Liberazione 24.11.04
Le cifre di Amnesty sulla popolazione femminile dai 16 ai 44 anni. Alla vigilia della giornata mondiale propossa dall'ONU, i numeri indicano una piaga diffusa ovunque. Senza eccezioni
DONNE, LA PRIMA CAUSA DI MORTE È LA VIOLENZA
di Angela Azzaro e Laura Eduati
Nonostante avesse appena sedici anni, Omaira Fernandez, colombiana, aspettava già un bambino. Un giorno fu assalita da un gruppo di paramilitari che la violentarono e poi le aprirono il ventre con un coltello. Quando Omaira era già morta dissanguata, gettarono il suo corpo e quello del bambino nel fiume. Succedeva nel 2003.
Qualche anno prima, in Spagna, Ana Orentes, di Cordova, venne incatenata al termosifone dal marito che poco dopo la cosparse di benzina e le diede fuoco.
I due casi illustrano, senza ulteriori commenti, come il corpo femminile venga continuamente violato in tutto il mondo e, nel caso di conflitto etnico o di guerre, come questo corpo diventi uno dei tanti campi di battaglia. Non c'è differenza tra nord e sud, tra ceti poveri e ceti ricchi, tra paesi avanzati e paesi in via di sviluppo. Le ricerche condotte negli ultimi anni sulla violenza contro le donne chiariscono che si tratta di una piaga capillare e silente. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, almeno una donna su cinque ha subito nel corso della sua vita abusi fisici e sessuali. La Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne, redatta nel 1993, fornisce la definizione diquesto tipo di abuso: «qualunque atto di violenza sessista che produca, o possa produrre,danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che in quella privata».
L'aggravante è costituita dal fatto che nella stragrande maggioranza dei casi gli aggressori sono proprio gli uomini che ci vivono accanto: mariti, padri, amici, colleghi di studio e di lavoro.
Amnesty International fornisce dei dati agghiaccianti. Una ricerca della Harvard University ha stabilito che nel mondo per le donne dai 16 ai 44 anni la violenza è la prima causa di morte, un'incidenza maggiore degli incidenti stradali, del cancro e delle guerre. E come se fosse un cancro, la violenza contro le donne assume varie forme: violenzadomestica, sfruttamento della prostituzione, stupri, mutilazione dei genitali, sfruttamento lavorativo e, nei casi più estremi, il genocidio: «mancano all'appello» più di 60 milioni di donne, eliminate con l'aborto e l'infanticidio selettivo, una pratica molto diffusa in Cina, dove lo Stato ha imposto alle famiglie il figlio unico. L'Onu ha calcolato che una donna su tre viene regolarmente picchiata da un famigliare, solitamente il marito. Sono 120 milioni le donne che hanno subito l'escissione dei genitali esterni. E il70% delle donne vittime di omicidio sono state uccise dal loro partner. Più drammatici i dati provenienti dai Paesi poveri, dove la violenza contro le donne spesso rientra nei gesti quotidiani della vita comunitaria: in una provincia del Kenia, il 42% ammette di essere regolarmente picchiata dal marito, mentre in Sudafrica ogni 23 secondi una donna subisce violenza sessuale. Tra il 2002 e il 2003, nella Repubblica democratica del Congo 5mila donne vennero stuprate per motivi legati al conflitto etnico.
La guerra solitamente rende il corpo femminile più vulnerabile agli abusi: la Lega delle donne irachene ha denunciato che nel periodo aprile-agosto 2003, almeno 400 donne sono state rapite, stuprate e vendute. Anche la povertà incide di più sui destini delle donne che su quello degli uomini: in Nepal sono 10mila le ragazzine che ogni anno vengono vendute dalle famiglie per essere avviate almercato della prostituzione. Accade così anche in Asia sudorientale ,dove in periodi di carestia i villaggi più poveri cedono le loro figlie per qualche pugno di riso. La tratta delle donne raggiunge cifre da capogiro:solo in Europa ne sbarcano 500mila all'anno, costrette a vendersi per strada o all'accattonaggio. Non ultimi vengono i cosiddetti "crimini d'onore", i quali puniscono le donne che violino le norme della comunità: si va dallo sfregio con l'acido compiuto sui volti delle donne del Bangladesh alle lapidazioni delle adultere in alcuni Paesi arabi. In Pakistan nel 1999, 1000 donne furono uccise per "mondarle dal peccato". Le case moderne e pulite delle occidentali non le riparano dalla violenza. In Belgio, ad esempio, più del 50% ha dichiarato di aver subito qualche forma di abusoda parte dei loro partner; in Gran Bretagna, i servizi di pronto soccorso ricevono mediamente una chiamata al minuto per violenze sulle donne in ambito domestico, mentre in Russia in l4 mila vengono uccise dal loro famigliari. In Israele è più probabile che una donna venga uccisa da un conoscente che da un estraneo. Numeri tremendi. Che non migliorano se passiamo all'America: secondo il governo di Washington, ogni 15 secondi un uomo picchia una donna, il che fa 700mila in un anno. Incredibili le statistiche sulla violenza sessuale: sempre secondo l'Oms, tra il 14 e il 20 per cento delle donne statunitensi è vittima di uno stupro durante il corso della propria vita, una cifra che si avvicina molto a quelle del Canada e della Nuova Zelanda.
L'Italia non si discosta dalle statistiche occidentali.
In caso di omicidio, nel64% dei casi la vittima è una donna. L'aggressore è solitamente il coniuge, il convivente o l'ex compagno (70%). Sono 714mila, ossia un 4%, ledonne tra i 14 e i 59 che hanno dichiarato di aver subito uno stupro o un tentato stupro nel corso della loro vita. Il 6% degli abusi sessuali avviene all'interno della famiglia.
Nonostante il tema degli abusi sulle donne abbia ricevuto grande attenzione negli ultimi anni, specialmente a partire dalla Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw), adottata nel 1979 dall'Assemblea generale dell'Onu, e dalla Quarta Conferenza sulle Donne di Pechino del 1995, gli abusi non diminuiscono: molti Paesi non riconoscono il problema oppure lo inseriscono nel codice penale come un reato contro la persona e non contro le donne.
Liberazione 24.11.04
LA SCHIAVITU' RADIOSA
di Lea Melandri
La violenza sulle donne ha sempre interessato sia i loro corpi che i loro pensieri e, quel che più conta, è sempre stata indistricabilmente confusa con l'amore. Forse è per questo che, nel momento in cui viene quantitativizzata e ridotta a una sorta di archivio dell'orrore, come nel rapporto di Amnesty Internationai, si provano sentimenti contraddittori: il sollievo di veder comparire sotto gli occhi di tutti una verità dolorosa che le donne ancora sopportano in silenzio e solitudine, ma anche l'imbarazzo di non potersi identificare del tutto con la figura della "vittima sacrificale", attraverso cui la civiltà dell'uomo ammette, e nel medesimo tempo estingue, la sua colpa.
Anche se siamo ormai tristemente assuefatti al riepilogo periodico di sciagure e crudeltà di ogni tipo, non può passare tuttavia inosservato il fatto che la maggiore consapevolezza che si ha oggi del rapporto tra i sessi, anziché mitigare le ferite di un dominio maschile millenario, sembra averle acuite e ed estese. Diminuisce la conflittualità, come confronto di idee e desideri, scompaiono dalla scena politica le manifestazioni di un femminismo combattivo, e, paradossalmente, si ha l'impressione di essere precipitati in uno scenario di guerra tra i sessi, non molto diverso da quello che ha oggi al centro le relazioni tra Stati e culture.
Il cambiamento che le donne hanno cominciato ad operare nelle loro vite è l'unica "rivoluzione" che non ha conosciuto soste né inabissamenti: avanza quasi impercettibile nel quotidiano, erode antichi privilegi, strappa piccoli spazi di libertà, fuoriesce dalle case e mina sotterraneamente la rigida divisione del lavoro su cui si sono costruite le istituzioni della vita pubblica, i suoi saperi, le sue leggi. Quella che invece sembra essersi perduta, rispetto alle "pratiche" e alle intuizioni originali del movimento delle donne degli anni'70, è la capacità di riflettere sul senso e sui modi di una trasformazione che non voleva essere solo uscita dalla marginalità e conquista di una cittadinanza piena, né solo denuncia di violenze manifeste. L'idea ambiziosa di una "liberazione" capace di sradicare al medesimo tempo modelli di obbedienza incorporati insieme agli affetti più intimi, e rapporti sociali di sfruttamento, ha lasciato il posto a un processo che "emancipa" la donna, la sessualità, il corpo, in quanto tali, senza intaccare le ragioni profonde che li hanno voluti sovrapposti e confusi. Una "schiavitù radiosa", una "alienazione attiva", che si vorrebbe forzatamente far passare per libertà, è l'immagine femminile che l'Occidente "esporta", insieme alle sue pretese di "civilizzazione", in un mondo "altro", concepito come il luogo di una inspiegabile inveterata "barbarie".
E' uno strano "scontro" di civiltà, quello che oggi contrappone Islam e Cristianesimo, culture, religioni, popoli che si vanno sempre più incrociando e che, proprio mentre esasperano la loro pretesa identitaria, attinta da lontane mitizzate "origini", si scoprono simili o speculari. La demonizzazione del "diverso", dello straniero visto come nemico, la missione "redentrice" innestata sulla volontà di dominio, la pretesa di avere un accesso esclusivo alle "risorse" naturali, sono i tratti distintivi di una guerra che oggi rischia di coinvolgere, nell'abbandono di ogni mediazione politica, governi e popoli, soldati e civili, caserme e case. Dietro los pettro di un risorgente "stato di natura" che riabilita divinità guerriere su fronti apparentemente opposti, si fa più evidente, tuttavia, anche quella "preistoria" in cui si è voluto lasciare finora il rapporto tra i sessi, la guerra non combattuta ma che ha continuato a produrre morti e ferite, per quella prima e preziosa "risorsa" che è il corpo femminile, la sua capacità generativa piegata a fonte duratura di accudimento, conferma e piacere per l'uomo. L'improvvisa accensione di fervori religiosi, riportata quasi esclusivamente all'abile propaganda delle forze economiche e politiche più reazionarie, parla, se si ha il coraggio di ascoltare, di un "disordine" e di un sovvertimento che hanno a che fare, prima di tutto, con una"sfida" femminile agita in modi contestualmente diversi, ma accomunati da una sostanziale similarità.
Contro il pericolo dell'omologazione a modelli dettati dalle leggi dello spettacolo e del consumo, sostenuti dai ritmi veloci di rete comunicative mondiali, sono oggi i rappresentanti delle "fedi" più diverse a dire che cosa deve essere una donna, a ricondurla con modi più o meno coercitivi dentro le funzioni e i simboli dove da sempre si è preteso di trovarla.
Se l'Islam più fanatico, con l'imposizione del burqa, si affanna a "velare" le attrattive del corpo femminile in modo palesemente "barbarico", nei paesi occidentali il richiamo all'ordine passa per vie più insidiose, più indirette, nascoste dietro la maschera dei "valori morali" e delle"leggi".
La Lettera del cardinal Ratzinger sulla "collaborazione tra l'uomo e la donna", la Legge 40 sulla fecondazione assistita, le dichiarazioni di Buttiglione al parlamento europeo, la campagna antiabortista dei "cristiani rinati" d'America, nella volontà di riportare la donna alla sua "naturale" vocazione domestica, di moglie e madre, non sono così lontani dalle oscure, anonime violenze, spinte talora fino all'omicidio, su donne "colpevoli" di aver chiesto la separazione da un marito, o di aver rifiutato un corteggiamento. Per non farsi trovare poco credibili nello "scontro" con altre culture, la "civiltà cristiana", con una invadenza religiosa e politica che sembrava eclissata per sempre, si affretta a "velare" le "sue" donne, troppo "nude", troppo inclini ad avvalersi delle offerte del mercato in cambio dei poteri oggi più ambiti: denaro, seduzione, notorietà.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»