Carceri: quando impareremo
a comprendere
invece di punire?
di Massimo Fagioli
Grazie Unità. No, le carceri non devono diventare manicomi; non lo dice nessuno. Ho appena scritto il terzo grazie, dopo quello a Manconi e Boraschi (su «Left») e ora, mi sembra una piccola parola. Perché quella di sabato 15 luglio è una pagina grande; posso pensare ad una grande pagina? Non riuscirò, ma cercherò di dirlo. Forse influenzato dal concerto di musica dodecafonica che la radio sta trasmettendo, mi sembra di vedere nella composizione della pagina l’espressione di un rapporto tra una corrente di pensiero del secolo scorso e idee nuove comparse cinquanta anni fa, e viste a Milano nel 1962. I nomi erano psichiatria e psicoterapia e non si vide che, in nuce, c’erano le altre parole che erano cultura, politica. Poi ad esse si aggiunse il diritto, la giurisprudenza; ed, ora questo rapporto: psichiatria e diritto, è diventato intriso di politica. Ed è come se potessi vedere che le parole che erano separate ed autonome l’una dall’altra, in verità si sono unite, e l’amore dell’una per l’altra non sempre è amore. E propongo l'ipotesi che è necessaria la ricerca su la natura umana per comporre (o separare?) le parole criminalità, pazzia, emarginazione, disagio sociale. E Manconi e Boraschi hanno visto che la mia domanda-ricerca era «chi sono i detenuti?». E l’Unità si è presentata come fata apprezzando l’utopia dell’abolizione delle carceri. Perché la mente che pensa di punire non può stare a sinistra. Perché la ricerca sulla natura umana non è stata mai a destra e non ci sarà mai perché danno per ovvio il peccato originale e la nascita cattiva dell’essere umano. Allora mi azzardo a proporre di prendere la parola comprendere e bagnarla dell'idea della compassione di origine buddista: comprendere e non punire, perché non è vero che la cattiveria sia eredità genetica.
Grazie Unità. No, le carceri non devono diventare manicomi; non lo dice nessuno. Ho appena scritto il terzo grazie, dopo quello a Manconi e Boraschi (su «Left») e ora, mi sembra una piccola parola. Perché quella di sabato 15 luglio è una pagina grande; posso pensare ad una grande pagina? Non riuscirò, ma cercherò di dirlo. Forse influenzato dal concerto di musica dodecafonica che la radio sta trasmettendo, mi sembra di vedere nella composizione della pagina l’espressione di un rapporto tra una corrente di pensiero del secolo scorso e idee nuove comparse cinquanta anni fa, e viste a Milano nel 1962. I nomi erano psichiatria e psicoterapia e non si vide che, in nuce, c’erano le altre parole che erano cultura, politica. Poi ad esse si aggiunse il diritto, la giurisprudenza; ed, ora questo rapporto: psichiatria e diritto, è diventato intriso di politica. Ed è come se potessi vedere che le parole che erano separate ed autonome l’una dall’altra, in verità si sono unite, e l’amore dell’una per l’altra non sempre è amore. E propongo l'ipotesi che è necessaria la ricerca su la natura umana per comporre (o separare?) le parole criminalità, pazzia, emarginazione, disagio sociale. E Manconi e Boraschi hanno visto che la mia domanda-ricerca era «chi sono i detenuti?». E l’Unità si è presentata come fata apprezzando l’utopia dell’abolizione delle carceri. Perché la mente che pensa di punire non può stare a sinistra. Perché la ricerca sulla natura umana non è stata mai a destra e non ci sarà mai perché danno per ovvio il peccato originale e la nascita cattiva dell’essere umano. Allora mi azzardo a proporre di prendere la parola comprendere e bagnarla dell'idea della compassione di origine buddista: comprendere e non punire, perché non è vero che la cattiveria sia eredità genetica.
Massimo Fagioli
il testo dell'articolo di Manconi e Boraschi "No, il carcere non è un manicomio", pubblicato dall'Unità di sabato 15 Luglio nella pagina a cui si riferisce l'immagine qui sopra, è disponibile qui
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il testo dell'articolo di Manconi e Boraschi "No, il carcere non è un manicomio", pubblicato dall'Unità di sabato 15 Luglio nella pagina a cui si riferisce l'immagine qui sopra, è disponibile qui