giovedì 26 febbraio 2004

«La stanza vuota delle tre religioni»
Pietro Citati sui tre monoteismi

una segnalazione di Sergio Grom

Repubblica 26.2.04
La stanza vuota delle tre religioni
IL NOME SEGRETO DI DIO
Le tre religioni di Abramo, i monoteismi a confronto

Parlare di ebraismo, cristianesimo e dell´Islam è quasi impossibile, tanto sono complicati i loro cammini e le molteplici forme che hanno assunto nel tempo
È stato il filosofo e teologo Kierkegaard a sostenere che per un uomo di lettere leggere libri religiosi è un grande divertimento
Dio Padre e Allah sono figli di Jahve, gli assomigliano come un volto rispetto al suo riflesso specchiato Tutti e tre sono unici
L´islamismo non è Khomeini, bin Laden o lo sceicco Ahmed Yassin, ma una realtà immensa fatta di straordinarie cose
di PIETRO CITATI


PARLARE della religione d´Abramo, cioè dell´ebraismo, del cristianesimo e dell´Islam, è quasi impossibile. Sono religioni complicatissime, e ognuna d´esse si divide in sotto-religioni - giudeo-cristianesimo, cristianesimo paolino, cristianesimo neoplatonico, gnosi, luteranismo, calvinismo, controriforma: fariseismo, essenismo, ebraismo apocalittico, Zeloti, Cabala, chassidismo: Islam sunnita, sciita, sufi; e ho accennato appena a un centesimo di queste definizioni, nelle quali s´è espressa la grandiosa fantasia religiosa dell´uomo - la forma più sublime delle nostra immaginazione creatrice.
Non sono affatto uno specialista, ma solo un dilettante di cose sacre. A mia scusa, posso ricordare una frase di Kierkegaard: il quale diceva che, per un uomo di lettere, leggere libri di religione è il più grande e forse l´unico divertimento. Se una volta siamo stati creati da Dio oppure l´abbiamo creato (la differenza è irrilevante), ora giochiamo con lui: o soprattutto, lasciamo che lui, nascosto dietro una cortina, giochi con noi, legati a lui da migliaia di sottilissimi fili, come il burattinaio muove sulla scena le sue marionette di pezza.
Nel primo secolo dopo Cristo, esisteva il Tempio di Gerusalemme: il secondo Tempio, che venne distrutto dalle truppe romane nel settanta dopo Cristo. Aveva la porta ricoperta d´oro da cui pendevano grappoli d´oro alti come un uomo: gli ori risplendevano sotto i raggi del sole, facendo chiudere gli occhi a chi cercava di fissare il Tempio da lontano. All´aperto stava l´altare dei sacrifici, dove il fuoco non si spegneva mai. All´interno, dietro una tenda, il Santo dei Santi, inaccessibile, invisibile, dove aleggiavano lo spirito e il nome segreto di Dio. Sino alla fine, il Tempio fu circondato da un immenso prestigio nel mondo pagano: quasi tutti i popoli del Mediterraneo vi portavano doni votivi. Nel 63 avanti Cristo, avvenne uno scandalo. Pompeo il grande violò il Tempio di Gerusalemme, penetrando nel Santo dei Santi. Non scorse nulla. La stanza era vuota. Molti pagani si presero gioco di Israele. Alcuni (ne sono certo) compresero che il Santo dei Santi era vuoto perché solo il vuoto può alludere all´essenza inafferrabile e incomprensibile di Dio. Non dimentichiamo mai quella stanza. Tutti i templi cristiani e le moschee islamiche e le sinagoghe della diaspora vengono di lì. Non badiamo allo splendore delle architetture, delle pitture, delle sculture, dei pulpiti, delle lampade, dei mihrab, dei colori nelle chiese e nelle moschee. In ognuna di esse, nascosta sotto i colori, c´è sempre quella stanza vuota, dove aleggia lo spirito di Dio. Senza quel vuoto profondissimo, nessun tempio può esistere. Noi siamo ancora là, in quel Santo dei Santi, che per mille anni ebrei, cristiani e musulmani hanno inutilmente cercato sotto le rovine del tempio di Gerusalemme.
Dio Padre e Allah sono figli di Jahve: gli assomigliano come un volto rispetto al suo riflesso specchiato. Tutti e tre sono unici. Tutti e tre, diceva Agostino, sono altissimi et secretissimi, proximi ed praesentissimi. Proprio perché sono unici, hanno qualità opposte: abitano le ultime lontananze dei cieli, dietro settantamila cortine di luce e di tenebra, e stanno vicino a noi, più prossimi, diceva il Corano, della vena del nostro collo: sono tutte le cose e non si identificano con nessuna delle cose: sono inconoscibili e conosciutissimi, come Cristo: sono gelosi, tirannici, tremendi, e ci sfiorano con la grazia più delicata: sono immutabili e mutevolissimi; se qualche volta ci inducono a peccare, lo fanno solo per perdonarci. Come diceva un teosofo islamico, il nome Allah, cioè Dio, deriva dalla radice wll, che esprime la nostra dolorosa nostalgia di Dio.
Nella mediocre coscienza religiosa dei nostri giorni, abbiamo dimenticato che il rapporto col Dio unico è un rischio: il più grande che possiamo affrontare. Qualsiasi vera esperienza religiosa, anche politeista, è un rischio: lo sa, nell´Iliade, Elena che viene posseduta da Afrodite; e, nell´Odissea, i devotissimi Feaci, che diventano vittime sia di Posidone sia (forse) di Zeus. Ma l´esperienza monoteista è più tragica. Lo sguardo del devoto ebreo, cristiano, o islamico, sta fisso sul punto luminoso-oscuro, che si rivelò, durante l´Esodo, tra le colonne di nubi e di fuoco del cielo. Se la fiamma divoratrice del roveto ardente, dove Dio si nasconde, è troppo intensa, possiamo venire distrutti. Quando Allah possiede la mente del mistico islamico, questi non conosce quiete perché Egli non si vela ai suoi sguardi nemmeno un istante. Appena il mistico entra nella Valle dell´Amore, gli sembra di tuffarsi nel fuoco. Non gli resta che annullarsi nel mare del mistero: o immolarsi sulla stessa croce di Cristo.
Vi è forse un pericolo ancora più grande. Chi crede nel Dio unico, pensa che il suo regno debba essere attuato qui ed ora, su questa terra, con assoluto rigore, nella purezza assoluta delle leggi e dei riti. Qualsiasi rinvio o compromesso è un tradimento. Nessuna idea è più pericolosa: nessuna ha portato maggiori disastri nella storia universale; specialmente in quella ebraica, ma anche in quella cristiana ed islamica e nelle storie profane. Durante il primo secolo dopo Cristo, gli ebrei attendevano il Messia, nato da un uomo e da una donna. Quando egli fosse venuto, allora sarebbe giunto il Giudizio, il Regno, una nuova creazione. Un fervore incontenibile si impadronì di molti ebrei. Fra di essi, i qanna´im, gli Zeloti, non volevano aspettare pazientemente il regno di Dio, ma volevano affrettare «la fine», accelerando la venuta del Signore. Sappiamo cosa accadde: la distruzione del secondo Tempio, il rogo del Santo dei Santi, la fine dei sacrifici, la perdita del nome segreto di Dio, il ferocissimo massacro da parte dei Romani, l´infinita, interminabile diaspora, che non è ancora finita.
Dopo di allora, Israele venne guidato soprattutto dai rabbini. Essi non volevano «affrettare» la venuta del regno di Dio. Predicavano la pazienza, la calma, lo studio della Bibbia, il commento insaziabile delle parole sacre, l´attesa. Si chiusero nel silenzio, nel dolore e nella gioia segreta - perché Dio era presente in tutte le scintille luminose della terra. Quasi lo stesso accadde nella Chiesa cristiana. Malgrado le aspettative, Gesù non discese dal cielo; e, come i rabbini di Israele, i sacerdoti cristiani appresero che solo la cautela e la discrezione, e un infinito amore che accetta l´infinita distanza, possono permettere a Dio e agli uomini di entrare in rapporto.

Tutti conoscono la scena del dramma primordiale. Dio dispone Adamo ed Eva nel giardino di Eden, al centro del mondo, dal quale escono i quattro fiumi dell´universo. Alla brezza del giorno, Dio cammina nell´Eden e l´uomo è il suo tempio. Nel mezzo del giardino, sta l´albero della vita: probabilmente lì accanto l´albero della conoscenza del bene e del male. A partire dal primo secolo avanti Cristo, quante volte ebrei e cristiani hanno ripetuto e come salmodiato il nome dei due alberi! Quante volte hanno cercato di interpretarli! Tutta la nostra vita, soprattutto oggi, dipende dal loro significato.
Non credo che l´albero della conoscenza offra (come qualcuno dice) «l´onniscienza nell´accezione più lata del termine»: la cognizione del bene e del male è solo una parte della conoscenza totale. Per quanto possiamo capire, il suo frutto divide il mondo secondo le forze opposte del bene e del male: instaura nel mondo unitario delle origini la separazione, l´antitesi, la lacerazione, l´opposizione. Da una parte c´è il bene, dall´altra il male: da una parte c´è il sacro, dall´altra il profano; e poi via via il puro e l´impuro, il permesso e il proibito, la vita e la morte, la virtù e il peccato, la legge e la violazione.
Chi ha conosciuto il bene e il male, vive cogli occhi aperti: cogli occhi tragicamente aperti sulle lacerazioni della realtà. Mangiando il frutto, entriamo nel regno della morte, viviamo nella morte, esperimentiamo la morte, dalla quale Dio voleva sottrarci all´inizio dei tempi. Non eravamo fatti per vedere il mondo secondo l´antitesi e la contraddizione, la luce e la tenebra.
L´altro albero, l´albero della vita, è ancora più misterioso. Sappiamo soltanto che ci dona «la vita eterna». Senza che nessuna parola lo dica esplicitamente, è lecito supporre che Dio avrebbe concesso all´uomo di mangiarne i frutti, diventando immortale. Così possiamo immaginare il progetto che Dio aveva preparato per l´uomo. Adamo ed Eva dovevano vivere cogli occhi chiusi, senza entrare nel regno della chiarezza e dell´opposizione: senza conoscere né il bene né il male, né la morte né la storia. Ma vivere ad occhi chiusi non esclude la conoscenza. Tutto lascia credere che lassù Adamo ed Eva avrebbero posseduto una conoscenza che si unificava con l´unitaria realtà divina del mondo. Come sempre, Kafka ha visto meglio di tutti: «Esistono, per noi, due specie di verità, come vengono rappresentate dall´albero della scienza e dall´albero della vita... Nella prima, il bene si distingue dal male: la seconda non è altro che il bene stesso, ed ignora sia il bene sia il male».
Il progetto di Dio viene infranto. Eva e Adamo peccano. Questo gesto tra le ombre del giardino rivela cosa si annidava nel cuore già notturno dell´uomo: Adamo non vuole restare una creatura, desidera diventare sicut Deus, precipitando fuori dal proprio limite. Il suo atto è duplice. Da un lato, si avvicina a Dio, diventa sicut Deus, guadagna una conoscenza divina: ma, dall´altra, acquista la caratteristica che definirà per sempre l´uomo, perché soltanto l´uomo (non Dio né gli animali) conosce le cose esclusivamente attraverso lo sguardo limitato e opposto del bene e del male.
In questo momento, con rapidità vertiginosa, nasce la storia umana: quella che stiamo ancora sopportando. L´uomo comincia a vivere ad occhi aperti. Conosce la divisione, la separazione, l´antitesi: esperimenta il bene e il male, il sacro e il profano, il peccato, la vergogna, la cacciata, il desiderio amoroso, il parto, la paternità e la maternità! Mentre prepara un vestito colle foglie di fico, inventa la civiltà e la cultura. Così la tradizione ebraica e cristiana nasce dopo il peccato, attraverso la coscienza e la vergogna per il peccato. Anche Dio si sposta. Lascia l´Eden vuoto, e si avvicina alla storia. L´atto col quale si accomiata da noi è dolcissimo: prepara «due tuniche di pelle», e ne veste Adamo ed Eva cacciati dall´Eden. Così ci fa capire che, d´ora in poi, malgrado il peccato, egli proteggerà l´uomo e la cultura; e da Dio della creazione si trasformerà in Dio della storia.
Questo racconto ha un epilogo, simile tra cristiani ed ebrei, che ci riporta di nuovo fuori dal tempo. Nell´Apocalisse cristiana di Giovanni, la Gerusalemme che discende dal cielo è una misteriosa città cubica di diaspro, illuminata dalla luce gloriosa di Dio, senza sole e senza luna, senza notte, senza templi, dove l´uomo abita in Dio e in Cristo. Accanto a un fiume, sorge l´albero della vita, che porta dodici frutti - ma l´albero della conoscenza del bene e del male, attraverso il quale la colpa è entrata nel mondo, è scomparso. Siamo dunque ritornati nell´Eden, senza più peccato. I cabalisti ebrei pensano invece che le radici dei due alberi edenici fossero le stesse. Mangiando il frutto del bene e del male, la colpa di Adamo era stata quella di isolare tra loro i due alberi, trasformando l´albero della conoscenza in albero della separazione e della morte. Dunque noi tutti, ebrei e cristiani, dobbiamo scavare il terreno dell´Eden che vive in ognuno di noi, e dimostrare che esiste soltanto una radice, che tutti i rami emanano da un medesimo tronco, che tutte le nostre sensazioni, pensieri e fedi non sono che un unico flutto di luce.

Passarono tredici o forse quattordici secoli. Nel settimo secolo dopo Cristo, la vecchia storia di Adamo fu narrata un´altra volta, anzi più volte, nel Corano, che raccoglieva in parte tarde leggende ebraiche; e poi raccontata ancora dalla tradizione sunnita e in quella sciita, finché nel nono secolo, a Bagdad, un sapientissimo teologo e storico, Tabari, la raccontò un´altra volta nei trenta volumi del suo commento al Corano e nei centoventi volumi delle sue Notizie dei profeti e dei re. Tutto cambiò. Nella Genesi, la creazione di Adamo è un atto superbamente solitario di Dio: nel mondo appena nato, Dio forma l´uomo dalla polvere della terra, o «a sua immagine e somiglianza». Non c´è nient´altro che questo gesto: questo fronte a fronte tra Dio e l´uomo; gli occhi creatori puntati sulla creatura. Il mondo del Corano è invece popolatissimo: una grande scena di teatro, un coro sonoro e colorato, dove prendono la parola, uno dopo l´altro, Allah, gli angeli, Satana, la terra, Adamo.
Allah impone agli angeli di rendere omaggio alla nuova creatura: un immenso gigante di argilla, che diventerà Adamo. C´è qualche protesta: «Vuoi mettere sulla terra chi vi porterà la corruzione e vi spargerà il sangue»: poi gli angeli chinano il capo e accettano. Con una sola eccezione, Iblis, Satana, che rifiuta di prosternarsi e dice: «Io sono migliore di lui: tu mi creasti col fuoco, e creasti lui di fango». Imperiosamente, Allah lo caccia: «Via di qui! Non ti è lecito, qui, fare il superbo. Via. Sei ormai un essere spregevole».
La tradizione islamica è più complessa e variegata di quella cristiana. Secondo la versione sufi, cioè mistica, Satana è il primo monoteista, che si ribella a Dio per amore di Dio. Quando Allah comanda agli angeli di prosternarsi davanti ad Adamo, Satana rifiuta perché ama Dio più puramente degli altri, e può venerare solo la sua essenza incomunicabile. Il Signore lo punisce segregandolo nel più buio degli inferni. Appena ode pronunciare la condanna, Satana dice a sé stesso che essa scende dal soglio di Dio, come la pioggia della sua grazia, e l´accoglie con il fervore della propria anima. Ha un unico desiderio: servire da bersaglio alla freccia di Dio. Sa quanto sia soave: perché, prima di lanciare la freccia, Allah fissa lo sguardo sul bersaglio della propria collera. Allora il dolore della ferita viene dimenticato. La memoria accoglie soltanto la beatitudine di quello sguardo divino, dove la collera si confonde con la più dolce delle misericordie.
Nell´Eden islamico c´è un solo albero. Per quanto io sappia, non esiste la minima traccia di quel complicato e delicatissimo intreccio tra l´albero della vita e l´albero della conoscenza, che appare nella Genesi ebraico-cristiana. Nel Corano, esso è l´albero della vita eterna: i commentatori arabi parlano di vigna, grano, olivo, palma, lavanda, fico, melo e (naturalmente) sesso femminile. Il saggio Tabari aggiunge: «Non ne sappiamo niente». Ma già nel Corano un fatto è evidente. Sebbene Adamo sia cacciato dal Giardino e conosca una vita di lacrime sulla terra, la sua colpa non è l´evento capitale, anzi l´evento della tradizione ebraico-cristiana. Come dice l´esegesi sunnita, alla quale ha dedicato un eccellente libro Ida Zilio-Grandi (Il male nel Corano, Einaudi), la colpa di Adamo è lieve. Qualcuno la nega: qualcuno dice che Adamo era ubriaco; qualcuno che si era dimenticato dell´ordine di Dio (singolare dimenticanza per un grandissimo profeta). L´Islam (o una parte di esso) non è dunque fondato sul peccato originale: quel peccato immenso, che per noi Cristiani solo il sacrificio di Gesù sulla croce riuscirà a cancellare. Ignora la colpa primitiva, che l´Occidente, persino quello illuminista, non ha mai dimenticato.
Qualche secolo dopo, la tradizione sciita racconta una storia diversa. Nel giardino dell´Eden, Adamo soccombe alla vertigine dell´ambizione, trasgredendo il proprio limite. Mentre mangia il frutto dell´albero sconosciuto, egli vuole conoscere il mistero di luce che non può ancora raggiungere, acquistando con violenza la scienza della Resurrezione, che sta al di fuori della sua e della nostra misura. Noi, ebrei e cristiani, ritroviamo almeno in parte il nostro Adamo. Ma solo in parte. L´Adamo, di cui parla san Paolo nella Lettera ai Romani, è il rovescio di Cristo: «Per mezzo di Adamo il peccato entrò nel mondo e per mezzo del peccato la morte, e in tal modo la morte si estese a tutti gli uomini, perché tutti peccarono... Se per il delitto di un solo la morte regnò per colpa di un solo, molto più quelli (i cristiani) che ricevono l´abbondanza della Grazia... regneranno nella vita per merito di uno solo, Gesù Cristo». L´Adamo degli sciiti resta, invece, il primo tra i profeti: l´epifania del Misericordioso, la più pura sostanza del mondo angelico. Secondo una tradizione, il Nome supremo di Dio comprende settantatré lettere, di cui una è conosciuta soltanto da lui. Due lettere furono date a Gesù: quattro a Mosé: otto ad Abramo: quindici a Noé: venticinque ad Adamo; settantadue a Maometto. Dunque, Adamo, il peccatore, è il supremo tra i profeti, dopo colui che li riassume tutti in sé stesso, Maometto.
Secondo un´altra concezione islamica, la terra è avvolta dalle azzurre montagne di Qaf, che simboleggiano la nona sfera celeste. Ai suoi piedi si estendono due immense città, Jabalqa e Jabarsa, che hanno quattro lati di quattordicimila parasanghe. La popolazione è incalcolabile. «Ogni città ha mille fortezze, e in ognuna di queste fortezze c´è una guarnigione di mille soldati, che vi fanno la guardia ogni notte». Non c´è sole né luna: il tenero azzurro smeraldino di Qaf illumina ogni torrione, ogni merlo, ogni soldato della fortezza; e dal suolo proviene un´altra luce. Qui Allah ha progettato una storia diversa da quella di Adamo. Gli abitanti di Jabalqa e di Jabarsa non discendono da Adamo, e non hanno mai sentito parlare di lui e di Satana. Mentre noi, Adamiti, ci nutriamo di carne, indossiamo vestiti, apparteniamo a due sessi, lassù gli abitanti delle due città si nutrono di erbe, vivono nudi, sono androgini e non generano figli. Convertiti da Maometto all´Islam nella notte del suo velocissimo viaggio celeste, rivolgono ad Allah la perfetta obbedienza degli angeli.

Molti, nel lontano e vicino passato (e persino oggi) sognarono una condizione nella quale le tre religioni di Abramo convivessero pacificamente. Mi duole per i miei confratelli cristiani: questo non accadde mai sotto il dominio dei sovrani cristiani, troppo affaccendati a massacrare ebrei. Accadde soltanto - sia pure per intervalli, interruzioni, nell´imperfettissimo modo umano - sotto il dominio politico di califfi e sovrani islamici, in Spagna e nell´Africa settentrionale. Un famosissimo verso del Corano aveva detto: «A ognuno di voi abbiamo assegnato una regola e una via: mentre, se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una comunità unica».
Il Corano stabiliva che ebrei, cristiani, zoroastriani erano popoli eletti. Imponeva una tassa (spesso gravosa) a chiunque di loro volesse professare la propria religione. Era un´umiliazione: il segno di un´inferiorità radicale rispetto ai veri credenti, gli islamici. Ma anche una protezione. Quando avevano pagato la tassa, ebrei e cristiani avevano il diritto di venerare il proprio Dio, leggere i propri libri sacri, svolgere le loro cerimonie, e amministrare le proprie comunità.
Penso soprattutto al califfato di Cordoba nel decimo secolo: che una famosa monaca tedesca, Rosvita, chiamò «lo sfavillante ornamento del mondo». Cordoba aveva novecento bagni, migliaia di negozi, centinaia o migliaia di moschee, acque correnti portate dagli acquedotti, strade lastricate e luminose. La Biblioteca del califfo conteneva quattrocentomila volumi: il suo catalogo occupava quarantaquattro volumi; mentre altre settanta biblioteche erano aperte a chi voleva leggere l´arabo, il latino, l´ebraico. Allora le biblioteche dei conventi europei non comprendevano, di solito, più di quattrocento codici. Il visir del califfo era Hasdar, figlio di Isacco, figlio di Ezra, capo della comunità ebraica. Uno degli ambasciatori era Recemondo, vescovo cristiano.
A Cordoba, le acque, le luci, i negozi, le biblioteche, i cataloghi non durarono a lungo. All´inizio dell´undicesimo secolo, i mercenari berberi del Califfo distrussero la città e la meravigliosa reggia di Madinat al-Zahra. Poi, sempre dal Marocco, arrivarono gli emiri Almoravidi, che detestavano ebrei e cristiani e soprattutto i musulmani mistici. Che non condividevano il loro fanatismo. Come vedete, l´Islam non è mai stato privo di qualche Osama bin-Laden. Nel 1109, gli Almoravidi bruciarono in piazza un libro di Al-Ghazali, uno scrittore grandissimo, nato nell´Iran orientale. La cosa più straordinaria è che mentre i fogli del libro si accartocciavano e si annerivano sotto la violenza del fuoco, la popolazione di Cordoba tumultuò e si ribellò contro gli emiri berberi. Fu l´unica volta, credo, nella storia del mondo che un popolo si ribellò per difendere un libro: questa cosa fragile, delicatissima, fatta di lettere, colori, respiri, profumi e nostalgia.
Mai come oggi la religione di Abramo è torturata e divisa. I cristiani non conoscono né Israele né l´Islam: l´Islam non conosce né il cristianesimo né Israele, e soprattutto se stesso; Israele conosce poco il cristianesimo e l´Islam. Una mediocrissima setta religiosa, i Wahhabiti, diffusa nell´Arabia Saudita, fino a pochi decenni fa disprezzata nell´Islam, è oggi la più importante del mondo musulmano. Quando si impadronirono dei luoghi santi, i Wahhabiti distrussero le tombe dei parenti, dei compagni e delle mogli di Maometto, e avrebbero distrutto anche la tomba di Maometto, se la gente di Medina non si fosse rivoltata. Di lì venne Osama bin-Laden e il terrorismo. Ma non c´è una sola pagina, nei testi fondamentali dell´Islam, che prescriva il terrorismo, o l´assassinio degli innocenti. Persino l´inizio delle guerre sante, come dice Bernard Lewis in un libro recentissimo (La crisi dell´Islam, Mondadori, traduzione di Ludovico Terzi, euro 16,50), deve essere scrupolosamente annunciata agli infedeli.
Nei paesi islamici, specie in Algeria e in Libia, gli europei hanno compiuto cose orribili: mentre Abd el-Kader, un mistico sufi, l´eroe della resistenza algerina ai francesi, difendeva i cristiani di Damasco dalla violenza dei Drusi. In questo secolo, l´Occidente ha posseduto alcuni grandi orientalisti: Louis Massignon, Shelomo Dov Goitein, Henri Corbin, Johannes van Ess. Nessuno di loro ha imposto qualcosa all´Islam: ha invece cercato di studiare e capire le tradizioni arabe o persiane che l´Islam aveva trascurato o dimenticato. Questa è l´unica strada che ogni uomo di cultura occidentale possa percorrere: far conoscere all´Europa (il quale lo ignora) e all´Islam (il quale lo ha quasi dimenticato) che l´Islam non è Khomeini, Osama bin-Laden o lo sceicco Ahmed Yassin, ma una realtà immensa - il Corano, Ferdousi, Nezami, Avicenna, al-Ghazali, Suhrawardi, Ibn Arabi, Rumi, Hafez, Ibn Khaldun, e quell´aereo capolavoro erotico-esoterico, scritto dagli uomini e dalle creature celesti, che da tre secoli affascina l´Occidente: Le mille e una notte.