lunedì 7 marzo 2005

Achille Bonito Oliva
Munch, in mostra al Vittoriano di Roma

Repubblica 7.3.05
L'Urlo contro una società che mortifica l'individuo
Le asimmetrie dell'emozione trovano nel linguaggio dell'arte i segni naturali
L'artista adotta l'enfasi espressiva come strategia contro la realtà del suo tempo
Alla cultura positivista l'artista contrappone la cultura della psicoanalisi e dell'introspezione
Dal 10 marzo a Roma la rassegna dedicata al grande pittore norvegese
ACHILLE BONITO OLIVA
Apre il 10 marzo a Roma nel complesso del Vittoriano una mostra dedicata al grande pittore norvegese Edvard Munch (fino al 19 giungo). Dal catalogo dell'esposizione, che ha per titolo "Munch 1863-1944", edito da Skira, pubblichiamo uno stralcio del saggio di L'accesa manualità dell'arte alla fine del XIX secolo, la curiosità per le arti minori e le culture primitive sono la risposta a un contesto avviato sempre più verso la riproduzione meccanica non soltanto dell'immagine ma anche del comportamento standardizzato dell'uomo.
All'impersonalità entusiasta dell'impressionismo avevano già dato risposta Van Gogh e Gauguin: a questi artisti, oltre che a Toulouse-Lautrec, si aggancia il lavoro di Edvard Munch (1863-1944), e poi degli Espressionisti, che riporta sulle motivazioni del soggetto la sostanza morale del bisogno creativo.
Un bisogno accentuato dall'urgenza di ripristinare una lacerata centralità dell'individuo mortificata dallo sviluppo dell'industrializzazione e dall'abnorme crescita della città, agglomerato artificiale rispondente soltanto a motivazioni produttive ed economiche. La città è il teatro della messa in posa sociale dell'uomo che indossa le maschere della convenienza e dell'ipocrisia, dell'affettazione e della repressione.
Verso l'abnormità di questa realtà l'artista si sente minore sul piano della quantità sociale che invece accetta supinamente il grado negativo dell'esistenza, maggiore sul piano della qualità morale in quanto capace di ripristinare le ragioni del soggetto seppure ferito e dissociato per un paradossale eccesso di consapevolezza e di sensibilità. Per far questo l'artista adotta una strategia particolare, quella dell'enfasi espressiva capace di dilatare al massimo la presenza del soggetto: l'urlo munchiano (virtualmente pronto alla riproduzione modulare anche nelle affiche del XXI secolo) contro il silenzio supino della società e il mistero dell'universo che accoglie nello stesso tempo l'innocenza maligna della natura e le contraddizioni della storia, la melanconia dell'adolescenza già minacciata dall'ombra sospetta di un futuro incombente. La perplessità della figura ricorda Degas. In ogni caso l'urlo resta l'emblema iconografico che conferma la sentenza di Schopenhauer: «Il mondo stesso è il Giudizio Universale».
Una sorta di procedimento di irradiazione narcisistica esasperata dal soggetto sull'oggetto, sull'opera realizzata, presiede la creazione, una regressione allo stadio elementare dell'infanzia, anche a quella dell'umanità rappresentata dalle culture primitive, che permette l'uso e il piacere di una manualità che riduce ogni complessità a uno stadio essenziale. Ma tutto questo non è il frutto di un atteggiamento artefatto, ma è la conseguenza di una condizione sentimentale che non permette alternative se non quella di un'espressione artistica, capace di produrre riparazione.
In tal modo Munch ristabilisce un'attenzione del mondo su di sé, che altrimenti non ci sarebbe. La naturalezza del soggetto viene ristabilita mediante il recupero di un linguaggio, quello dell'arte, capace di rappresentare la posizione asimmetrica dell'uomo fuori da ogni verosimiglianza. Una salda coscienza metalinguistica presiede la sua arte, consapevole della specificità dell'esperienza creativa che adotta tecniche che certamente non sono quelle della vita. Anche l'enfasi diventa dunque il travestimento necessario per ingrandire le istanze e i bisogni di totalità che la realtà tende a negare.
Infatti la concezione dello spazio, pittorico o grafico, è sempre saldamente bidimensionale, sbarrata a ogni tentazione di rappresentazione naturalistica. L'alterazione enfatica del segno rispetta la conformazione di uno spazio che non cerca l'illusione della duplicazione delle cose. Lo spazio è introspettivo e come tale non ha bisogno di altra profondità che non sia quella bidimensionale della tela o del foglio. Le asimmetrie dell'emozione e della nostalgia trovano nella lingua dell'arte i segni naturali della propria messa in scena.
Qui messa in scena non significa mistificazione o alterazione, semmai passaggio sotto una lente di ingrandimento capace di evidenziare motivi di profondità che nessun altro mezzo di riproduzione è capace di fare. Ai mezzi riproduttivi di una società frutto di cultura positivista, Munch contrappone quelli tradizionali dell'arte che riafferma la propria centralità che il momento storico tende a negare. Paradossalmente, sotto l'uso regressivo dell'enfasi espressiva, cova una grande consapevolezza culturale che porta a un intreccio con le scienze umane, la psicanalisi e l'antropologia, culturale, seppure realizzato spesso per sintonia e istinto verso il teatro: Ibsen e Strindberg per i quali realizza manifesti per le loro piece teatrali.
L'arte diventa la fondazione di un modello liberatorio che ripara le ferite ed esalta i motivi proliferanti della profondità della psiche, strutturata sugli stessi principi organici della natura; nello stesso tempo ripara anche violenze e soprusi della storia che ha emarginato culture come quelle primitive, colpevoli di essere portatrici di differenza. L'etnologia e l'antropologia si sviluppano infatti anche sotto l'effetto di questo senso di colpa della cultura occidentale. L'arte compie un giro a trecentosessanta gradi su tutta la storia della creatività e accoglie nel proprio bagaglio il linguaggio animistico dell'arte primitiva.