti legati spesso ad una eccessiva aggressività (riferibile anche a personalità borderline, che in parole più semplici sono quelle che appartengono a quell'area di confine fra normalità e patologia.
«Occorre tenere distinti i normali conflitti che in età adolescenziale oppongono i giovani agli adulti. In questi casi si tratta di processi benevoli che servono alla crescita. Diversamente quelli che sono comportamenti anormali che si caratterizzano per eccessi di aggressività (non legati all'uso di sostanze) - spiega Sandro Bartolomeo - Non parlerei di ansia, che è uno stato diffuso in una società in cui l'ansia cresce proprio in base ai ritmi quotidiani».
Nel considerare in prima istanza questi fatti non c'è una sottovalutazione dell'aspetto psicopatologico in quanto va in primo piano un generico disagio che comprende fenomeni molto diversi fra loro e nasconde alcune specifiche problematiche di ordine psichiatrico?
«Il discorso che preoccupa è di adolescenti che stanno male e manifestano il loro malessere attraverso comportamenti aggressivi. Comportamenti clinicamente rilevabili che vanno dalla depressione ma anche attraverso comportamenti di grave trasgressione sociale. Per capirci meglio, guidare una macchina ad altissima velocità o altre trasgressioni simili che potrebbero sembrare poco significative. E' proprio questo tipo di disturbi nella provincia che è sicuramente in aumento. In parte legato anche all'abuso di sostanze stupefancenti. Cosa diversa dai gravi disturbi di personalità che non sappiamo quando si manifesteranno ma che generalmente posso dire che esplodano quando c'è un particolare stato di stress determinando quella fase che noi definiamo di acting out. Le problematiche psichiatriche possono sottendere tranquillamente in soggetti apparentemente normali e poi comparire improvvisamente».
Ma quindi questa sottovalutazione ha a che vedere con una impostazione culturale diffusa in cui si tende a considerare il rapporto tra normalità e malattia come un continuum, perdendo così di conseguenza anche il concetto di quel salto qualitativo sull'esatto confine tra malattie mentale e generico disturbo nevrotico?
«In psichiatria esistono i normali disturbi nevrotici e i gravi disturbi psicotici. Ce ne dobbiamo occupare in termini di prevenzione. La scuola, la famiglia e i servizi dovrebbero essere più capaci di individuare i giovani in difficoltà e tentare situazioni di recupero preventivo, non arrivando ad assistere al fenomeno dei disturbi conclamati».
Per allargare il campo ed avere una completezza di pareri cercando approfondire di più, le stesse domande le abbiamo proposte a Lino Carfagna, Capo Dipartimento Salute Mentale della Asl. Il dottor Carfagna è di rientro da un convegno in cui ha lanciato il suo di allarme che è relativo alle patologie prevalenti negli adolescenti che secondo le statistiche sono in cura presso il Dipartimento.
«Ciò che negli adolescenti sta cambiando, esprimendo aumenti rispetto al passato - spiega Lino Carfagna - sono i disturbi di personalità. Nei giovani sono molto frequenti. In questi casi possono scompensarsi ed entrare in un contesto più specifico di psicosi. In termini percentuali in quest'ultimo anno ci sarebbe stato un aumento del 25% di queste patologie».
Attualmente presso il Dipartimento di Salute Mentale ci sono in carico oltre 1600 pazienti. Tra questi moltissimi sono adolescenti che arrivano ai servizi o per una crisi già esplosa e ad altri vengono spesso diagnosticati disturbi di depressione. «Molto spesso da parte della famiglia c'è la tendenza a negare il fenomeno - aggiunge - ed è come se si chiudessero gli occhi di fronte a segnali che si evidenziano nei comportamenti». Da parte dei servizi molto spesso dopo la presa in carico, vengono seguiti percorsi diagnostici diversi. Nella maggior parte dei casi quando si tratta di crisi violenti si interviene con i farmaci.
Ma rispetto alla cura di questi giovani, come si pongono le ultime scoperte farmacologiche?
«Molto spesso ci troviamo di fronte a problemi di disturbi seri. Quando ci sono scompensi evidenti interveniamo con i farmaci. Diversamente cerchiamo di lavorare anche con la psicoterapia. Per ora riusciamo ad assicurare una presa in carico psicologica anche se spesso questi giovani utilizzano sostanze stupefacenti quasi a scopo di tamponamento dei loro problemi». Purtroppo quanto si riesce a garantire nei servizi non è abbastanza sufficiente per intervenire su molti casi.
«Il farmaco può aiutare - aggiunge - ma occorrerebbe assicurare una presa in carico maggiore. La caratteristica dell'ultima generazione è l'assenza di speranza, molto spesso sono disperati, perciò si può comprendere come oggi normalità e follia si tocchino di continuo e tendano a confondersi. Considerare la prevenzione come momento fondamentale è indispensabile. Ci vorrebbe maggiore attenzione. Anche a scuola gli stessi insegnanti potrebbero fare molto nel segnalare quei casi che si riescono a rilevare anche attraverso l'osservazione dei comportamenti in classe. L'ideale sarebbe lavorare su gruppi di adolescenti». A questo proposito, lo psichiatra e psicoterapeuta Mariopaolo Dario che da anni svolge psicoterapia di gruppo in ambito privato e in quello pubblico dove lavora come dirigente medico presso il Dsm della Asl Rm D, dichiara che: «Nelle generazioni giovanili dal dopoguerra in poi, (basta pensare al celebre film Gioventù Bruciata o al movimento giovanile del '68) ci sono sempre stati comportamenti trasgressivi. Pur condividendo l'ipotesi che nell'attuale generazione adolescenziale c'è una mancanza di prospettive, una diffusa rassegnazione derivata da un clima culturale e sociale di perbenismo istituzionale, non mi trovo d'accordo sull'idea che normalità e follia tendano a confondersi. La malattia mentale ha specifiche caratteristiche ed è limitata ad una percentuale minima di persone. I segni premonitori dovrebbero essere colti da psichiatri formati nella clinica psicopatologica e nella ricerca della realtà psichica non cosciente. Quando la malattia è manifesta i comportamenti alterati sono rilevabili da qualsiasi persona di buon senso. Gli psichiatri quindi devono indirizzare la loro attenzione agli aspetti non evidenti della patologia inseriti in comportamenti normali i cui capisaldi sono il manierismo, la dissociazione, fino ad arrivare al grande concetto dell'anaffettività, proposto dalla teoria del professor Massimo Fagioli. Tutto questo è confermato ampiamente dalla ricerca trentennale di quella particolare psicoterapia di gruppo che è l’Analisi Collettiva. Questa dimensione psichica di anaffettività si evidenzia come struttura di personalità compatibile con la norma che però fa ammalare l'ambiente umano intorno ad essa. Se messa in crisi si evidenzia con sintomatologia che prima di essere evidente con comportamenti grossolanamente patologici può manifestarsi con piccoli segni come accade in una lieve dissociazione del pensiero o nel manierismo. Tale atteggiamento consiste nel fatto che il soggetto si esprime creando un'immagine falsa, innaturale di se stesso nel tentativo di esprimere qualcosa che sa di non avere e di cui sente la mancanza».
La droga come fattore scatenante ci può entrare?
«L'uso di sostanze stupefacenti è diffuso ma non c'è corrispondenza fra la percentuale delle malattie mentali gravi che sono abbastanza stabili in termini di percentuali (circa il 3% della popolazione) e la diffusione dell'uso di sostanze. Non è quindi la droga causa scatenante ma tale esperienza può, in alcuni evidenziare un crollo psichico i cui elementi nascosti potevano essere preventivamente colti se osservati. Rimane fondamentale per lo psichiatra la possibilità di distinguere ai fini diagnostici tali situazioni evitando assolutamente un trattamento generico o prevalentemente farmacologico.
Con farmaci o psicoterapia?
«L'approccio più valido ritengo che sia quello psicoterapico, individuale o di gruppo, che colga nella dimensione psichica di anaffettività il principale agente patogeno e che sappia confrontarsi con tale dinamica inconscia patologica ai fini di una trasformazione completa e radicale delle dimensioni malate. Con questa impostazione terapeutica dopo un percorso spesso lungo e impegnativo si possono realizzare a vari livelli di guarigione: prima di tutto evitando la cronicizzazione della patologia, poi conquistando un'autonomia sociale lavorativa e infine realizzando possibilità di libertà nelle scelte personali e nei rapporti affettivi».
Quanti sono i giovani che si rivolgono a questo tipo di cura?
«La richiesta di psicoterapia è abbastanza diffusa. Vi è una domanda espressa relativamente ristretta forse perchè legata al problema del pagamento; ma vi è anche una domanda inespressa di psicoterapia a cui non viene data risposta e che potrebbe essere intercettata da servizio pubblico tramite psichiatri formati a tale lavoro. Cosa questa che non avviene perché nei servizi pubblici viene privilegiata da parte degli psichiatri la risposta farmacologia che la fascia d'utenza giovanile non giudica efficace».
E nel caso specifico del gesto del giovane che ha preso a martellate la madre?
«E' una reazione strana. Un conto è arrabbiarsi , urlare, arrivare magari a dare qualche schiaffo. Altro è prendere a martellate una persona. Questo comportamento violento che esprime una ribellione incongrua ci deve far ipotizzare un salto del soggetto nella psicopatologia, da approfondire negli aspetti di alterazione del pensiero precedente all'alterazione del comportamento».
Licia Pastore

I disturbi di personalità
I cosiddetti disturbi di personalità si distinguono in vari tipi. I tre più gravi anche in base a recenti sentenze della Corte di Cassazione rientrano tra quelle patologie che possono determinare anche l’incapacità di intendere e volere e che sono inserite nella diagnosi di schizofrenia latente.

L’allarme degli specialisti
DA parte dei servizi specialistici della Asl è stato segnalato l’aumento di casi che fanno riferimento a «gravi disturbi di personalità». Si tratta sia dei casi seguiti presso il Centro Speciale che presso il Dipartimento di Salute Mentale.

La domanda di psicoterapia
Farmaci o psicoterapia?
La farmacologia spesso non viene ritenuta efficace dagli adolescenti. Diversa la questione della psicoterapia. Da parte dei giovani la richiesta di psicoterapia è abbastanza diffusa. Purtroppo buona parte rimane inespressa per il problema del pagamento