giovedì 29 maggio 2003

Ilya Prigogine (dal Messaggero)

segnalato da Dicta Cavanna
il Messaggero Giovedì 29 Maggio 2003
Scompare a 86 anni il grande scienziato russo, premio Nobel per la chimica. I suoi studi rivoluzionari sulle “strutture dissipative"
dell’energia, la instabilità e la casualità come leggi cardine dell’universo. E la fiducia che il mondo non sia affatto destinato all’esaurimento
Addio Prigogine,
profeta del caos
di MASSIMO DI FORTI

HA CAVALCATO la tigre della scienza moderna, così lontana dal quadro di rassicuranti “certezze" della fisica classica, persino con allegria. Talvolta contagiosa. Caos, instabilità, disordine, probabilità, casualità, complessità catastrofi... L’universo di Ilya Prigogine era come il Paese delle Meraviglie di Alice dove tutto cambia, tutto è possibile, tutto è rimesso continuamente in gioco. Premio Nobel per la chimica per le sue ricerche sull’entropia e sulle strutture dissipative non si stancava di sottolineare che anche Einstein aveva avuto paura della rivoluzione scatenata dalla fisica quantistica, che sostituiva alle sicurezze del mondo di Newton i concetti di aleatorietà e di probabilità. Non era stato, forse, proprio il padre della relatività a dire la celeberrima frase: «Non posso credere che Dio giochi a dadi»?
Prigogine, no. Come tutti i grandi scienziati consapevoli della sconvolgente e irreversibile svolta generata dalla teoria dei quanti, si trovava perfettamente a suo agio nel pirotecnico universo descritto profeticamente (nell’Ottocento!) da Lewis Carroll nei suoi capolavori. Nel mondo reale - ha detto, con implacabile lucidità, il grande chimico russo - non esiste un sistema che non sia instabile e che non possa prendere svariate direzioni. La fisica einsteiniana e post-einsteiniana non esprime certezze ma possibilità. Questa è stata la lezione, per qualcuno esaltante e per altri inquietante, di Prigogine. Ma, sempre fondata su solidissime basi scientifiche.
«L’universo», mi disse in occasione di un incontro a Firenze, «è come un romanzo. In principio c’è la storia del cosmo, seguita da quella della materia. Poi, c’è quella della vita e infine quella dell’umanità, la nostra. Queste storie sono concatenate l’una con l’altra proprio come le mille notti arabe di Sheherazade. Ma nuove storie ci attendono e possono essere scritte. Il romanzo dell’universo non è ancora finito e forse non finirà mai...».
Nato a Mosca alla vigilia della Rivoluzione d’ottobre ma vissuto a Bruxelles sin dal 1929, Prigogine possedeva una cultura enciclopedica che gli permetteva di dialogare con Beethoven e Einstein, Woody Allen e Aristotele, Beckett e Schrodinger come se nulla fosse, senza mai perdere di vista il rigore delle proprie affermazioni. Aveva ricevuto il Nobel per i suoi contributi alla comprensione della termodinamica culminati nella personalissima teoria delle “strutture dissipative", di quei sistemi che si generano, a partire da stati caotici, con dissipazione di energia in condizione di lontananza dello stato di equilibrio. Ma il suo pensiero trovò risonanza mondiale soprattutto con la pubblicazione, a metà degli Anni 70, del capolavoro La nuova alleanza (sottotitolo Uomo e natura in una scienza unificata), scritto con l’epistemologa Isabelle Stengers e pubblicato in Italia da Einaudi. E Prigogine superava con la padronanza di un sapere sterminato ed eclettico (e con la sua capacità di divertirsi e di divertire l’interlocutore, che fosse una singola persona o un vasto pubblico) le difficoltà di divulgarlo.
«Gli esseri umani hanno sempre avuto bisogno di certezze», diceva. «Un tempo le avevano o credevano di averle dalla religione. Poi le hanno avute dalla fisica di Newton per parlava un linguaggio deterministico e non problematico come quello della scienza moderna. Oggi non è più così e non accettare questa realtà ha intrappolato persino un genio come Einstein in contraddizioni insuperabili. La cosa importante è capire che tutto questo non è un fatto negativo, al contrario. Siamo forse all’inizio di una nuova storia dell’universo. Mi piace paragonarlo a un bambino appena nato. Non sappiamo cosa potrà fare da grande, chi sarà e diventerà. Certo, alcuni genitori vorrebbero già saperlo. Ma quello che conta, a mio avviso, non sono le nostre pretese di certezze ma le infinite potenzialità dell’universo-bambino».
Anche in campo politico-sociale Prigogine era di una straordinaria apertura mentale. Aveva ben presenti tutte le questioni dominanti del nostro presente-futuro: la fine delle ideologie, la rinascita dei fondamentalismi, la società multietnica, la crisi ambientale. Ma aveva fiducia, una contagiosa inesauribile speranza. «L’essenziale», ammoniva, «è capire che le sfide sono più stimolanti di noiosissime pseudocertezze».
Riteneva che i due grandi problemi della nascita e della fine dell’universo fossero più che mai aperti. Quanto al primo, si attendeva una possibile clamorosa risposta dall’eventuale creazione della materia in laboratorio che potrebbe condurre la scienza all’avvio della “cosmologia sperimentale". E, per quel che riguarda il secondo, non esitava a tener fede alla sua immagine di “eretico" e rivoluzionario. Sosteneva che l’universo potrebbe non finire mai, messaggio finora inaccettabile sia per la conoscenza scientifica che per le religioni.
«A sostenere la morte dell’universo», spiegava con olimpica serenità ma con ferma convinzione, «è stata una interpretazione del secondo principio della termodinamica, in base al quale ogni sistema energetico è destinato progressivamente all’esaurimento, all’entropia. Secondo me, invece, la termodinamica ci dà un altro messaggio: non è mai possibile predire il futuro di un sistema complesso. Il futuro di un simile sistema — e più che mai quello di uno straordinariamente complesso come il nostro universo — è aperto. Per il cosmo nessun destino di morte è, dunque, scontato». E concludeva, con un affondo sorprendente ma tutt’altro che privo di fondamento scientifico: «Anziché preoccuparci della sua morte, dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento e pensare che l’universo è un bambino appena nato».