lunedì 28 marzo 2005

archeologia
l'oppio? una creazione svizzera di 6500 anni fa

Corriere della Sera 27.3.05
L’oppio? E’ una specialità svizzera
Il Papaver somniferum compare 6.500 anni fa in una zona tra Berna e Zurigo

Viviano Domenici

E’ opinione diffusa che il papavero da oppio sia una pianta d’origine orientale. Ma non è così. Gli archeo-botanici, infatti, ci raccontano una storia del tutto diversa e ricca di sorprese. Eccola in sintesi. Il papavero da oppio (Papaver somniferum) è una pianta creata dall’uomo per selezione da piante selvatiche in Svizzera, nella zona tra Berna e Zurigo. Altre aree geografiche di possibile origine sono la Germania, la Spagna e la Grecia ma, per ora, la Svizzera rimane la sua patria più probabile. La creazione del Papaver somniferum risale a circa la metà del quinto millennio avanti Cristo, vale a dire circa 6500 anni fa. Autori della selezione furono agricoltori del tardo Neolitico e la pianta da cui partirono fu il Papaver setigerum, una delle circa 250 specie di papavero esistenti. Oggi in Italia vivono 13 specie di Papaver , tra cui il Papaver somniferum , che cresce sporadico in forma sub-spontanea. E di tanto in tanto qualcuno viene denunciato perché lo coltiva illegalmente.
I più antichi semi di papavero sono stati rinvenuti negli scavi del villaggio palafitticolo «La Marmotta», sul Lago di Bracciano, nel Lazio, e risalgono al 4300 avanti Cristo, ma gli archeo-botanici escludono che la prima selezione della pianta sia avvenuta in Italia. La data di origine è, quindi, ben più antica di quella indicata dai reperti trovati in Svizzera (3800 a.C.) e anche di quelli di Bracciano . Si ipotizza infatti un’origine svizzera attorno al 4500 avanti Cristo e una migrazione che fece arrivare la pianta nel Lazio già nel 4300 avanti Cristo.
Gli scavi archeologici dimostrano che la diffusione del papavero da oppio avvenne in più direzioni: nel 3800 a.C. è attestato in Gran Bretagna e di nuovo in Italia (villaggio palafitticolo di Lagozza, Varese), nel 3200 a.C. in Grecia, nel 2500 a.C. in Spagna; poi a Creta, Cipro, Medio ed Estremo Oriente, dove trovò un ambiente particolarmente favorevole.
A raccontarci i primi capitoli della storia dell’oppio è Giorgio Samorini, archeo-botanico del Museo Civico di Rovereto, Trento, un’autorità nel settore degli studi delle piante psicoattive e direttore della rivista «Eleusis», edita dal museo di Rovereto.
«Alcuni ricercatori ritengono che a spingere gli uomini del Neolitico a coltivare il papavero sia stata la possibilità di nutrirsi dei semi o di estrarne l’olio - spiega Samorini -. In questo caso, la scoperta delle proprietà psicoattive della pianta sarebbe una conseguenza della coltivazione. Ma io non credo che le cose siano andate così. La grande diffusione della coltivazione e l’attenzione posta nella selezione delle piante, denotano un impegno che travalica l’uso alimentare. Penso che inizialmente l’esigenza di produrre un alimento e la possibilità di sfruttare le proprietà psicoattive della pianta abbiano agito insieme, finché l’aspetto farmacologico ebbe il sopravvento. Non dobbiamo dimenticare che l’oppio è un potente antidolorifico, praticamente l’unico a disposizione degli uomini del tardo Neolitico, e per questo il Papaver somniferum divenne così prezioso da trasformarsi rapidamente in oggetto di culto».
L’esistenza di un culto del papavero da oppio presso alcune popolazioni antiche è testimoniata dalla scoperta di diversi oggetti raffiguranti la capsula del papavero. Il più noto è certamente la «Dea dei papaveri», una statuetta femminile scoperta a Ghazi, Creta, risalente al 1250 a.C. La dea a braccia alzate, porta sulla fronte una fascia dove sono infilati tre spilloni removibili a forma di capsule di papavero sulle quali sono evidenti le incisioni praticate per estrarne il latice, cioè l’oppio. La statuetta venne rinvenuta in un ambiente sotterraneo insieme ad altre quattro figure di forma simile portatrici di diverse simbologie caratteristiche della civiltà minoica.
Recentemente è stata accertata l’esistenza di un culto dell’oppio anche presso i Dauni, un popolo stanziato nella Puglia settentrionale tra l’VIII e il VI secolo a.C. . Le stele di pietra rinvenute a decine in una ristretta area delle campagne di Siponto, Foggia, raffigurano personaggi maschili e femminili coperti da elaborate vesti cerimoniali. Nella decorazione delle vesti femminili è stata riconosciuta la rappresentazione di diverse capsule di papavero che sono state ora interpretate come la prova dell’esistenza di un culto della pianta e del suo prodotto. Questa nuova lettura dell’iconografia delle stele, finora interpretate come monumenti funerari anche se non sono mai state rinvenute in corrispondenza di tombe, ha suggerito anche che questi monumenti siano in realtà raffigurazioni votive della principale coppia divina del pantheon dei Dauni. Autrice della ricerca è Laura Leone, studiosa di arte preistorica, che ha trovato conferme alla sua ipotesi anche in alcune immagini dipinte su vasi di ceramica contemporanei alle stele. In una di queste scene si vede un personaggio femminile, forse una sacerdotessa o una dea, in piedi davanti a una pianta di papavero, mentre offre una pianticella a un personaggio maschile che sembra in procinto di partire. Probabilmente una partenza verso il mondo ultraterreno di cui l’oppio, con la sua capacità di provocare uno stato soporoso e alleviare ogni dolore, è stato un simbolo fin quasi ai nostri giorni.