il Fatto 1.4.14
Il professore Stefano Rodotà
“Renzi è solo un insicuro. E non ci rottamerà”
intervista di Silvia Truzzi
Dice il presidente del Consiglio con le mani in tasca di aver “giurato sulla Costituzione, non sui professoroni”. E dunque abbiamo interpellato Stefano Rodotà, uno dei professoroni firmatari dell’appello di Libertà e giustizia, eloquentemente intitolato “Verso una svolta autoritaria”.
Professor Rodotà, si sente un po’ professorone?
Sono un vecchio signore che qualche libro l’ha letto e un po’ conosce la storia. Questi modi hanno un retrogusto amaro. “Quando sento la parola cultura metto mano alla pistola”: ecco, non siamo a questo, ma il rispetto per le persone e per le idee male non fa. C’è, dietro l’atteggiamento sprezzante di Renzi, una profonda insicurezza. Altrimenti il confronto non gli farebbe paura. Potrebbe parlare con dei buoni consiglieri e poi argomentare: il confronto andrebbe a beneficio di tutti. Direttamente s’interviene su un terzo della Costituzione, indirettamente su tutto il sistema delle garanzie. Per i cittadini esprimere la propria opinione è un diritto, per chi si occupa di questi temi intervenire è un dovere.
La discussione non può ridursi al “prendere o lasciare”.
Matteo Renzi usa toni ultimativi, non gli piace la critica perché si disturba il manovratore. Non è la prima volta: quando c’era stata una presa di posizione, molto moderata, sulla legge elettorale aveva parlato di “un manipolo di studiosi” con un tono di sostanziale disprezzo. Però non gli riesce di rottamare la cultura critica: è un pezzo della democrazia. Le reazioni che ci sono state a questo appello dimostrano che la nostra non è una posizione minoritaria: è una rottamazione difficile.
“Ho giurato sulla Carta, non su Zagrebelsky e Rodotà”: significa “non mi curo di loro” oppure “non sono i depositari della verità costituzionale”?
Che Renzi pensi che noi non siamo i depositari della verità è assolutamente legittimo. Però non può nemmeno dire: “Ho giurato sulla Costituzione e dunque sono io il depositario della verità”. La storia è piena di spergiuri. Se ritiene che il terreno proprio sia la Carta, allora discuta.
Ci vuol tempo a fare discussioni. E ora è in voga il mito della velocità, la politica futurista.
I tempi della democrazia sono anche quelli della discussione. Proprio perché la democrazia è in grande sofferenza, si dovrebbero costruire ponti verso i cittadini. Non si è sentita una parola, in questo senso. Ho avuto la fortuna di essere amico di Lelio Basso, cui si deve anche l’articolo 49 della Costituzione sui partiti politici: Basso ha sempre detto “dobbiamo discutere”. E su quel tema una discussione ci fu, eccome. Non a caso c’è, in quell’articolo, la mano di un grande giurista, che non aveva paura né del confronto né di avere con sé il meglio della cultura giuridica. Questo c’è dietro un’impresa costituzionale, non la fretta, non i consiglieri interessati o i saggi improvvisati.
“Non ci sto a fare le riforme a metà. O si fanno le riforme, o me ne vado”.
Il premier dimostra di non avere orizzonti ampi. Alza i toni, urla e dice “me ne vado”. Ma chi si alza e se ne va, svela insicurezza.
Un aut aut minaccioso.
Mettiamo insieme la debolezza di Renzi e la scelta di Berlusconi come suo alleato, con cui pensa di potere fare questo tratto di strada. Il Pd può accettare a capo chino questa strada? Nessuno si pone il problema. Dicono: “Sta piovendo, cosa ci possiamo fare? ” Almeno potrebbero comprare un ombrello!
Ci mette la faccia, ripete spesso.
Può voler dire “mi assumo la responsabilità”. Ma non può significare “da questo momento in poi detto le regole, i tempi, i modi e poiché la faccia ce la metto io mi dovete seguire”. La democrazia non funziona così. E poi anche noi, i firmatari del famigerato appello, ci abbiamo messo la faccia. Nel dialogo, siamo in condizioni di assoluta parità. Se vuole affermare una posizione di supremazia, sbaglia.
Non è il primo politico che usa toni da uomo della provvidenza.
Sono sempre molto diffidente, quando si afferma “dopo di me il diluvio”. In questi anni la politica italiana, ancor prima di Renzi, è stata condotta all’insegna dell’emergenza. Non si va alle elezioni, c’è bisogno del governo Monti e via dicendo: i progetti che c’erano dietro questa logica sono falliti.
Una circostanza è stata quasi ignorata: si vogliono fare le riforme durante un mandato in cui il Parlamento è fortemente delegittimato dalla sentenza della Consulta sul Porcellum. La non elettività del Senato, poi, diminuisce il potere dei cittadini di esprimersi: un “restringimento” democratico di cui si parla molto poco.
Per questo era indispensabile la nostra presa di posizione. Il discorso sulla delegittimazione politica del Parlamento non nasce come argomento contro Renzi. Alcune persone – Gustavo Zagrebelsky, Lorenza Carlassare e mi permetta: anche il sottoscritto – vanno ripetendo questo concetto da tempo. Il cuore della sentenza è la mancanza di rappresentatività del Parlamento. Ora bisognerebbe dire: ci sono mille ragioni, emergenza, fretta, i segnali da dare al mondo intero, per cui il Paese ha bisogno di riforme. Non è solo necessario coinvolgere un’ampia maggioranza, ma anche consentire a quel Parlamento scarsamente rappresentativo di essere coinvolto il più possibile. E aprire alla discussione pubblica: non dico che questo compensa il deficit di legittimazione, ma almeno tutti coloro che non sono rappresentati possono avere diritto di parola. Mi pare evidente che ci sia l’intenzione di far approvare le modifiche costituzionali con la maggioranza dei due terzi, in modo da impedire un possibile referendum: è un pessimo segnale. Il fatto che un Parlamento con questo grave deficit voglia mettere mano così pesantemente alla Carta, è un azzardo costituzionale: non può essere ignorato.
Si pensa di abolire il Senato come se si dovesse cambiare il senso unico di una strada di Firenze.
Una pericolosa semplificazione: mancanza di strumenti o di cultura istituzionale?
C’è stata una regressione culturale profonda. È questo tipo di semplificazioni che introduce elementi autoritari. Si cancella il Senato, si compone la Camera con un sistema iper-maggioritario, il sistema delle garanzie salta: il risultato sarebbe un’alterazione in senso autoritario della logica della Repubblica parlamentare che sta in Costituzione. E dovremmo stare zitti?
(nel'immagine: La manifestazione "Costituzione, via maestra", 12 ottobre 2013)
il Fatto 1.4.14
Cose da matti
Sindrome “Repubblica”: si scorda le sue firme
Se Beppe Grillo non avesse firmato l’appello di Libertà e Giustizia contro la “svolta autoritaria” impressa da Renzi, forse i lettori di Repubblica non ne sarebbero mai venuti a conoscenza. Come accaduto altre volte, il quotidiano di Ezio Mauro dà le notizie per induzione. Ha scelto di non pubblicare il testo – eppure, tra i primi firmatari figurano Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, Nadia Urbinati, Salvatore Settis, Sandra Bonsanti, nomi che i lettori del quotidiano di largo Fochetti conoscono bene, visto che ne sono tutti editorialisti prestigiosi - ma nell’edizione di ieri un articolo senza firma raccontava dell’adesione di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. A cosa? A un appello avanzato dalle firme di Repubblica, pubblicato dal Fatto , e ignorato dal loro giornale.
Libertà e Giustizia:
Verso la svolta autoritaria
aderisci all'appello di Libertà e Giustizia: QUI
Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014, per creare un sistema autoritario che dà al Presidente del Consiglio poteri padronali.
Con la prospettiva di un monocameralismo e la semplificazione accentratrice dell’ordine amministrativo, l’Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi cambia faccia mentre la stampa, i partiti e i cittadini stanno attoniti (o accondiscendenti) a guardare. La responsabilità del Pd è enorme poiché sta consentendo l’attuazione del piano che era di Berlusconi, un piano persistentemente osteggiato in passato a parole e ora in sordina accolto.
Il fatto che non sia Berlusconi ma il leader del Pd a prendere in mano il testimone della svolta autoritaria è ancora più grave perché neutralizza l’opinione di opposizione. Bisogna fermare subito questo progetto, e farlo con la stessa determinazione con la quale si riuscì a fermarlo quando Berlusconi lo ispirava. Non è l’appartenenza a un partito che vale a rendere giusto ciò che è sbagliato.
Una democrazia plebiscitaria non è scritta nella nostra Costituzione e non è cosa che nessun cittadino che ha rispetto per la sua libertà politica e civile può desiderare. Quale che sia il leader che la propone.Primi firmatari:
Nadia Urbinati
Gustavo Zagrebelsky
Sandra Bonsanti
Stefano Rodotà
Lorenza Carlassare
Alessandro Pace
Roberta De Monticelli
Salvatore Settis
Rosetta Loy
Corrado Stajano
Giovanna Borgese
Alberto Vannucci
Elisabetta Rubini
Gaetano Azzariti
Costanza Firrao
Alessandro Bruni
Simona Peverelli
Sergio Materia
Nando dalla Chiesa
Adriano Prosperi
Fabio Evangelisti
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