Corriere della Sera 30.5.04
IL NOSTRO CALENDARIO
Nel 1582 il Papa volle la riforma con decorrenza immediata. Ma per secoli si rischiò il caos
Così Gregorio XIII fece litigare l’Europa
L’ultimo laico che in Occidente riuscì a realizzare una riforma duratura del calendario fu Giulio Cesare. Plutarco scrive che «chiamò a raccolta i migliori matematici e filosofi dell’epoca». Tra essi spicca Sosigene, l’astronomo alessandrino che discusse della cosa direttamente con il condottiero in Egitto. Poi il tempo cominciò a modificare anche questo ordine dei giorni. Al Concilio di Nicea del 325, ad esempio, si fissò l’equinozio il 21 marzo, mentre al tempo di Cesare era fatto cadere tra il 25 e il 26 di quel mese. Tolomeo, intanto, nel 130 aveva già messo il suo autorevole becco in quel conteggio, diminuendo di qualche ora la durata dell’anno. Altri calcoli li propose Ibn Jabir al-Battani nel IX secolo, basandosi sulla trigonometria indiana: corresse di poco Tolomeo. E dal gioco non restò fuori Copernico, che si accanì con i decimali in una storia lunga da raccontare. Quando nel 1582 Gregorio XIII decise di dare un ordine al calendario, l’equinozio cadeva l’11 marzo. La data della Pasqua era completamente sbagliata: in sostanza ogni 4 secoli si anticipava di 3 giorni. La cristianità chiedeva da tempo questa riforma e il papa era l’unico, grazie alla sua autorità, che la potesse realizzare. Diremo inoltre che del gran numero di persone, che si interessarono alla nuova sistemazione del tempo, tre meritano di essere ricordate. È grazie ad esse se possiamo dire che ci troviamo nel tal giorno del tale anno.
Cominciamo con la prima. Si chiamava Aloysius Lilius o, meglio, in italiano Luigi Lilio. Non sappiamo esattamente quando nacque: pare il 1510, comunque un anno non lontano da questo. Famiglia modesta, studi di astronomia e medicina a Napoli, un soggiorno a Verona, un insegnamento a Perugia. L’unica cosa certa è che in vecchiaia tornò nella nativa Cirò, non lontano dai luoghi della tradizione pitagorica, dove giunse alla soluzione del problema del calendario. Un uomo isolato che porta a compimento la sua idea sulla costa ionica della Calabria, senza una grande biblioteca a disposizione. Morì - alcune testimonianze sostengono a Roma - prima che la sua proposta potesse essere presentata nel 1576 alla commissione papale. Fu il fratello Antonio, medico esperto di astronomia ma incline a pasticciare, che sostenne il progetto e ne ricavò gli utili. Diremo soltanto che il papa gli revocò ben presto il privilegio della stampa per il testo del nuovo computo, perché non riusciva a tirare le copie sufficienti alle richieste, tanto che ci furono giorni in cui la riforma rischiò di naufragare a causa della sua lentezza.
Il secondo personaggio è un gesuita: Christopher Clavius (1538-1612). Fu lui che prese le difese di Lilio tra le acque infide delle controversie scientifiche ed ecclesiastiche. Si adoperò come nessun altro per diffondere il nuovo calendario, anche oltre quei pochi Paesi che l’avevano accettato subito. Oggi il suo nome dice poco, ma al tempo dei fatti che stiamo narrando Clavius godeva di alta considerazione, tanto che Galileo disse di lui: «Degno di immortale fama». Va precisato che il sommo pisano si recò dal gesuita, che era tolomaico convinto, per trovare un sostegno dopo le sue osservazioni astronomiche effettuate con il telescopio. Si scrisse: «È l’Euclide del nostro tempo»; poi lentamente scomparve, anche se la sua effigie è rimasta alla base della statua di Gregorio XIII in San Pietro. Furono comunque i suoi studi a consolidare la riforma del calendario, a convincere l’Europa ad applicare le nuove regole. Certo, qualcuno non era d’accordo, come il poeta John Donne. In una ingenerosa satira contro i gesuiti, Ignatio His Conclave, trovò lo spazio per infilare anche Clavius e le sue idee sul conteggio dei giorni, spedendolo all’inferno - siamo nel 1611 - prima ancora che morisse.
Il terzo personaggio è papa Gregorio, al secolo Ugo Boncompagni (1502-1585), giurista, bolognese. Condusse nei suoi verdi anni vita disinvolta (tra l’altro, ebbe un figlio), ma poi - grazie all’incontro con Carlo Borromeo - la tramutò in austera. È bello notare che Marc’Antonio Ciappi, nella biografia che dedicò al pontefice, Compendio delle heroiche et gloriose attioni, uscita a Roma nel 1596, scrive a pagina 96 una frase che riassume la sua indole: «Soprattutto teneva gran parsimonia del tempo». Insomma, soltanto un papa senza tempi morti poteva mettere in sesto il conto dei giorni. Aggiungiamo che Gregorio XIII fu anche coinvolto nella Notte di san Bartolomeo, celebre per il massacro degli ugonotti. Per essa fece celebrare un Te Deum in Santa Maria Maggiore e ripetere tre giorni dopo in San Luigi dei Francesi. Si coniarono anche delle medaglie commemorative: una di esse recava la scritta: «Pietas excitavit justitiam», ovvero: «La pietà risvegliò la giustizia».
Con la bolla Inter gravissimas del 13 febbraio 1582, papa Gregorio promulgò la riforma a tutto il mondo; si decise di sopprimere i giorni che erano di troppo (il giorno successivo a giovedì 4 ottobre 1582 sarebbe diventato venerdì 15 ottobre), di eliminare un bisestile alla fine di ciascun secolo la cui cifra non fosse divisibile per 4.
Detto così tutto sembra semplice, ma è difficile immaginare il vespaio che ne nacque. Già dopo il 5 gennaio 1578, giorno in cui veniva pubblicato il Compendium di Lilio, cominciarono ad arrivare in Vaticano osservazioni, emendamenti, proteste e insulti. Certo, in molti erano d’accordo, ma il matematico di corte del duca di Savoia, tale Giovan Battista Benedetti, voleva già correggere il calendario di 21 giorni, in modo da far cadere il solstizio d’inverno il 1° gennaio. E, siccome si era in ballo, chiedeva di modificare i mesi per farli coincidere con la presenza del Sole in ognuno dei 12 segni zodiacali. Enrico III di Francia acconsentì, ma soltanto a dicembre. Filippo II di Spagna si sottometteva, ma suggeriva di far cadere l’equinozio il 21 marzo in modo da rispettare le decisioni del Concilio di Nicea (e si sarebbe anche risparmiato perché non si doveva modificare la data su messali e breviari). Rodolfo II accettò ma prese tempo e decise di rendere attiva la riforma soltanto il 4 settembre 1583. La Germania protestante la rifiutò e si dovette attendere il 1775 per vederla applicata pienamente. La Gran Bretagna respinse la deliberazione papale: in tal caso, occorre saltare sino al 1752, anno in cui anche le colonie americane si adeguarono. Il parlamento inglese, tuttavia, per non imitare il papa, eliminò i giorni a settembre. E così di seguito: il Giappone ci arrivò nel 1873, la Russia nel 1917, la Cina nel 1949.
Per dar l’idea di qual polverone causò la riforma del calendario, basterà ricordare che molti villaggi si sollevarono temendo una vendetta sul raccolto dei santi eliminati in quei giorni di ottobre e chi prestava soldi volle gli interessi come se il mese usato per la riforma avesse avuto 31 giorni. Immaginatevi i debitori. Curioso è il comportamento di tal Thomas Stokes, un mercante inglese che arrotondava i propri introiti facendo la spia, le cui lettere di informazione conservate ancora a Londra recano la doppia data. Michel de Montaigne riassume i malumori degli scettici: «Stringo i denti ma la mia mente è sempre dieci giorni avanti oppure dieci giorni indietro; sento di continuo un sussurro alle orecchie: "Questo aggiustamento riguarda quelli che non sono ancora nati"».
Terminiamo ricordando che il secolo dei Lumi ebbe un sussulto laico e cercò a sua volta delle riforme. Le quali, però, durarono talmente poco da trasformarsi in curiosità. Ad esempio, nel 1756 Linneo pubblicò un calendario in cui a ogni giorno dell’anno era abbinato, al posto di un santo, il fiore che sboccia in quella data, oppure una indicazione relativa a partenze o arrivi di uccelli migratori o la muta delle piume di alcuni volatili o ancora taluni accoppiamenti dei pesci o i lavori agricoli. Cambiò anche il nome dei mesi: gennaio diventò «glacialis», agosto «messis», ecc. Da qui prese le mosse il calendario promulgato dalla Rivoluzione francese, che cominciava il suo complicato conteggio repubblicano dal 22 settembre 1792. Napoleone lo soppresse il 1° gennaio 1806. Aveva altro a cui pensare.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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