venerdì 16 gennaio 2004

Romano Bilenchi
non aspettò l'invasione dell'Ungheria

Repbblica 16.1.04
Sul "Caffè" alcuni inediti
BILENCHI E LO SCONTRO COL PARTITO COMUNISTA
di NELLO AJELLO


Ombroso, impulsivo, profondamente toscano, Romano Bilenchi (1909-1989) è stato, oltre che un narratore raffinato e avaro di sé, un testimone della cultura e della politica del Novecento. Alcune lettere finora inedite appaiono nell´ultimo numero (novembre-dicembre 2003) del Caffè illustrato, diretto da Walter Pedullà. Ne emergono i tratti essenziali del personaggio: onestà personale, disprezzo per i burocrati d´ogni risma, fedeltà alle amicizie.
Legato in gioventù alla corrente letteraria di Strapaese, che aveva fra i suoi banditori il concittadino Mino Maccari - erano entrambi di Colle Val d´Elsa - Bilenchi dedicava un ammirato rispetto alle tradizioni della propria terra, che conciliava con un ruvido fascismo popolaresco, alla Ottone Rosai. Suoi bersagli erano i circoli letterari, assai autorevoli nella Firenze ermetica, e d´estate fiorenti nella vicina Versilia. Era Forte dei Marmi secondo lui - e in questo senso ne scriveva nel gennaio del '32 all´amico Eugenio Galvano - la località adatta per vedere e sentire «come sono fessi i letterati». Ne salvava pochi: Maccari, che per la statura e l´età chiamava «il Piccolo Padre», Ardengo Soffici ribattezzato «Il Santo», ed Elio Vittorini. Di molti altri metteva in ridicolo le ansie metafisiche. Quanto a lui, se ne preservava con distacco vernacolo: «Tormenti spirituali non ne ho», confidava a Galvano, «tolti quelli per la potta delle figliole di Siena».
All´autore di Conversazione in Sicilia è dedicata un´altra delle lettere pubblicate dal Caffè. Si riferisce a una vicenda cruciale della vita di Bilenchi: le sue dimissioni dal quotidiano comunista Il nuovo Corriere di Firenze. Ne aveva assunto la guida nel 1948, dopo essere stato vicedirettore della rivista Società e aver collaborato alla nascita del Contemporaneo. Bilenchi, come molti ex fascisti di sinistra, era entrato in quel «partito nuovo» che vedeva incarnarsi in Togliatti, ma con qualche riserva libertaria. Quelle nutrite dallo scrittore di Colle Val d´Elsa rappresentavano, in fondo, il vero lievito di un giornale in cui sembrava prolungarsi lo spirito «unitario» del Cln.
La vena protestataria di Bilenchi traboccò nel luglio del '56, in occasione della rivolta popolare esplosa nella città polacca di Poznan e della cruenta repressione che ne seguì: episodi che il Pci tendeva ad archiviare come manovrati dai «nemici di classe». «I morti di Poznan sono morti nostri», proclamò invece, in un «fondo», il direttore del Nuovo Corriere. E in capo a un mese il giornale venne soppresso.
Violento e durevole fu lo strascico emotivo che questa decisione lasciò nella vita di Bilenchi. Nella lettera a Vittorini del settembre '56, egli parla dei comunisti con sdegno, li chiama «loro», e gli attribuisce calunnie cui il «carissimo Elio» non dovrà credere: «Figurati se vado all´Unità di Milano. I miei rapporti con loro sono tesi», e tali resteranno. Più tardi, nel gennaio del '72, rivelerà a un altro amico, Silvio Guarnieri, che «dentro il partito c´era e c´è ancora una banda nefasta», così ramificata da isolare il vertice di Botteghe Oscure. «Perché non raggiungessi Togliatti mi costrinsero a dare le dimissioni». E l´amarezza sembra coglierlo quando annota che a essere «trattato bestialmente» è «uno come me» che ha «speso un´intera vita per diventare comunista».
Ancora negli ultimi anni di vita, chi lo andava a trovare nella sua casa fiorentina di via Brunetto Latini per documentarsi su questo o quell´episodio del Pci, lo scorgeva in preda all´ «incazzatura personale» che aveva provato in quell´estate del '56. L´autore della Siccità e del Bottone di Stalingrado era fiero del suo ruolo di profeta, al punto da esaltare forse oltre il dovuto il proprio ruolo politico. «Il Nuovo Corriere», ha scritto nel 1982 a Goffredo Fofi, «non arrivò all´insurrezione ungherese... Io feci casino prima, ai fatti di Poznan». E «fui fatto fuori perché ero l´ultimo bersaglio togliattiano».