sabato 5 marzo 2005

sinistra

Agi.it
SGRENA: BERTINOTTI, ORA SPERO IN LIBERAZIONE AUBENAS

(AGI) - Lido di Venezia, 4 mar. - "Spero che questa notizia possa facilitare anche la liberazione della giornalista francese Florence Aubenas ancora in mano ai sequestratori": mentre ancora festeggia la liberazione di Giuliana Sgrena, Fausto Bertinotti esprime questo sentimento riguardo la reporter francese. (AGI)

Corriere della Sera 5.3.05
La sinistra all’attacco: colpa degli americani
Fassino: Calipari ucciso da chi dice di essere in Iraq per tutelare la vita. Bertinotti: sparano su tutti o c’era un interesse?
Daria Gorodisky

ROMA - I proiettili sparati ieri dai militari Usa contro l’automobile che trasportava Giuliana Sgrena, la morte di Nicola Calipari e il ferimento degli altri agenti italiani e della stessa giornalista fanno risuonare in parte della sinistra parole d’ordine antiamericane. Una reazione magari scontata nelle componenti più radicali. Ma anche quelli che pochi giorni fa avevano giudicato le elezioni irachene come un punto di svolta da cui ripartire per collaborare alla ricostruzione adesso rimarcano una durissima critica alla guerra «scatenata dagli Usa». E molti sono anche i dubbi sulla credibilità della dinamica dei fatti. Piero Fassino, dopo il cordoglio «per il sacrificio di un servitore dello Stato», commenta: «E’ incredibile che un uomo impegnato nella difficile opera di salvare una vita sia stato ucciso da coloro che affermano di essere in Iraq per tutelare la vita dei cittadini». «Per questo - aggiunge il segretario dei Ds - chiedo che siano accertate circostanze e responsabilità di un fatto tanto luttuoso quanto sconcertante».
Più duro il leader di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti: «Sento una assoluta inquietudine - dice dal congresso di Venezia -. Vuol dire che chiunque da una postazione come un check point può sparare su un bersaglio quale che sia, di guerra, di pace, di aiuto umanitario. Oppure, significa che qualcuno aveva interesse a colpire». Inoltre, sempre dal congresso, esponenti come Giorgio Cremaschi e Giovanni Russo Spena invitano a «tornare in piazza anche con uno sciopero della fame di fronte all’ambasciata degli Stati Uniti fino al ritiro del nostro contingente».
Dal cossuttiano partito dei Comunisti italiani, poi, il senatore Gianfranco Pagliarulo annuncia un’iniziativa immediata: la distribuzione stamattina a Milano davanti al consolato Usa di volantini con la scritta «Bush, vergogna».
Le mobilitazioni suggerite per il momento non trovano grandi adesioni. Il correntone Ds preferisce aspettare di avere maggiore chiarezza su quanto è accaduto: il comando Usa era al corrente o no? Il territorio è sotto controllo, almeno in alcune zone, o no? Sono queste le domande che ripetono, anche per decidere se le responsabilità debbano essere attribuite più al governo italiano o agli americani. Su questa base Pietro Folena è «scettico rispetto a certe manifestazioni. Sarebbe meglio che ora il Paese facesse una grande riflessione pacata sulla vera situazione in Iraq». E anche Cesare Salvi, pur ritenendo «giusta qualche voce di protesta», conclude dicendo «vediamo, valutiamo: intanto chiederemo un dibattito parlamentare. Perché delle due l’una: o è successo qualcosa di terribile e oscuro, e voglio escludere questa ipotesi; oppure gli americani non sono in grado di controllare nulla e usano strumenti bellici senza sapere neppure contro chi lo stanno facendo».
Dubbi-accusa simili a quelli del leader girotondino Francesco «Pancho» Pardi: «Questa è l’ennesima dimostrazione che non c’è nessuna normalizzazione laggiù, altro che effetti benefici della guerra. Gli americani dicono che l’auto non si era fermata al posto di blocco? Non credo mai a una sola delle loro parole». Ma, rispetto a sciopero della fame e volantinaggio, il giudizio è che «sembrano posizioni un po’ enfatiche. Prima bisogna capire».
Attaccano «l’assurdità di questa guerra» anche il vicepresidente dei deputati della Margherita Agazio Loiero e il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio. Ma, almeno per ora, la piazza può attendere.

Corriere della Sera 5.3.05
Prc
GLI OPPOSITORI «Gestione unitaria». Ma Fausto dice no


Quattro mozioni dell’altra Rifondazione, quella che non vuol sentire parlare di andare al governo con le «forze moderate» e che, pur con accenti diversi e qualche apertura, esprime disagio, preoccupazione e invita Bertinotti a ripensarci. Il j’accuse al segretario del Prc, reo di «voler snaturare il partito», è arrivato dal trotzkista Marco Ferrando (6,4 per cento), secondo il quale «Bertinotti mette in discussione la stessa natura sociale del partito e l'esistenza di un’opposizione di classe e comunista in Italia». Più articolata la posizione dell'Area Ernesto, guidata da Claudio Grassi che, con la mozione «Essere comunisti« (25%), chiede al segretario di realizzare una intesa solo sulla base di un programma dai forti contenuti innovatori, di «classe». Sia Grassi, sia Malabarba, a nome dell’«Area Erre», hanno rinnovato la richiesta a Bertinotti di adottare una gestione unitaria del partito. Ma Bertinotti, che ha il 60 per cento del partito, è intenzionato a non dare spazi all’opposizione: nella nuova segreteria a otto dovrebbe uscire l’unico rappresentante della minoranza, proprio Grassi, e dovrebbero entrare due uomini e due donne di sua fiducia. Inoltre, per gestire e controllare la nuova fase, il segretario intende modificare lo statuto per favorire un rafforzamento della maggioranza.

aprileonline.info 5.3.05
Le sfide di Bertinotti
Congresso Prc. Il segretario di Rifondazione scommette su una nuova cultura politica per superare il riformismo e competere con i gruppi dirigenti della Fed
G.I.

Scriveva bene Riccardo Barenghi, qualche giorno fa su “la Stampa”. Quella di Bertinotti è una sorta di partita a poker, nella quale il segretario di Rifondazione si gioca tutto il capitate politico finora accumulato. Non si tratta di un piccolo gruzzolo, anzi, ma Bertinotti sa che è comunque una somma insufficiente per le sfide che attendono il suo partito. Per questo ha bisogno di giocarselo, questo gruzzolo, sperando di vincere nel complicato tavolo del centrosinistra.
Alla sfida che Bertinotti fa a se stesso, al suo partito, al fato, corrispondono altrettante sfide che Rifondazione lancia all’esterno.
La prima è la sfida al riformismo. In questo senso va letto il recupero dell’ispirazione riformatrice del primo centrosinistra, quello di Nenni, o meglio quello di Riccardo Lombardi. Quella stagione fu, pur tra ritardi e contraddizioni, una vera rivoluzione fatta con le armi delle riforme. Le riforme di struttura, si diceva allora. Al punto che anche Togliatti ammise: “il vostro programma è il nostro, ma voi non riuscirete ad attuarlo”. In parte Togliatti ebbe ragione, in parte no, e se oggi abbiamo un Servizio sanitario nazionale invece che le mutue, se l’elettricità e il telefono arriva in tutte le case, lo dobbiamo a quel primo centrosinistra. Modernizzazione, si chiamava anche allora, senza però quel sottotesto fatto di “cedimenti” ai dogmi liberali che accompagna oggi questa parola nobile della sinistra. Bertinotti, ricordando quel periodo, dice al centrosinistra di oggi che la crisi, il declino del paese, non si affrontano né con piccole toppe qua e là, né con l’adesione alle idee altrui. E lancia così una audace battaglia, sul loro stesso terreno, quello delle riforme, ai due riformismi che animano il centrosinistra: quello, incarnato dai Ds, che consiste in molti “né-né”, scelte mai compiute, tentativi estenuanti di conciliare l’inconciliabile; e l’altro, che proviene da certe aree, da “Il Riformista” alla Fondazione Italianieuropei, che in sostanza propone al centrosinistra di sposare appieno il liberismo, divenendo riformatore sullo stesso terreno del centrodestra, a cui si rimprovera non il merito delle proposte, ma la cronica incapacità di realizzarle. Insomma, pare dire Bertinotti, oltre al riformismo senza riforme e a quello con le riforme degli altri, può esistere anche un riformismo (una spinta riformatrice) con proprie idee e propri progetti, in grado di “cambiare il paese”.
La seconda sfida è ai riformisti, vale a dire ai gruppi dirigenti dei partiti che formano la Federazione dell’Ulivo. Ed è la sfida per la leadership. Per il controllo del “timone”. Qui Bertinotti porta all’estremo le conseguenze della prima sfida. Non è detto – è il ragionamento del segretario del Prc – che il centrosinistra debba sempre e comunque essere guidato da una certa parte. Il caso Vendola, ora il caso Casson a Venezia, dimostrano che la sinistra alternativa è in grado di esprimere anche personalità di governo, e su queste costruisce un’egemonia che riesce a penetrare ampi settori del fronte riformista. E’ forse la sfida più difficile per Rifondazione, alla quale manca una solida classe dirigente paragonabile per esperienza e qualità a quella dei Ds o della Margherita.
La terza sfida Bertinotti la rivolge al resto della sinistra “radicale”, “critica”, “alternativa”. Il richiamo all’esperienza dell’assemblea delle riviste del 16 gennaio, la proposta di una Fondazione di cultura politica intitolata a Tom Benetollo sono accompagnati nel ragionamento del leader comunista dalla consapevolezza che certi steccati tra “riformisti” e “radicali” non passano più in modo netto dalle frontiere dei soggetti organizzati di oggi. E che se dal lato “riformista” è in corso una nuova avventura (quella della Fed), sul lato radicale non si può rispondere con la meccanica riproposizione di cioè che si è già. Né con soluzioni organizzativistiche che scimmiottino la Fed stessa. Il passaggio è un altro: fondare una nuova sinistra, che non abbia radici nei movimenti dell’ ‘800 e del ‘900, ma in quelli degli anni 2000. E’, come si vede, una sfida moderna.
In effetti anche l’idea della Fed nacque con propositi simili, mettersi alle spalle il ‘900, per creare una “zona franca, senza passaporti” in cui potessero parlarsi riformisti di diversa provenienza. Ieri Fabio Mussi ha usato parole simili sul confine tra radicali e riformisti: “Bisogna rimuovere molti check-point tra le forze della sinistra”.
Gli esiti, quando si rimuovono i fili spinati tra le culture e le persone, non sono mai scontati. Quel che è sicuro è che per fare un viaggio bisogna non avere nostalgie per le vecchie case.