lunedì 18 ottobre 2004

Pietro Ingrao:
lettera al Presidente della Repubblica

Liberazione 16.10.03
Costituzione: e ora, Ciampi?

di Pietro Ingrao
Ieri mattina, nell'aula di Montecitorio, è stata varata una mutazione grave della Costituzione repubblicana che deve essere segnalata all'attenzione del Paese.

È stato approvato, con il voto della coalizione di maggioranza una riforma che istaura il cosiddetto premierato forte. In concreto è un mutamento che dà al capo del governo poteri nuovi e cruciali; il Presidente del Consiglio diventa Primo Ministro, e determina - tale è la parola pesante e significativa - la politica del governo. Inoltre è suo il potere di nominare e revocare i ministri, senza dover sottoporre il cambiamento al Capo dello Stato. Infine la sua candidatura è indicata sulla scheda elettorale in collegamento con i candidati deputati. Quindi il Presidente della Repubblica non sceglie più il Presidente del Consiglio, ma solo prende atto della sua avvenuta elezione. E perciò se il premier entra in crisi, non interviene più il Capo dello Stato a interpellare i partiti e - ascoltate le loro opinioni - a decidere lui la continuazione della sessione o lo scioglimento delle Camere: si va invece direttamente allo scioglimento dell'assemblea parlamentare. Quindi la decisione sulla sorte del Parlamento è di nuovo e ancora largamente nella mani del Capo del Governo.
In pratica il premier ha in mano si può dire in ogni istante (stavo per dire brevi manu) la sorte del governo, e quanto al Presidente della Repubblica non si capisce più bene cosa ci stia a fare.
E l'allarme e la preoccupazione non sgorgano tanto da qualche singola parte della proposta di riforma (e tuttavia ce ne sono di clamorose: quale ad esempio il vincolo stringente stabilito fra il premier e ministri). E' l'insieme delle riforme che cancella - in modo persino clamoroso - l'articolazione e pluralità di poteri che, non a caso, quella Costituente - venuta dopo la terribile dittatura fascista - aveva voluto chiaramente costruire e garantire.
Ciò che in quei giorni di rinnovamento si volle non solo assicurare ma dilatare fu chiaramente l'articolazione dei poteri e delle sedi di decisione. E perciò fu creato quell'intreccio di potestà e di confronti, conseguenti alla relazione tra Capo dello Stato, Presidente del Consiglio, governo e assemblea: cioè quel dibattere e quello scontro, articolato e plurimo, che tanto è distante da questo fosco (e a volte anche un po' ridicolo) premier forte.
Fummo troppo aperti? Pensammo che il confronto pubblico delle parti servisse al Paese; e non solo per misurarci nell'aula e nel farci intendere dal paese: perché conoscessero la decisione e la motivazione: e - sì, perché no - le differenze, e la molteplicità.
Perché non volevamo uomini forti e decisi? Ma perché De Gasperi - e come lo combattevamo! - non era uomo forte?
Sì, volemmo un potere plurimo, proprio perché il nostro Paese aveva conosciuto il Parlamento muto e aveva tragicamente pagato quel silenzio.
E insieme con le Assemblee, noi comunisti volemmo che contasse anche il Capo dello Stato; seppure non fu mai della nostra parte, e spesso fu anzi nostro avversario aspro. Nella riforma berlusconiana, che resta di lui se non un dimidiato di cui non si riescono più ad afferrare né autorità né poteri effettivi? Attento, Presidente Ciampi, perché quel premier così goloso sta cercando di dare una stilettata anche al Palazzo dove lei risiede e al potere di decisione e di limiti che lei rappresenta: e non è poco. E della sorte delle istituzioni scritte in Costituzione è responsabile anche Lei. Ciò che oggi ci offende chiama in causa anche il Suo delicatissimo ruolo.
Infine chiedo ancora un attimo, d'ascolto a chi in questi anni mi è stato - nei suoi modi- vicino: persino così generoso verso miei limiti antichi e le debolezze del mio necessario tramonto. E mi scuso con loro se torna qui una mia vecchia domanda che io ebbi già a porre pubblicamente a Firenze, dinanzi a quella sala ardente, al Forum europeo di due anni fa.
Sì, era ancora una domanda cocciuta sui poteri: sui titolari e sui luoghi del potere fissati per legge: accreditati a decidere in nome del Paese.
Che farete? Potete tacere di fronte alla Costituzione stracciata o in pericolo? E dinanzi a una stretta autoritaria così aggressiva?
Attenti, perché fra le ragioni per cui egli, il Berlusca, si affanna tanto ad alzare la cresta temo ci stiate prima di tutto voi, e l'inedito di cui parlate.
Pietro Ingrao,
membro dell'Assemblea Costituente

Liberazione 16.10.04
Diritti sociali ridotti al minimo
Tradito il sacro Patto del 1948
L'intervento alla Camera di Rifondazione comunista
di Graziella Mascia

Rifondazione comunista vota contro il disegno di legge con queste modifiche costituzionali, poiché esse riguardano la parte II della Costituzione, ma incideranno sulla prima, contenente i diritti fondamentali. Si tratta di una riforma che produce la frammentazione della Repubblica e la frantumazione dei vincoli di solidarietà politica, economica e sociale. I diritti sociali dei cittadini si riducono al minimo, si introducono disparità tra regioni ricche e povere e si spezza il principio di uguaglianza. Si produce la demolizione dei diritti e della politica. Mi riferisco anche alla politica, poiché, assieme ad un finto Senato federale, si introduce un elemento ibrido, anomalo e pericoloso, come il "premierato assoluto". Con un Primo ministro che potrà esercitare arbitrariamente il suo potere, fino allo scioglimento delle Camere, ed un Capo dello Stato ridotto a notaio. Si determina una rottura di quella cultura dei contrappesi propria del costituzionalismo: la Corte costituzionale rischia di subire un processo di politicizzazione, il Parlamento viene espropriato dei suoi poteri, un Capo dello Stato perde il suo ruolo super partes ed i Presidenti delle Camere perdono la loro funzione di garanzia, essendo tutti piegati agli interessi governativi.
A fronte di una domanda sempre più forte di partecipazione dei cittadini, in particolare dei giovani, si risponde con un moderno autoritarismo, con una destrutturazione del sistema democratico ed istituendo una carica monocratica, eletta dal popolo, che dovrebbe incarnare il bene assoluto.
In una dialettica politica ed istituzionale con al centro la riforma di un ordinamento democratico, esistono due momenti di democrazia: uno appartiene alla fisica, l'altro alla metafisica. Sono ascrivibili alla fisica le espressioni di pensiero che mirano a garantire un miglior funzionamento delle istituzioni democratiche. In tal senso, si parla di premierati forti o deboli, di parlamenti perfetti o imperfetti e di centralizzazione o decentramento dei poteri. Vi è, poi, un momento metafisico della democrazia, che certa filosofia antica pone quale insieme dei principi primi. In questi casi, le regole della fisica seguono i valori della morale e della metafisica.
La nostra Carta costituzionale pare seguire tale stima, apprendo metafisicamente con i principi fondamentali, per arrivare, poi, fisicamente all'ordinamento della Repubblica. Nel 1948 gli ideali e i valori della metafisica democratica furono il cemento che tenne insieme uomini e donne della classe politica che aveva diretto la guerra di liberazione ed era giunta, sia pure attraverso conflitti, al Patto costituzionale. Da un lato, i conservatori rinunciarono ad un - allora impossibile - ritorno al passato e, dall'altro, le sinistre accantonarono il programma rivoluzionario della "dittatura del proletariato", coniando la formula della "democrazia progressiva" e, per bocca degli stessi Togliatti e Morandi, parlarono, con insistenza, di valori, ideali e metodi democratici.
Che fine ha fatto quel Patto? È indubbio che la Costituzione non è immutabile. Lo sapevano gli stessi costituenti, quando introdussero l'articolo 138. La metafisica della nostra democrazia impone, tuttavia, che non tutte le norme alla base di quel Patto siano modificabili. Anche Mortati parlava di un nucleo immodificabile quale forma di humus culturale che appartiene, quale codice genetico unico, ad ogni popolo. Quando si modifica solo uno di questo insieme di valori e principi non si tratta più di revisione costituzionale, perché non si salva identità e continuità della Costituzione, ovvero la tradizione autentica e i valori della storia.
Gli articoli delle costituzioni, scriveva Calamandrei, sono come membra di un corpo vivo, di cui non si può fare a meno: vivono finché gli circola dentro il sangue che le alimenta. Il sangue, in questo caso, si chiama correttezza politica e lealtà costituzionale. Così, se nella Costituzione si volesse cambiare uno di questi elementi identificatori, questa perderebbe l'identità. Ciò vorrebbe dire far crollare tutta la Costituzione e ricominciare da capo, tornando dal piano della legalità a quello della forza. Diverrebbe l'instaurazione ex novo, di fatto e non di diritto, di un nuovo regime.
Solo con questa premessa, si può passare al secondo momento, quello che riguarda la fisica della democrazia e che si traduce nel problema del governo democratico, che non è solo il governo del popolo e neppure il governo della maggioranza aritmetica del popolo, ma quel governo nel quale si ottiene la maggiore possibile identificazione fra governanti e governati e la minore possibile oppressione di governanti sui governati. Ciò era alla base del sacro Patto del '48, che oggi viene tradito.