martedì 9 marzo 2004

Hieronimus Bosch (1450 ca - 1516)

Corriere della Sera 8.3.03
BOSCH
Adamo e i suoi Arcani
di GILLO DORFLES


molte immagini di Bosch sono visibili qui


Una donna con le sue piccole gambe che fuoriescono dal collo; un pesce che trascina il Carro con stivaletti alle gambe; un grande Orecchio, trapassato da una freccia, solitario e monumentale in mezzo alla desolata pianura infernale; l’uomo-albero che ha per piedi due barche e per torace un tronco... Queste e mille altre sono le fantasmagorie che troviamo illustrate soprattutto nei tre grandi trittici: il Carro di fieno del Prado, le Tentazioni di Sant’Antonio di Lisbona, il Giardino delle delizie o Millannium del Prado.
Queste le più importanti e affascinanti opere di Jheronimus van Aeken, che si firmò sempre Hieronimus Bosch, ricavando il suo nome dal paese natale di s’Hertogenbosch, ossia il Bosco del Duca, dove appunto nacque «attorno» al 1450. Dico «attorno» perché ben poco si sa della sua vita. Nato, cresciuto, e morto nel Brabante, di Bosch si ignorano le vicende e i viaggi, ma si sa - o si suppone - che appartenesse ad una delle tante sette eretiche del tempo: quella del Libero Spirito.
Il che, almeno in parte, potrebbe spiegare il perché del suo costante far ricorso, non solo a scene e argomenti religiosi e mistici (I sette peccati capitali, L’adorazione dei Magi, Il Cristo in croce, l’Ecce homo e Le nozze di Cana, tutti appartenenti a quello che si considera il suo primo periodo); ma soprattutto a figurazioni decisamente blasfeme - almeno rispetto all’ortodossia cattolica del tempo - e oltretutto spesso invischiate nelle maglie d’una figurazione carica di simbologie insolite, di richiami alchemici, e addirittura, di un’atmosfera che non possiamo che definire onirica e surreale (non surrealista) molto lontana da quella degli artisti coevi nelle Fiandre: da Van Eyck a Van der Goes, da Memling a Cornelis Engebrecht.
Sicché persino la vena fantastica di Breughel è totalmente diversa da quella ermetica di Bosch, come del resto lo sono quelle di alcuni suoi seguaci: Met de Bles, Gilles Mostert, Franz Verbeck, per non parlare di un Gossarte o di un Patinir.
Molti studiosi - anche illuminati - si sono accaniti ad analizzare e decriptare l’opera di quest’artista tanto amato anche dagli spagnoli sotto il nome di «El Bosco». Così bisogna ricordare i lavori di von Baldass, di Tolnay, di Combe, soprattutto di Fraenger, molti dei quali si sforzarono di segnalare le analogie esistenti tra alchimia e le figurazioni del Giardino delle delizie, fra magia e sette eretiche specie là dove i simboli religiosi sono accostati a scene libidinose o a simbologie decisamente sessuali. Mentre, da parte di Combe, ad esempio, si tentò di accostare alcune delle immagini boschiane agli Arcani dei Tarocchi.
Così, ad esempio, secondo questo studioso, esiste una netta analogia fra il dipinto del Prestigiatore e il Primo Arcano (il Bagatto); mentre altre analogie si riscontrerebbero fra il Settimo Arcano e Il Carro di Fieno , il Nono Arcano e L’eremita , il Ventesimo e Il Giudizio finale mentre un’analogia ancora più spiccata si può rintracciare fra la tavola del Figlio l prodigo e il Ventiduesimo Arcano (il Matto).
Se si tenta di stendere una vera e propria scheda biografica dell’opera di Bosch ci si imbatte subito nella quasi totale assenza di notizie precise tanto sull’uomo che sulla sua attività pittorica.
Infatti, tutti i suoi esegeti si sono sforzati di tracciare un itinerario attendibile della sua vicenda creativa basandosi più che altro su dati stilistici o contenutistici.
Possiamo ormai accettare come probabile una divisione dei lavori in tre grandi filoni: quelli delle opere ancora legate - lo si diceva più sopra - all’ortodossia religiosa come La cura della follia, I Sette vizi capitali, Le nozze di Cana, Cristo in croce, tutti dipinti molto vicini a quelli degli artisti fiamminghi coevi; mentre già con La nave dei pazzi e con Le nozze di Cana si comincerebbero a notare (anche secondo Fraenger, uno dei più acuti suoi commentatori) i primi accenni a simbologie eterodosse.
Alla seconda e terza fase, invece, apparterrebbero i quadri dell’età matura, quelli che dettero all’artista la sua massima rinomanza. Ed è in questa fase che la fantasia boschiana raggiunge il suo apice in un crescendo drammatico e stupefacente.
Se, infatti, ci limitiamo a considerare anche soltanto uno dei capolavori più noti e certamente quello che racchiude in sé tutti i «misteri» delle ultime opere (dall’ Adorazione dei Magi del Prado al Martirio di Santa Giulia di Venezia, dalle Tentazioni di Sant’Antonio di Lisbona al Giudizio Universale di Vienna) ossia Il giardino delle delizie, constatiamo subito l’incredibile diversità fra questo dipinto e tutti quelli coevi delle Fiandre.
Secondo Fraenger, l’opera gli era stata commissionata dal Gran Maestro della setta del Libero Spirito: una setta che credeva al Mistero di Adamo, all’ermafroditismo iniziale dell’umanità, a una redenzione del peccatore attraverso l’amore sessuale; ecc., tutte situazioni che giustificano le stupefacenti figurazioni del capolavoro: le schiere di uomini e donne nudi, ma non «libidinosi», quasi tornati a uno stato d’innocenza; d’altro canto la presenza di figure sconvolgenti come, all’esterno del trittico, l’immagine d’un globo trasparente, popolato da gigantesche piante antidiluviane, esemplari d’un regno vegetale aberrante.
Quale, in definitiva, il significato complessivo del trittico? Forse davvero la riconquista della purezza iniziale di una umanità che ignora il peccato? Forse le bestie strane, cavalcate da uomini nudi rappresentano i simboli ormai soggiogati dei Peccati mortali? E che dire dell’uomo-albero, dell’orecchia percossa dal coltello, dell’alambicco o «athanor» alchemico?
Certo: i pochi dipinti come questo ci trasportano in un mondo dove piacerebbe aggirarsi all’infinito, cogliendo le bacche - forse velenose, forse afrodisiache - che ci si schiudono davanti, e cavalcando qualcuna delle fiere - mansuete e certo ingannatrici - che conducono verso un Paradiso laico.