Visioni. L’Istituto italiano di cultura a Parigi gli dedica una rassegna
A che punto è la notte nel cinema di Bellocchio
Il regista piacentino sta attraversando un buon momento, dopo il premio Bianchi sarà alla festa di Roma per duettare con Bertolucci. Il prof. Montani ne elogia la capacità testimoniale di verità storica e la ricerca etico-formale contro l’«anestesia» della estetizzazione di massa
di Livia Profeti
Il cineasta persegue una riqualificazione dell’immagine
Periodo di grandi riconoscimenti per Marco Bellocchio. Reduce dal Premio Bianchi 2006 ricevuto alla mostra di Venezia e nell'attesa della Festa internazionale del cinema di Roma, dove, si mormora, lo vedremo co-protagonista di uno storico e inedito duetto con il "fratello di pellicola" Bernardo Bertolucci, dal 25 al 29 settembre il regista sarà ancora al centro della scena pubblica a Parigi. L'lstituto di cultura italiana lo ha infatti scelto per rappresentare il nostro paese nella 5ª edizione della Settimana delle culture straniere, tra gli appuntamenti più importanti della vita culturale francese.
Nata nel 2002, la manifestazione è la punta di diamante dell'intensa attività del Ficep, il Forum che riunisce più di 40 istituti, centri e partenariati culturali stranieri, di cui l'Italia si è guadagnata la presidenza attraverso la vitalissima attività di Giorgio Ferrara, direttore dell'Istituto parigino dal 2004. Obiettivo del Ficep è valorizzare la diversità delle lingue, delle culture straniere e il dialogo tra di esse, nella convinzione che l'arte sia una delle sorgenti più preziose per questo necessario processo.
L'edizione 2006 Créateurs d'ailleurs è dedicata alle grandi personalità creatrici "d'altrove", quelle che pur venendo "da lontano" hanno profondamente segnato la cultura contemporanea in tutti i suoi ambiti. Un caleidoscopio di nomi che spazia dalla musica al cinema, dal teatro alle arti figurative, dalla letteratura alla filosofia, dove alcune tra le più grandi figure del secolo appena trascorso convivono insieme ai protagonisti dell'attuale dibattito artistico e culturale. Una settimana nella quale Parigi diventerà straniera a se stessa, animandosi con più di 140 eventi rappresentativi di oltre cinquanta diverse identità culturali.
Un segno di stima prestigioso per Bellocchio, che si trova così schierato accanto a mostri sacri come Kafka per la Repubblica Ceca, Pessoa per il Portogallo o il Nobel per la letteratura Naguib Mahfouz in rappresentanza del mondo arabo, piuttosto che ai colleghi Lars Von Triers per la Danimarca e Shohei Imamura per il Giappone. Generosamente, il regista italiano si offrirà a pubblico e specialisti in un intenso slalom tra le tante proiezioni dei suoi film e le conferenze serali, nelle prime tre delle quali interloquirà con giornalisti, scrittori e storici come Alexandre Adler, Corrado Augias e René de Ceccatty, mentre le ultime due saranno dedicate alla profonda portata innovativa del suo modo di fare cinema, con il filosofo Pietro Montani e lo psichiatra Massimo Fagioli.
Per Montani, ordinario di Estetica alla Sapienza di Roma, il cinema di Bellocchio costituisce un caso esemplare nell'ambito della riflessione che egli sta conducendo da anni sull'importanza anche politica di una "riqualificazione dell'immagine". In occasione della sua imminente conferenza a Parigi, Montani ci spiega perché il cinema del regista piacentino, oggetto di un saggio contenuto nel volume fresco di stampa dal titolo Cinema e Filosofia (Bruno Mondadori, 15 euro), è decisivo per la sua ricerca che ruota intomo a una delle questioni primarie della cinematografia, ovvero quella del rapporto tra realtà e finzione-immaginazione. Montani declina questa questione nel senso della necessità odierna di un'"etica della forma": in che modo l'arte può "testimoniare la verità" in un'epoca nella quale la tecnica digitale può separare realtà e immagini al punto tale che noi non "ci fidiamo più di esse"? La risposta è che questo è possibile attraverso quel "dialogo tra i diversi registri dell'immagine" (cronaca, documento, immaginazione, ecc.), rappresentato esemplarmente da Bellocchio a partire da L'ora di religione del 2001. Una lotta per restituire alle immagini un pathos carico di "verità", contro l'"anestesia" paradossalmente indotta dalla "crescente e massiva estetizzazione" del mondo. Un lavoro che consente a Bellocchio di mostrare l'"oggettivo evento storico?testimoniale" al di là della veridicità dei fatti, come nel caso dell'"ingresso nella notte della politica" rappresentato secondo Montani in Buongiorno notte del 2003.
Anche la conferenza parigina dello psichiatra Massimo Fagioli verterà sulla novità delle immagini del regista. Fagioli, che com'è noto ha collaborato con Bellocchio ne Il diavolo in corpo del 1986, La Condanna, orso d'argento a Berlino nel '91 e Il sogno della farfalla del '94, nella sua rubrica Trasformazione (Left n.36,15?21/9/06), ha confrontato cinema e politica sul tema centrale della kermesse parigina, il rapporto con l'altro, affrontato dal punto di vista della differenza di genere. In questo senso ha affiancato il cinema di Bellocchio a quello di De Oliveira e Buñuel, con i quali il regista piacentino condivide la ricerca nei confronti dell'"immagine femminile", alla quale la politica non è ancora arrivata. Anche per Fagioli, dunque, l'importanza del cinema di Bellocchio è nella «ricerca sulle immagini»: figure della memoria cosciente, immagini oniriche e «creazione di immagini nuove con il movimento di un corpo umano che non è il movimento delle cose non umane». Un cinema che potremmo definire politico nel senso più alto del termine, perché contribuisce alla ricerca su quella dimensione umana profonda che consiste nella «capacità di immaginare (Vorstellungsvermögen) un essere diverso da me ma umano come me», che impedisce la violenza verso l'altro.
Dagli argomenti delle due conferenze parigine di Montani e Fagioli sul cinema di Bellocchio sembra quindi emergere un suggerimento per la politica: la ricerca culturale che vede il regista tra suoi più festeggiati protagonisti potrebbe aiutarla a uscire dalla sua "notte", per incamminarsi verso una nuova forma di etica condivisa nella quale la ricchezza delle diversità sia parte integrante di quella comune condizione umana che oggi più che mai, citando Hannah Arendt, «ha bisogno di nuove garanzie».
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