martedì 19 aprile 2005

psichiatra o papa boy?
Luigi Cancrini su Il “grande mistero della religione”

una segnalazione di Livia Profeti

L’Unità – 18 aprile 2005

Il grande mistero della religione
LUIGI CANCRINI

«Tutta questa retorica sul ruolo e sulla qualità del Papa morto mi hanno spinto a reagire ed a riflettere sulla religione. Se uno non crede ma vuol capire gli eminentissimi principi della Chiesa devono chiarire i tanti troppi misteri. Chi non “gode” della fede non può accettarla a scatola chiusa. Professore, religione è ragione o accettazione acritica? Religione è superstizione?
Religione è astratta convinzione? O meglio e di più che cosa è questa religione che muove miliardi di persone, che li consola, gli dà speranza, li aiuta a sopportare fame, tristezza, dolore, li rende gioiosi oppure li fa piangere in adorazione davanti a icone o altri simboli?
La riproduzione di immagini di Santi e di Madonne sono dei talismani? Cos'è che attrae l'uomo verso la credenza di un essere sovrumano, e in nome del quale, si batte fino ad uccidere chi ha credenze diverse? Perché, in nome di un Dio dispensatore di pace e di concordia, il credente usa violenza e uccide come uno privo di fede?
Non credo di sviluppare retorica, né provocare astruse polemiche, chiedo a persone di studio la necessaria e utile conoscenza per rafforzare in me il convincimento della supremazia del pensiero laico, contro dogmatismo e verità rivelate.
Rispettosi e cordiali saluti.
Guerrino Bellinzani»

La prima cosa che mi è venuta da dire di fronte a questa tua lettera, caro Guerrino, è che il Papa che se n'è andato in questi giorni è stato, nei fatti, il più laico di tutti quelli che si sono succeduti sul trono di Pietro: il Papa capace di chiudere, dopo millenni, la tendenza degli uomini a giustificare le guerre con la necessità di difendere o di imporre delle idee religiose e la ferita dolorosa (e spaventosamente sanguinosa) aperta nel cuore del cristianesimo dal concilio di Trento e dalla controriforma. In un contesto, quello proposto da un'Europa che è ormai un'Europa unita, che ha preparato e favorito questo suo discorso. Ma con una capacità tutta sua di proporlo e di portarlo avanti. Vediamo perché.
L'eredità più importante di PapaWojtyla, la più difficile da gestire per i suoi successori e la più indigesta per chi crede, ancora oggi, d'avere in mano delle missioni da compiere nei confronti di chi la pensa in modo diverso da lui, mi sembra quella legata al metodo del suo Pontificato. Al messaggio complessivo, di cui qualcuno ha segnalato la contraddittorietà, e di cui io vorrei invece rivendicare e sottolineare la coerenza. Ragionando a grandi linee, come si farà un giorno, forse, nei libri di storia. Aperto al confronto con i rappresentanti di Stati, sistemi sociali e religioni diverse, Giovanni Paolo II è stato correttamente percepito e rappresentato come il Papa, appunto, del dialogo. Capace di aperture storiche nei confronti dell'Islam e dell'ebraismo oltre che di incontri costruttivi con la Cuba di Fidel Castro e con gli Stati Uniti di Clinton e di Bush. Capace di confrontarsi senza paura con il totalitarismo sovietico e di salvare la nobiltà delle aspirazioni alla base del bisogno di chi crede ancora nel comunismo inteso come sogno (o profezia) filosofica di liberazione dell'uomo dai limiti politici dell'alienazione. Capace di immergersi nella società dell'informazione e dei consumi mantenendo aperto un discorso duramente critico nei confronti del capitalismo che non ha rispetto per i diritti di chi lavora e di chi vive nei paesi poveri del mondo. Siglando, con il sigillo di chi rappresenta Gesù in terra, encicliche che rappresentano una espressione fra le più alte della dottrina sociale della Chiesa. Manifestando una fiducia profonda nelle possibilità, proprie dell'uomo, di affrontare il conflitto, qualsiasi conflitto, con le armi dell'intelligenza e dell'ascolto. Sapendo e insegnando, implicitamente, che nessuno ha mai del tutto ragione su questa terra e che tutti hanno, invece, le loro ragioni: le ragioni che possono essere ascoltate e comprese tutte prima di assumere una posizione di cui si voglia poter dire che è “giusta”.
È all'interno di questo contesto, credo, che debbono essere collocate le posizioni assunte dal Papa che non c'è più sui temi che tu riferisci al “mistero” religioso. Si dice, ed è vero, che Giovanni Paolo II sia stato un Papa conservatore in tema di aborto e di procreazione assistita, di limitazione delle nascite e di libertà sessuali. Quello che va detto con chiarezza, però, è che questo tipo di discorso assume un significato molto diverso, per chi lo ascolta da laico, se lo si inquadra in una cornice di tolleranza per il pensiero dell'altro che non ha precedenti nella storia del pensiero religioso e che propone un segno forte di discontinuità con l'insegnamento precedente della Chiesa. Intrinsecamente legata a quella dell'ascolto c'è infatti la dimensione nuova del rispetto per il pensiero dell'altro: una dimensione il cui corrispettivo etico sta nella necessità di basare le proprie scelte sulla convinzione personale. Considerando consiglio e frutto di un pensiero autorevole quello che in precedenza veniva considerato e proposto come un ordine da eseguire per non commettere dei peccati. Perché il peccato vero, alla fine, è proprio quello di chi rinuncia a pensare con la sua testa.
Questo giornale ha riportato con grande evidenza, nel giorno della sua morte, l'appello del Papa alla pace. Aggiungendo le sue parole a quella festa di bandiere arcobaleno portata avanti in tante città del mondo con il contributo decisivo dei bambini: l'innocenza di chi ha fiducia nel fatto che alla fine chi è buono vince usando le armi della lealtà o del coraggio ha trovato, nel suo discorso di metodo sulla pace, una manifestazione particolarmente alta perché quello del Papa non era il pacifismo incerto della persona che ha paura o quello opportunistico di chi parla quando non gli conviene fare la guerra ma l'affermazione di un principio che la stessa Chiesa aveva calpestato per secoli e di cui solo Gandhi, dopo Gesù, aveva avuto il coraggio di affermare il valore assoluto. Rispetto delle ragioni degli altri, consapevolezza profonda del fatto che nessuno sulla terra ha la possibilità di credere, senza diventare ridicolo, di possedere la verità significa, in effetti, trovarsi nella impossibilità di accettare l'idea che una guerra possa essere considerata giusta o inevitabile. Lo scontro viene deciso sempre sulla base di una fede fanatica e malata, nella superiorità delle proprie ragioni o di una convinzione, altrettanto fanatica e malata, sulla cattiveria irraggiungibile e irrimediabile dell'altro. Fare la guerra convinti di essere nel giusto è possibile, dal punto di vista psicopatologico, solo per una mente che funziona ad un livello border line. Che vede tutto bianco o tutto nero. Che non conosce le sfumature della complessità. Che non funziona ad un livello integrato e maturo.
Serviranno molti anni, forse, perché questo discorso diventi pratica operante e dottrina costante della Chiesa. Risale a più di mille anni fa l'incontro della Chiesa con il potere politico e l'inizio del prevalere di una temporalità destinata ad oscurare il valore rivoluzionario della parola di Cristo. Sta nel declino della sua autorità politica la ragione più importante della crescita immensa della autorità spirituale del Papa che oggi non c'è più. Un Papa che non ha basato la sua fama sulla capacità di fare miracoli ma su quella di aiutare la Chiesa a riprendere un contatto serio con le sue origini. È per questo, forse, che le foto più belle e il dolore più sincero erano, il giorno dopo la sua morte, quelli proposti da questo giornale: un giornale di cui altri Papi, quando io ero bambino, proibivano la lettura minacciando di scomunica chi trasgrediva al loro ordine. Costringendo chi scrive (avevo allora sette anni) a confessioni ripetute e penitenze varie il giorno in cui casualmente gli accadde di leggerne i titoli esposti nell'edicola vicino alla scuola.