giovedì 24 luglio 2003

storia dell'unione sovietica

Repubblica 23.7.03
Lenin e la nave dei filosofi
I segreti della "nave dei filosofi" così Lenin epurò gli intellettuali

L´ex Kgb svela i documenti sulla deportazione via mare nel 1922 di 300 personalità scomode per il regime
La storia della deportazione di centinaia di intellettuali definiti "controrivoluzionari"Furono cacciati dal loro paese: fecero carriera nei migliori atenei del mondo
Si pose perfino il problema di far pagare ai deportati il biglietto per il viaggio

MOSCA dal nostro corrispondente Aberto Stabile
UNA SERA di settembre del 1922 il mercantile tedesco "Oberburgmeister Haken" salpò dal porto di Pietrogrado, oggi San Pietroburgo, per una destinazione tenuta segreta, nel Baltico. La nave, che le autorità sovietiche avevano preso in affitto da un armatore tedesco, portava un carico straordinario, anch´esso circondato dal massimo riserbo. Armi? Veleni? Materiale bellico? Niente di tutto questo.
A bordo c´era, invece, il fior fiore degli atenei, delle professioni, dell´intellighenzia, come scrivevano i santoni del potere sovietico nei loro paranoici rapporti: storici, filosofi, letterati, i quali, lungi dall´aver svolto una qualche attività eversiva, venivano accusati d´aver espresso «sentimenti contrari» alla rivoluzione, al comunismo, ai dogmi marxisti. Quanto bastava, in quel tempo di ossessionanti furori, per essere arrestati e condannati all´esilio fuori dalla Russia vita natural durante.
La "Nave dei filosofi", come è stata definita dallo studioso Mikhail Glavatskij in un saggio uscito nel 2002, è oggi una mostra molto istruttiva su una delle pagine più vergognose della storia sovietica. Attraverso i documenti tratti dagli Archivi di Stato, dell´Fsb e del Cremlino, che hanno collaborato alla realizzazione della mostra, si capisce, ad esempio, come la mania persecutoria di uno Stalin, sublimata al punto da concepire lo sterminio sistematico degli oppositori, non fosse un caso di follia individuale, ma il risultato di una prassi e di una tecnica del potere che aveva in Lenin il suo ideatore.
Siamo nella primavera del 1922. Dopo cinque anni di regime rivoluzionario il paese è allo stremo. La carestia infierisce sul Volga, l´arteria vitale della Russia. Il cosiddetto "Comunismo di guerra" non è in grado di sfamare la popolazione. Il malumore si diffonde nelle campagne e nelle città, nelle Università e tra le categorie professionali. Per cercare di puntellare l´edifico che minaccia di crollare, Lenin è costretto a inventarsi la Nuova politica economica (Nep), che di fatto legittima il ritorno all´iniziativa privata.
Ma nel momento stesso in cui il regime sembra aprirsi, ecco evocato il fantasma del «nemico interno», la famigerata borghesia pronta a approfittare della momentanea difficoltà dei bolscevichi per riacciuffare il potere. Questo nemico, opportunista e velleitario, veste i panni dei docenti universitari, degli studenti, degli intellettuali, dei professionisti, dei medici (ecco un altro chiodo fisso del regime, i congiurati in camice bianco) che nelle assemblee d´Istituto, nelle riunioni di categoria e sui giornali clandestini rivendicano maggiore libertà.
Il vertice del partito è colto di sorpresa dalla rivolta della società civile. Ma a Lenin non manca, ancora, la lucidità necessaria per fronteggiare il fenomeno. Con calligrafia minuta, obliqua, supponente, il "lìder maximo", scrive a Kurskij, commissario per la Giustizia, un biglietto in cui propone che nel nuovo codice penale venga allargata la possibilità di applicare la pena di morte, mediante fucilazione, ma al tempo stesso, in determinati casi, di sostituire la pena capitale con l´esilio perpetuo, mediante deportazione.
È chiaro che Lenin pensa già a disfarsi dell´intellighenzia. Tant´è che il 19 maggio scrive al grande architetto dell´apparato repressivo, Felix Dzerzhinskij: «A proposito della deportazione all´estero degli scrittori e dei professori che aiutano la controrivoluzione, propongo l´istituzione di una commissione composta dal Gpu (il servizio di sicurezza dell´epoca, n.d.r.) e da intellettuali, che perlustri le pubblicazioni non comuniste e raccolga informazioni sul lavoro dei docenti e degli scrittori». E propone che a guidare il gruppo di lavoro sia una persona «intelligente, colta e accurata».
Trotskij, spietato, parla di «prevenzione umana». Perché, dice, se la situazione dovesse peggiorare, «saremmo costretti a fucilarli tutti». Con perfetta, spaventosa efficienza vengono istituiti gli Uffici di Collaborazione, un nome un programma, e stilati i primi elenchi di esiliandi.
Il 22 giugno, il Politburo emana l´ordine aberrante di deportare tutti i medici in Asia: alcuni subito, altri dopo un´indagine sulla «diffusione della letteratura illegale», un terzo gruppo a scaglioni. Il 16 luglio, Lenin in convalescenza dopo il primo ictus cerebrale, scrive a Stalin di accelerare le deportazioni. Le liste dei deportati vengono continuamente aggiornate prima di essere sottoposte al vertice. Improvvisamente - ed è un dettaglio che nella tragedia che si sta consumando ha una sua comicità - si pone il problema dei "costi". A pagare il prezzo del viaggio verso l´esilio devono, per decreto, essere gli stessi esuli. Ma la maggior parte di essi non ha più soldi. La dirigenza sottopone allora a Lenin il quesito se deve in questo caso lo Stato affrontare le spese. Alla fine lo farà. Ai deportati sarà permesso di portare soltanto gli effetti personali e l´equivalente di 50 rubli in oro. Alle ambasciate viene ordinato di non assumere personale reclutato nei ranghi degli espatriati.
Ma chi sono le vittime di quest´impressionante macchina repressiva? Storici e giuristi come Aleksandr Kizevetter e Venedikt Mikotin, scrittori e letterati, come Jakop Apushin, Mikhail Osorgin, Yulij Ajkhenvald, filosofi come Nikolaj Losskij, Lev Karsavin, Semion Franck, Nikolai Berdjaev, che nel 30 raggiungerà la cattedra di Teologia di Cambridge, Sergheij Bulgagov, Pjotr Struve, il filosofo e musicologo Ivan Lapshin, il segretario di Aleksandr Kerenski, Pitirim Sorokin, che le sue qualità porteranno ad Harvard.
Sono più di trecento a finire nelle celle della famigerata Butirka. L´unica forma di garanzia per gli arrestati è un breve interrogatorio secondo uno stampato, uguale per tutti. «Cognome: Berdjaev. Nome e patronimico: Nikolaj Aleksandrovich. Età: 48 anni. Origine: ex nobile. Occupazione: scrittore e studioso Stato civile: sposato. Stato patrimoniale: non ho proprietà. Domanda: Dica, cittadino Berdjaev, quali sono i suoi giudizi sulla struttura dello Stato sovietico e sul sistema proletario? Risposta: Per le mie convinzioni non posso avere un punto di vista di classe e ritengo ugualmente limitata ed egoista sia l´ideologia della nobiltà che quella borghesia che quella del proletariato. Il mio punto di vista è quello dell´uomo e dell´umanità cui deve subordinarsi qualsiasi limitazione di classe e di partito».
I primi di settembre, il primo gruppo di deportati prende il treno alla volta di Riga. Un secondo treno parte diretto a Berlino. A fine settembre salpa la nave "Oberburgermeister Haken". Un mese dopo, la nave "Preussen".