sabato 1 maggio 2004

comico laicismo e trasgressione nella civiltà araba e islamica

La Stampa TuttoLibri 1.5.04
Tra fiori del bacio e del coito, è il laico Iraq la culla della trasgressione araba
di Egi Volterrani


RIDONO gli arabi? Sì, ridono, ridono…più o meno come noi: più o meno. Certo la risata come effetto scatenato dalla creazione (o dalla invenzione) comica non si accompagna bene con fanatismo, integralismo, attitudini accidiose. Ma fanatismo e integralismo, nel mondo islamico, accomunano solo una ben modesta minoranza di individui, che è ancora esigua: in gran parte, dipende da noi (noi occidentali) non alimentarne la crescita con le nostre paure, con i nostri pregiudizi e le nostre generalizzazioni. Senza risalire alla Santa Inquisizione, fanatismo e integralismo hanno del resto caratterizzato, attraverso i secoli, un vasto settore della nostra produzione letteraria. Però, e qui sta il "più o meno", mentre "da noi" gli astrusi sproloqui moralisti di Bierce, contro il Valzer e contro il Diavolo che ci infila in mezzo la coda, oggi, fanno schiattare i più dalle risate, "da loro", nel mondo arabo, nessuno ride, piuttosto trema, quando legge le teorie wahabiste o la fatwa per Salman Rushdie. Ciò deriva da un atteggiamento di profonda diffidenza e ben radicato che la religione islamica manifesta nei confronti della creazione letteraria (che di sua natura è incompatibile con l'islam-rivelazione). Ma questo dovrebbe essere oggetto di un'altra chiacchierata, sul rifiuto della Jahilyya, della cultura araba preislamica. In tutte le culture, il comico è legato al paradosso, alla spacconata, alla sproporzione, eccetera. Ma soprattutto alla trasgressione. Nella cultura islamica, secondo il grande poeta siriano Adonis, anche la poesia vive soltanto nella trasgressione. E, come la poesia, dunque, meglio se il comico è insolito e inventato e se è avvolto da un pur diafano alone di mistero. Nel mondo mediterraneo, arabo, turco e europeo, fin dai tempi antichi, i cantastorie, il teatro dei pupi e quello dei burattini (in Egitto Karaguz), le storie infinite come quelle di Giufà (Djiufar in arabo, Gioanìn, quello senza paura, in Piemonte, personaggi indagati bene da Francesca Corrao in numerose pubblicazioni), i Novellieri (dal "Decamerone" a "Le Cento e una notte", da "Lo Cunto de li Cunti" alle "Mille e una Notte") sono stati vettori di stereotipi del comico e del satirico ai quali si ricorre tuttora. Testi di tal genere, o con la stessa funzione, o destino, non mancano nella letteratura araba più antica. Addirittura preislamici e ancora oggi citati sono i racconti di taverna di Tarafa, e le satire ciniche di Al Harit. Dopo l'avvento dell'Islam, la culla della poesia anche di vena umoristica è stato l'Iraq, di tutto il mondo arabo il paese di maggior spessore culturale, il più laico e trasgressivo, dove sono fioriti gli spiriti più liberi. Poesia raffinata, umorismo e trasgressione convivono nell'opera di Abu Nuwas (Bassora, 757-815). Elegantissime e sorprendenti sono le metafore di Hariri (Bassora, 1054-1122) nelle sue Maqamat (Sedute). Al Jawzi, nato a Bagdad nel 1117, è il primo classico letterario dell'umorismo arabo tradotto in una lingua occidentale, in italiano, con il suo "Il sale nella Pentola", (Il leone verde, Torino, 2003). Grande fama ebbe ed ha ancora il testo di Ali al-Baghdadi (XIV sec.) sulle astuzie delle mogli infedeli ("Gli Splendidi Fiori del Bacio e del Coito"). Dopo l'arrivo dei Turchi (a Bagdad nel 1055), fiorirono le epopee cavalleresche, delle quali la più nota, "Il Romanzo di Baibars", racconta le spacconate di quel sultano mamelucco e potrebbe ricordare "Il Morgante Maggiore" di Luigi Pulci. Dunque, "così ridevano". E ancora ridono, ma non solo di ricordi. Venendo infatti alla letteratura araba recente, pochi hanno riso per il "Pessottimista", romanzo pacifista umoristico di Emil Habibi, sindaco arabo di Betlemme: con le migliori intenzioni, il lettore è scoraggiato dal tema che ispira quel libro, la guerra di Palestina: un tema a dir poco sinistro. Anche i classici della letteratura araba moderna, come Kateb Yacine, per quanto in un complesso contesto di satira politica ("Il Cadavere Accerchiato", Epoché Edizioni, Milano, 2004), ricorrono a stereotipi classici, come l'asino che "fa" le monete d'oro, o la polvere d'intelligenza, che ricorda il vestito nuovo dell'imperatore. Ma l'ironia sfrenata e caustica di Abu Abed, libanese dal baffo nero e il turbante rosso, viaggia sulle pagine di Internet e diverte quotidianamente gli arabi di tutte le generazioni (Abuabed.net). Della letteratura umoristica araba contemporanea, il testo che più mi è piaciuto è stato "Le Notti di Azed", di Lotfi Akalay (Bompiani, 1997). Più volte ho pianto dal ridere, dove l'autore dimentica di aver fatto morire la madre del protagonista e la fa ricomparire con grande nonchalance, quando sostituisce sotto il culo di un personaggio una poltrona con un divano, perché serve così, in un batter di ciglio. E poi accende la luce in stanze sature di gas e nulla accade, e assicura imperturbabile che un tale "quel giorno ha viaggiato per una settimana attraverso la Spagna". Il tutto nel racconto di un drammatico rapporto di coppia, in un Marocco dove conta soltanto il denaro…