giovedì 18 novembre 2004

il prof. Cancrini
direttore delle comunità Saman

Repubblica 18.11.03

Lo psichiatra Luigi Cancrini: in tutta Europa si fanno nette distinzioni tra i diversi stupefacenti, il proibizionismo sui più giovani sarà devastante
"Un provvedimento antistorico che avrà l'effetto boomerang"

ROMA - «Quando mi chiedono di commentare il testo di questa nuova legge sulla droga mi torna in mese Sandro. Un amico, un ragazzo che non c´è più, e che avevo cercato di aiutare. A 18 anni Sandro che della droga sa poco o niente entra in un gruppo di consumatori abituali di hashish e la seconda sera che esce con loro viene arrestato, insieme agli altri, con l'accusa di detenzione e spaccio di stupefacenti. Sandro va in carcere, conosce l'eroina, esce dopo due anni, si infetta di Aids e muore... Noi sappiamo che qualche grammo di hashish non può cambiare il destino di una persona. Una punizione sbagliata sì. È stato il carcere, infatti, a segnare il destino di Sandro». È Luigi Cancrini, psichiatra, oggi direttore scientifico delle comunità terapeutiche Saman a fare questo racconto, per spiegare quali possono essere le conseguenze di una politica repressiva, i cui bersagli, dice "saranno i giovani e i giovanissimi".
Professor Cancrini, lei più volte ha parlato di un provvedimento "antistorico".
«La legge Fini fa cadere qualunque distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, mentre in tutto il resto d'Europa le distinzioni vengono accentuate, sia a livello politico che a livello scientifico secondo le linee guida dell'Osservatorio europeo sulle tossicodipendenze. L'Inghilterra, l'Olanda, in parte anche la Spagna vanno verso la depenalizzazione della cannabis, noi invece vietiamo tutto. Ma nella psicologia giovanile questo messaggio funzionerà con un effetto boomerang».
Perché, che impatto sociale potrebbe avere la punizione generalizzata del consumo?
«Effetti devastanti se davvero scatteranno le sanzioni penali. Effetti "nulli" dal punto di vista della dissuasione perché è noto che il proibire tutto fa scattare, in particolare nei giovani, una gran voglia di violare le regole».
Torna anche il modello della comunità chiusa e residenziale.
«Sì, sul modello di San Patrignano. Invece la comunità deve essere un percorso terapeutico e non rieducativo, deve essere un posto dove si entra e si sceglie di restare volontariamente, un luogo in cui la persona accetta di mettersi in crisi. Invece si ripropone un modello di comunità vecchio, non più utile ai nuovi tossicodipendenti. Oggi l'emergenza è data dalla cocaina, ma il percorso di disintossicazione per chi abusa di questa sostanza è diverso, sono periodi brevi, due, tre mesi, il perno di tutto è la psicoterapia, in cui è necessario a volte coinvolgere l'intero nucleo familiare. Da una recente ricerca fatta a Milano tra i giovani da 18 a 25 anni che frequentano le autoscuole è emerso che il 15% ha riferito di aver fatto uso di cocaina nel corso dell'ultimo anno. Con legge Fini tutti questi giovani sarebbero stati già puniti, ma se proiettiamo quel dato a livello nazionale, che facciamo mettiamo in carcere il 15% dei giovani italiani?».
Ma allora, a suo parere, qual è l'unica forma di prevenzione?
«L'unico messaggio che arriva ai giovani è l'informazione. Non terroristica, non proibizionista ma precisa. Devono sapere che cosa sono quelle pasticche che si prendono, che cosa gli succede se mischiano alcol e cocaina, che danni fanno al loro cervello. Forse il depliant informativo dopo averlo letto lo butteranno via. Ma intanto l'hanno letto e forse hanno imparato a difendersi».
(m.n.d.l.)