lunedì 29 novembre 2004

storie criminali
chiesa cattolica: la persecuzione antisemita

Repubblica 29.11.04
QUEI BATTESIMI IMPOSTI

La Chiesa e le forzate conversioni degli ebrei
Una storica elenca e analizza i vari episodi di illibertà e di antisemitismo cattolico
Dagli archivi del Sant'Uffizio i documenti su una vicenda che è durata per alcuni secoli
Dal Seicento in poi si accentua la pratica di intimidazione psicologica e fisica
L'ossessione di strappare quante più anime possibili alla condanna dell´inferno
di MARCO POLITI

ROMA. Nell'Anno del Signore 1639 l'ebreo Prospero di Tullio accettò l´offerta di un frate che gli aveva promesso di «ben accomodare» uno dei suoi figli e di farlo battezzare personalmente da papa Urbano VIII se lo avesse offerto in conversione a Santa Romana Chiesa. Raccontano le cronache che l'ebreo si pentì subito, affermando che «haveva burlato», ma era troppo tardi. Per la Chiesa il patto era stato stretto e nel cuore della notte il rettore della Casa dei Catecumeni (l´istituto creato per le conversioni di ebrei e infedeli) fece irruzione nel ghetto di Roma in casa di Prospero, esigendo l'nfante. L'ebreo rispose di no. E qui lasciamo la parola direttamente al rettore Remedio Albani, che così replicò: «Io secondo gli ordini datimi (dissi) che in caso non mi ne desse uno de sua volontà, ne havesse presi tutti quelli che havesse giudicato infanti sotto sette anni, e così non volendo detto Prospero darne uno, ordinai alla corte (cioè agli sbirri, ndr) prendesse uno nella culla, dove viddi che era, e un altro putto che giudicai così nella notte non passar sei anni».
I due bambini, nonostante le proteste del padre e della comunità ebraica, finirono battezzati Urbano Urbani e Anna Urbani in onore del pontefice, «a confusione della maledetta e ostinata canaglia Ebraica. Il tutto a lode dell'Onnipotente Dio Trino e Uno».
Storie troppo lontane? Nel 1816 David Citone ebreo ottuagenario romano abbraccia la fede cattolica. «Per disperazione e miseria», cercando un ricovero nella Casa dei Catecumeni: così diranno i suoi correligionari. Perché «illuminato» da Dio, affermerà lui stesso. Non possiamo saperlo. Risulta però che nel novembre di quell'anno «offre» alla Chiesa cattolica la propria moglie e la nipote Giuditta. La moglie gli sottostà. Ma la nipote ha un padre, Graziadio Citone. Inutilmente. Con undici voti su dodici i consultori del Sant'Uffizio decidono che la potestà sulla piccola continua ad essere del nonno e quindi l'«offerta» è valida. Ma c'è un colpo di scena. A dicembre, mentre la causa è ancora in corso, il vecchio nonno viene preso da un colpo apoplettico.
Graziadio Citone assume dunque pienamente la patria potestà e avrebbe il diritto di rifiutare il battesimo forzato della figlioletta. E tuttavia saltano fuori nuovi cavilli giuridici.
Sostengono le autorità ecclesiastiche che nonno Citone è morto cresimato, baciando «con tenerezza» il crocifisso senza aver mai cambiato parere. E, soprattutto, nel momento stesso della sua offerta aveva trasferito di fatto la patria potestà a Santa Madre Chiesa, che ora poteva disporre della piccola Giuditta ben superando l'opposizione disperata del padre ebreo. Così fu. Nel luglio 1817 Giuditta fu battezzata con il placet dei cardinali del Sant'Uffizio.
L´episodio clamoroso, avvenuto dopo la breve emancipazione napoleonica quando ormai si era rafforzata tra gli ebrei la consapevolezza dei diritti naturali e civili, è uno dei tanti, tragici fatti di battesimo forzato emersi dagli archivi del Sant'Uffizio e del Vicariato di Roma grazie alle ricerche della studiosa Marina Caffiero. E Battesimi forzati (Editore Viella, pagg. 352, euro 22) si chiama la sua ultima opera sugli ebrei convertiti nella Roma dei papi.
Molti conoscono la storia di Edgardo Mortara, battezzato di nascosto, tolto ai genitori a Bologna nel 1858 e poi avviato alla carriera ecclesiastica: evento che suscitò uno scandalo internazionale in piena epoca risorgimentale. Ma è storia praticamente rimossa la «caccia alle conversioni» scatenata con crescente pressione dalla fine del Cinquecento sino all'Ottocento.
Una pratica condotta con l'alternarsi di allettamenti e intimidazioni psicologiche, rivolti specialmente su soggetti deboli come donne e bambini, e robustamente accompagnata dagli internamenti forzosi nella Casa dei Catecumeni: ufficialmente per «esplorare la volontà» dei chiamati in causa. Perché - pochissimi lo sanno - esistevano norme papali che prevedevano l'«offerta» alla Chiesa di ignari congiunti da parte di ebrei convertiti. E c'era ancora di più. La possibilità di «denunciare» la supposta volontà di ebrei, espressa in qualsiasi circostanza dinanzi a testimoni. Se ne servivano anche amanti respinti nei confronti di fidanzate riottose.
Marina Caffiero ha scovato negli archivi episodi incredibili, che si inquadrano nell'ossessione della gerarchia cattolica di strappare quante più anime possibili ai «perfidi Ebrei». C'è Ricca, promessa sposa dell'ebreo Giuseppe Limentani, rapita urlante la sera prima delle nozze perché - diceva una denuncia - avrebbe manifestato la volontà di farsi cristiana. C'è Ester Serena, nonna che chiede il battesimo e offre alla fede cristiana non solo le due nipotine di tre e sei anni, ma anche il feto nascituro della nuora incinta. Fidanzate «offerte» a forza dal promesso sposo catecumeno. Madri incinte sottoposte al lavaggio del cervello per convertirsi ed evitare di perdere il figlio subito battezzato appena nato. Nipoti minorenni sequestrate dallo zio e portate alla Case dei Catecumeni. Atti di violenza fisica o spirituale inseriti nel continuo, sottile e ossessivo argomentare sul valore contrattuale irreversibile di una parola detta o sui «poteri» di un parente rispetto ad un altro.
Risorgono dalla polvere degli archivi personalità fiere come la giovane Mazaldò, offerta alla religione cristiana dal coniuge catecumeno Angelo Francese, e che reclusa nella Casa dei Catecumeni si difende in tutti modi. Lanciando qualsiasi oggetto contro chi la vuole indottrinare. La reclusione riuscirà, però, a fiaccarla. «Di feroce leone è diventata mansueta pecora dell'ovile di Gesù Cristo», scrive soddisfatto nel 1770 il cardinale Albani.
Sullo sfondo si agita, tuttavia, una società complessa, documentata con cura ed equilibrio dalla Caffiero. Tra ebrei e cristiani vi sono molti più rapporti e interazioni di quanto la segregazione del ghetto lascerebbe supporre. Cristiani sono gli avvocati che difendono a nome della comunità ebraica le vittime sequestrate. I papi stessi chiamano talvolta a consulto giuridico dei rabbini. I capi della comunità ebraica sono molto meno passivi di quanto una certa pigra storiografia li dipinga. Con il passare degli anni diventano, anzi, sempre più battaglieri. Posizioni divergenti nel trattare gli ebrei si manifestano tra il Vicegerente della diocesi di Roma (responsabile della Casa dei Catecumeni) e il Sant´Uffizio, che a volte si dimostra garantista e dispone la restituzione dei minori sequestrati.
Emerge, comunque, il quadro di un insistente anti-giudaismo, che unisce popolino e alte personalità ecclesiastiche e che invece di diminuire con l´età moderna si acuisce dopo la Rivoluzione francese. Né va sottovalutato il riproporsi insistente e insidioso del mito antiebraico dell´omicidio rituale. Non è del Medioevo ma del 1761 il volume pubblicato a Venezia dal sacerdote Giovanni Pietro Vitti con l´eloquente titolo Memorie storico-cronologiche di vari bambini, ed altri fanciulli martirizzati in odio di nostra fede dagli ebrei, dove si parla di barbari lupi mannari israelitici che impastano il loro cibo di «sangue, ch´a colpi di ferite, e di trafitture, e di spille spremono da quei teneri corpiciuoli (di bimbi cristiani)».
Torrenti di odio e di veleno cattolico che andranno a ingrossare nel Novecento il fiume esiziale dell'antisemitismo propugnato dal nazi-fascismo e dalla destra reazionaria.