domenica 26 ottobre 2003

R.Barilli: KANDINSKY a Milano
fino al 20 gennaio

l'Unità domenica 26.10.03
Alla Fondazione Mazzotta di Milano esposte, accanto a quelle dell'artista russo, opere di Klee, Marc, Macke e altri
KANDINSKY, IL CAVALIERE DELL'INCONSCIO
Una mostra sul movimento «Der Blaue Reiter» che aprì l'arte alle pulsioni dello spirto.
di Renato Barilli


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La Fondazione Mazzotta di Milano presenta una mostra assai utile dedicata al Cavaliere Azzurro (a cura di M.M.Moller e T.Sparagni, fino al 20 gennaio). La ragione di questa utilità è dichiarata in catalogo da Gabriele Mazzotta che ricorda come solo trent'anni fa si sia avuta l'unica altra esposizione rivolta al fenomeno tedesco, qui in Italia, presso la Galleria d'arte moderna di Torino. Perché un'attenzione così scarsa laddove non si contano le rassegne sul Futurismo o sull'Espressionismo? Forse perché il Cavaliere Azzurro non è stato un «ismo», un movimento compatto, bensì una serie di incontri, di incroci, di attraversamenti, ad opera di protagonisti molto vari tra loro, di statura e di intenti. Quanto a statura, ce ne furono due di massimo livello, il russo Wassili Kandinsky, il protagonista i assoluto di quelle esperienze, e un deuteragonista entrato in scena un po' all'ultimo momento, ma destinato a crescere oltre misura, lo svizzero Paul Klee.
Il tutto si colloca a Monaco, la città tedesca in cui Kandinsky era andato a vivere dal 1902, contribuendo a farne con ciò la diretta sfidante della supremazia da riconoscersi a Parigi, nel cammino entusiasmante delle avanguardie storiche. E proprio a Monaco, o nei dintorni come Murnau, e negli anni cruciali tra il '10 e il '12, il pittore russo conduce quella sua progressione implacabile che lo porta a lasciarsi alle spalle le ultime parvenze naturalistiche, a sfondare il Velo di Maia steso sulle cose, a scoprire che sotto quelle forme fin troppo note si spalanca un universo straripante, insondabile. È sarà l'approdo a un'astrazione tutta affidata al mondo della biologia, quasi a dimostrare che la vita viene dal mare, o magari da quel mare iterno ad ogni essere vivente che è il liquido amniotico. Questa la marcia verso il basso, verso uno «spiritualismo nell'arte» che in realtà, per Kandinsky, altro non è se non l'inconscio, lo smisurato continente dell'Es, su cui da tempo Freud conduceva le sue indagini. Un altro russo, Malevich, in sintonia con l'olandese Mondrian, stava invece per impegnarsi in una progressione di senso contrario, verso le vette «supreme» (da cui il Suprematismo) del'astrazione geometrica più rarefatta e asfittica, ovvero le rinunce imposte dal Superego, sempre per dirla con Freud.
In mezzo ci stanno i comprimari che Kandinsky si trascina dietro nell'esperienza del Cavaliere Azzurro, che è un binomio di origine e paternità incerte, dove comunque il Cavallo sta a rappresentare quell'idea di energia selvaggia e incontenibile che era già stata cara al nostro Boccioni, mentre l'Azzurro è il colore dello «spirituale», e indica l'obbligo di smaterializzare l'energia animale e terrena implicita nell'altro termine. Il tutto doveva sfociare in una rivista, di cui uscì appena un numero, accompagnato da due sole esposizioni, a cavallo appunto tra l'11 e il '12.
Tutti gli altri comprimari, ad eccezione di Klee, erano da meno del superbo condottiero, a cominciare dalla devota compagna che egli ebbe in quegli anni monacensi, Gabriele Münter, che come tutti gli altri non riuscì a saltar fuori dalle panie della figurazione, limitandosi a «primitivizzarla», secondo il codice dell'Espressionismo. Sia detto di passaggio che attorno al Cavaliere Azzurro si svolse un'intensa vicenda di «coppie», come una precedente rassegna torinese ha dimostrato qualche tempo fa. E i maschi in quell'occasione non fecero una bella figura, lo stesso Kandinsky, costretto nel '14 a rientrare in Russia per lo scoppio della Grande Guerra, ne approfittò per troncare i rapporti con la compagna, che non si riebbe dal trauma. Accanto a loro c'era la coppia russa Jawlenski-Werefkin, e anche in quel caso lei, Marianne Werefkin si accollò uno spirito di sopportazione per paur di perdere l'amante, senza però riuscire a trattenerlo a sè. Per fortuna in questo caso il senno del poi ha premiato la donna sul compagno infedele, dato che Jawlenski, oggi, ci appare come una delle presenze più deboli di quel sodalizio, limitto a condurre un fauvismo esteriore, a fior di pelle, laddove il primitivismo di lei si nutre di lieviti parossistici di grande forza, anche se pur sempre condannati a infilare vie secondarie.
Lo scudiero che Kandinsky ebbe accanto a sè in quegli anni cruciali fu Franz Marc, destinato a morire in guerra nel '16, a soli 36 anni; e forse Marc è il più scoperto e perfino ingenuo, nel partire dall'energia animale di cavalli e di cervi, tentando di ricavare da loro la forza per andare oltre, ma senza riuscirvi, a differenza del grande Cavaliere che lo guidava: anche perché, prima di sparire vittima della guerra, Marc rimase irretito dalle scomposizioni cubiste, fu incerto cioé se procdere oltre nella spinta energetica, o se invece appoggiarla agli schemi della macchina. Schemi, questi, accettati con più convinzione dall'altro scudiero del gruppo, August Macke, anche lui destinato a scomparire presto sul fronte. Ma almeno Macke si identificava con uno spirito analitico e descrittivo cui si addicevano i quadratini policromi della scomposizione cubista. E poi egli ebbe il merito di aprire in tal modo la strada a Klee, pronto a giocare su ogni tasto, a condurre il grande en pleine di tutti i codici formalisti, mescolandoli tra loro, agitandoli al grande fuoco di un'energia primaria pronta ad assumere mille volti.