giovedì 4 dicembre 2003

ancora su Paul Klee

Avanti! 03/12/2003
LA GRANDE FORZA CULTURALE DI UN ARTISTA
Le opere di Paul Klee e il “pensiero pittorico”
di Elio Matassi


Il pensiero filosofico contemporaneo, si possono ricordare Walter Benjamin e Maurice Merleau-Ponty, è sempre stato attratto da Paul Klee. Come ricorda Scholem in "W. Benjamin e il suo angelo", l’Angelus Novus, un acquarello di Klee acquistato nel 1920 fu, per almeno un ventennio, un punto di riferimento per la riflessione benjaminiana. Quando nel 1921 Benjamin accettò la proposta di un editore di Heidelberg di pubblicare una rivista, proprio in omaggio a Paul Klee, decise di chiamarla “Angelus Novus”. Essa infatti doveva avere in comune con l’angelo il carattere effimero, come viene scritto nel programma della rivista, il solo giunto alla pubblicazione: “Perfino gli angeli – nuovi ogni attimo in schiere innumerevoli – secondo una leggenda talmudica vengono creati per cessare di esistere e dissolversi nel nulla, non appena abbiano cantato il loro inno davanti a Dio. Possa questo titolo significare che la rivista abbia in sorte un’attualità di tal genere, l’unica vera”. In ebraico il termine ‘angelo’ è identico a quello di messaggero. L’angelo è dunque un ‘messaggero’ e non può considerarsi irrilevante se nel quadro di Klee la testa dell’angelo sia circondata da rotoli di pergamena sui quali potrebbe esser scritto un messaggio. A questo stesso angelo Walter Benjamin dedicherà la nona delle sue tesi "Sul concetto di storia": “C’è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi è rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca aperta, le ali sono dispiegate”. La scena rappresenta un movimento violento, irresistibile, che Benjamin decifra come l’immagine dell’umanità trascinata, contro il proprio volere, verso un futuro che le fa orrore. La figura dell’Angelo di Paul Klee, come commenta finemente Stephan Mosès, 'è figura del lato oscuro, lugubre di ogni ri-presentazione', è anche la rappresentazione allegorica dell’altra faccia del presente, della catastrofe che sempre di nuovo si produce, “in cui il tempo si inabissa allorché cerca di produrre il nuovo”. Anche Merleau-Ponty, in particolare nel suo ultimo scritto "L’occhio e lo spirito", sceglie a punto di riferimento, accanto a Cézanne, lo stesso Klee. Klee e Merleau-Ponty hanno in comune una filosofia della visione, della pittura che può considerarsi a pieno titolo un vero e proprio “pensiero pittorico”; nella definizione del quadro come di una dimensione non rappresentativa, ma autofigurativa Merleau-Ponty individua il filo conduttore della ricerca di Klee, la conquista di un pensiero pittorico, fondata non più, come nella geometria classica, sull’ “opposizione di un essere sul vuoto dello sfondo” ma, come nelle geometrie moderne, acquisendo “restrizione, segregazione, modulazione di una spazialità preliminare”. Di recente, nell’importante collana laterziana “Maestri del Novecento”, è apparsa una lucidissima Introduzione a Klee di Giuseppe Di Giacomo, uno dei nostri studiosi di estetica più affermati, membro del prestigioso Kreis romano di Emilio Garroni. L’espressione “Introduzione” è comunque riduttiva, non riuscendo a dare la cifra esatta della brillante ricostruzione di Giuseppe Di Giacomo, già segnalatosi come importante studioso di Wittgenstein, del giovane Lukács, della forma-romanzo e di molti altri contributi sul rapporto tra estetica e letteratura e tra estetica ed arti figurative. In tre densissimi capitoli, “Gli inizi: tra Brema e Francoforte”, “L’insegnamento al Bauhaus”, “Il ritorno a Berna” e nelle preziose sezioni di ‘Storia della critica’ e della ‘Bibliografia’ viene offerto un quadro appassionato e convincente di Paul Klee. L’artista e il teorico riescono a coesistere in una trattazione letterariamente efficace. Di grande rilievo l’analisi delle sinestesie prospettate da Paul Klee, il passaggio diretto dalla tonalità al colore. Viene giustamente ricordata l’affermazione di Klee, per la quale, “sempre più sono spinto a fare dei paralleli tra musica e arte figurativa… Certo è che ambedue sono arti del tempo, come si potrebbe facilmente dimostrare”. Un parallelismo che configurerà la stessa natura del quadro, e che, in modo particolare nel periodo di Bauhaus, porterà a leggere molte sue opere figurativo-pittoriche come uno spartito musicale. In tal modo Klee rovescia quella tendenza che si era affermata con la recensione di E. Th. A. Hoffmann alla Vª di Beethoven e per la quale non potevano sussistere margini di compromissione fra il “propriamente musicale” e le arti figurative; la musica doveva affrancarsi dal dominio delle arti plastiche per conquistare la propria irriducibile specificità. Un’attitudine teoretica che si rafforza nel periodo d’insegnamento al Bauhaus, quando la fase più nuova e personale dell’attività figurativa di Klee viene accompagnata da una produzione teorica sempre più definita. Sono questi gli anni nei quali Klee arriva alla formulazione compiuta della sua teoria della forma e della figurazione, nei quali il pittore ed il teorico diventano una sola persona. A tal proposito, giustamente Di Giacomo sottolinea una comunanza prospettica tra Klee e Leonardo nel considerare la forma non alla stregua di un valore assoluto ma processuale: “Secondo Klee il mondo deve essere visto non dall’esterno bensì dall’interno ed è soltanto a questa condizione che si aprono prospettive infinite” (p. 62). A fondamento della teoria di Klee, di quello che può essere interpretato come un vero e proprio ‘pensiero pittorico’ sta il concetto d ‘forma’, come ‘genesi’, un principio comune alla natura e all’opera d’arte: “Il mondo, naturale e artistico, che si apre quanto più si scende nel profondo, non è il mondo delle forme date una volta per tutte, ma il mondo delle forme in movimento, della formazione, della Gestaltung” (p. 63).