lunedì 19 aprile 2004

crisi del matrimonio, i dati

La Stampa 19.4.04
L’ISTITUZIONE MATRIMONIALE È IN CRISI NON SOLO IN OCCIDENTE, MA DIVORZIARE ALMENO NEL NOSTRO PAESE È UN’IMPRESA DAI COSTI PROIBITIVI
Ieri SPOSI
di Michele Ainis


DICEVA Oscar Wilde: «Il Libro della Vita inizia con l'immagine di un uomo e una donna in un giardino. Termina con l'Apocalisse». Sarà per questo che - secondo una ricerca Eurispes del 2003 - il matrimonio è il tipo di relazione sociale più esposta al delitto. Sarà per questo che in Francia 6 donne al mese vengono uccise dai mariti, che nel Regno Unito circa la metà delle donne assassinate cade per mano del suo partner, che in Giappone la violenza domestica costituisce la seconda causa di divorzio.
Ecco, il divorzio. Offre senza dubbio un'alternativa meno drammatica e cruenta rispetto alle pallottole, però purtroppo costa, e costa caro: tanto che ormai soltanto i ricchi se lo possono permettere. Quantomeno in Occidente, dato che in Cina si celebrano perfino divorzi per incompatibilità «metereologica» (è accaduto nel settembre 2003: la donna non sopportava il clima troppo caldo di Shanghai). Mentre in Kuwait o negli Emirati Arabi un uomo può rompere le nozze inviando alla moglie un Sms dove ripete per tre volte la formula prescritta nella Shari'a («io ti ripudio»), senza scomodare giudici e avvocati, e soprattutto senza pagarne la parcella. Non è un risparmio da poco: per fare un esempio, in Italia la tariffa per un divorzio giudiziale, quando i beni da dividere variano dai 105.000 ai 258.000 euro, viaggia da un minimo di 8.000 euro a un massimo di 17.000. Senza dire dei tribunali ecclesiastici, cui si rivolgono i fedeli per ottenere la dichiarazione di nullità del sacramento del matrimonio: qui le spese legali sono così alte che nel 2003, durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario, il vicario ha solennemente rampognato gli avvocati. Sarà per questo che aumentano i separati in casa, tanto che nel 2000 persino la Corte di cassazione ha dovuto arrendersi al fenomeno, estendendo a tali coppie lo status di quelle separate legalmente. D'altra parte un divorzio significa il raddoppio dell'affitto da pagare, doppie bollette, doppie spese domestiche, doppio arredamento per la casa; per il 55% delle coppie in crisi è un costo troppo alto, e allora tanto vale chiudere gli occhi, tirando avanti in stanze separate. Inoltre per l'uomo rompere il matrimonio equivale quasi sempre a rinunciare ai figli, nonché a una buona parte di quattrini: sempre in Italia, secondo un'indagine Istat del 2000, nell'86% dei casi i figli minorenni sono affidati esclusivamente alla madre, e 95 donne su 100 ricevono l'assegno alimentare dal proprio ex marito. Ma anche negli Usa l'84,1% dei bambini che vivono con un solo genitore sta in casa della madre, e lo stesso accade un po' in tutto il mondo occidentale.
Dove peraltro l'istituto coniugale è logorato da una crisi che parrebbe irreversibile. A Parigi naufraga un matrimonio su 2. Alla data del 2001, in Germania il numero di single aveva quasi raggiunto quello dei maritati. Del pari, negli Stati Uniti i single erano il 17,1% della popolazione nel 1980, sono diventati il 21,1% nel 2000. E perfino tra i settantenni esplodono i divorzi: il 10% delle coppie si lascia infatti dopo 40 o 50 anni di matrimonio. Per agevolare questa pratica, da ultimo vanno sviluppandosi i divorzi online, che in California vengono gestiti dai tribunali dello Stato, e possono costare 50 dollari appena. Contemporaneamente i fiori d'arancio diventano una festa sempre più rara (e più cara: in media 9.400 euro solo per il ricevimento). In Inghilterra nel 2000 sono stati celebrati 267.961 matrimoni, a fronte dei 331.150 avvenuti nel 1990. Anche in Italia nel 2001 i matrimoni hanno toccato il loro minimo storico: 260.904, ossia 20 mila in meno rispetto all'anno precedente; e in media un matrimonio su 3 entra in crisi già nel primo anno. Colpa d'una società che brucia in un attimo gli eventi non meno degli affetti, ma anche colpa di politiche assai poco sensibili alle necessità di chi ha famiglia, benché i cattolici siano largamente rappresentati in ogni schieramento. Tanto che aumentano le separazioni fittizie, stipulate al solo scopo di guadagnare punti in graduatoria per l'assegnazione di una casa popolare, o il posto negli asili pubblici, dove viene preferito chi ha il reddito più basso, e dunque i single, quando marito e moglie lavorano ambedue.
E a proposito di separazioni. Fino al 2002 in Italia hanno divorziato 764.698 coppie, da quando nel 1971 è stato introdotto l'istituto; ma quasi altrettante (562.855) si sono fermate al primo stadio, non hanno mai tradotto la loro separazione in un divorzio. E oltretutto la tendenza è in crescita. Le ragioni? Tante: per esempio la fede, o magari qualcuno sarà rimasto vedovo. Tuttavia la componente economica è forse quella principale: non tutti possono permettersi un secondo giro d'avvocati, dopo quelli già pagati per la separazione; molti temono un ritocco in su degli alimenti; con il divorzio inoltre viene meno il diritto alla pensione di reversibilità, quella che l'Inps versa al coniuge sopravvissuto. E oltretutto le regole non sono affatto chiare, sicché ogni ufficio giudiziario fa a suo modo, come risulta da un'inchiesta diffusa nel 2003 dall'Associazione nazionale magistrati. E così per esempio non c'è un sistema certo per provare la capacità patrimoniale del coniuge tenuto al versamento dell'assegno alimentare: il 48% dei tribunali si limita ad acquisire la dichiarazione dei redditi, ma il 93% se ne discosta allegramente. Anche sulla casa la confusione impera: il 72% degli uffici giudiziari la assegna al coniuge cui restano affidati i figli, ma c'è una minoranza neppure troppo piccola (il 28%) che la pensa all'opposto. Infine c'è la lotteria dei tempi, dato che il procedimento oscilla da 40 giorni a 4 anni, a seconda della città nella quale ha sede il tribunale. Quanto basta per rifarsi una vita e una famiglia, senza attendere la benedizione dello Stato.
Ecco perché in questo contesto (meno matrimoni, più separazioni, più divorzi) anche in Italia sono aumentate le unioni libere: nel 1998 l'Istat le ha stimate in 342.000 unità, ma in tre lustri (dal 1985 al 1999) gli italiani che hanno convissuto almeno una volta sono stati 3 milioni. Tuttavia a loro volta i conviventi hanno più doveri che diritti. Il 20 febbraio 1998 Rosa Gini, insegnante di matematica, e Maurizio Parton, ricercatore universitario, hanno costituito la prima coppia italiana iscritta nel registro delle unioni civili: nella fattispecie a Pisa, che al pari di Bologna, Firenze, Ferrara, nel 1997 aveva varato questa forma di riconoscimento per le coppie di fatto. Ma hanno subito scoperto a proprie spese quanto evanescente fosse la loro condizione: i registri non garantiscono la pensione di reversibilità, non danno titolo per fruire degli aiuti di Stato alle famiglie, non valgono per la successione ereditaria, non danno neppure il diritto d'assistere il compagno se ricoverato in ospedale. Per tutto questo, ci vuole il matrimonio; e tanto peggio per chi canta fuori dal coro. A meno che non abbia la ventura di vivere in Francia, dove una legge del 1999 ha varato il Pacs, il «patto civile di solidarietà»; senza però trovare troppi emuli in giro per il mondo.
E c'è poi il capitolo delle adozioni, senza dubbio quello più dolente. Chi vi ha a che fare sperimenta infatti la stessa sensazione che ciascuno prova dinanzi alle bancarelle d'un mercato, con l'unica differenza che nella fattispecie si commercia in carne umana. E naturalmente ogni bancarella pratica i suoi prezzi, al punto che la Commissione per le adozioni internazionali è stata costretta a fissare dei tetti massimi. Così, se per adottare un bambino dal Marocco si spendono 3.493 euro, un albanese ne costa 5.276, e 9.200 un minore proveniente dall'Honduras. Il paese più caro è tuttavia la Russia, dove il livello di spesa massimo è stato fissato in 9.500 euro; il più a buon mercato la Bielorussia, solo 1.900 euro. Anche i tempi per l'adozione non sono affatto brevi, dato che le liste d'attesa possono raggiungere i 3-4 anni. E di contro la richiesta aumenta. Se nel 1994 le domande di adozione nazionale erano state 7.669 e 6.007 quelle di adozione internazionale, nel 1999 le richieste sono divenute rispettivamente 10.102 e 7.352. Ma solo una minima parte viene poi in concreto soddisfatta: sempre nel 1999, il 10,2% in sede nazionale, il 29,6% all'estero. Inoltre la legge italiana (n. 149 del 2001) non è affatto generosa con le aspirazioni delle coppie di fatto; in compenso essa ha innalzato la differenza di età tra adottante e adottato, con la conseguenza che aspiranti genitori già nonni hanno fatto richiesta d'adozione.
Quale soluzione resta allora alle coppie che vogliono adottare un bambino e però non ci riescono? Se non è quasi mai possibile adottare un minore, ci si può sempre «far adottare». È infatti questa la trasformazione che ha subito il progetto Adopted di una artista tedesca, che da iniziativa artistica è diventata una vera e propria agenzia per le adozioni, da quando a Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso, sono state esposte le immagini di europei tristi e pallidi, nei loro appartamenti o in città. Da allora, circa 100 europei che soffrono di mancanza di legami familiari si sono fatti registrare, e 30 sono partiti per l'Africa. Sarà forse questo l'estremo rimedio per chi ha nostalgia di una famiglia?
micheleainis@tin.it