Ligabue, espressionismo tragico
Due mostre celebrano il grande pittore naif italiano a quarant’anni dalla morte
- A Reggio Emilia e a Gualtieri la più grande antologica mai realizzata prima, con 270 quadri, finalizzata a documentare in modo esaustivo l’intero percorso creativo dell’artista, mirando a sottolinearne il valore al di là delle etichette riduttive. A Cencenighe Agordino esposti 150 lavori, tra dipinti, disegni e sculture, e in vendita il Catalogo Generale Ragionato delle opere
Quella allestita a Palazzo Mignani di Reggio Emilia e a Palazzo Bentivoglio di Gualtieri fino al 28 agosto è la più grande antologica mai realizzata prima sull’arte di Ligabue, presenta 270 opere e s’intitola , «Antonio Ligabue. Espressionismo tragico».
Curata da Sergio Negri e Sandro Parmiggiani, l’esposizione allestisce nella sede reggiana 110 dipinti, tra cui molti di grandi dimensioni, mentre in quella di Gualtieri (dove nel 1965 Ligabue è morto ed è stato sepolto) si può ammirare un’ampia raccolta di opere su carta (60 disegni e 30 incisioni originali) e 70 sculture, tra terrecotte e bronzi. La selezione compiuta dai curatori è finalizzata a documentare in modo esaustivo l’intero percorso creativo dell’artista, mirando comunque a sottolinearne il grande valore al di là delle etichette riduttive che l’hanno a lungo travisato e penalizzato.
L’obiettivo è far conoscere un Ligabue non «naif», bensì esponente sanguigno e tragico del filone «primitivo» ed espressionista del ’900 non solo italiano, protagonista indiscusso del panorama artistico internazionale. La mostra si pone quindi, proprio in base al numero e alla qualità delle opere scelte, come un rinnovato punto fermo nella valutazione critica e nella comprensione dell’artista. Mentre spesso ci si limita alle tristi vicende che accompagnarono l’intera vita di Antonio Ligabue, nato nel 1899 a Zurigo, dalla madre operaia (e padre sconosciuto), Elisabetta Costa, che si sposa dopo due anni con Bonfiglio Leccabue, di Gualtieri, che gli da il nome.
È proprio nel comune della Bassa reggiana che fa ritorno a vent’anni, dopo un’infanzia di sofferenze e miseria, il successivo affidamento (alla morte della madre, nel 1913) a un istituto rieducativo di Marbach e quindi, nel 1917, il ricovero nel manicomio di Psafers.
Espulso dalla Svizzera per la sua vita turbolenta arriva così a Gualtieri nel 1919, scortato dai carabinieri come un malavitoso, straniero in terra straniera perchè d’italiano ha il nome, ma parla unicamente tedesco. Il municipio gli assegna un letto al Ricovero di mendicità Carri, una modesta sovvenzione e la possibilità di lavorare presso qualche contadino o nella costruzione degli argini del Po. Preso da nostalgia per la sua prima patria, Ligabue cerca di fuggire più volte per rientrare clandestinamente in Svizzera, ma viene sempre fermato e non vi farà mai più ritorno.
I primi dipinti dell’artista risalgono alla fine degli anni venti, quando entra in contatto con uno dei fondatori della Scuola Romana, Marino Renato Mazzacurati che insegna a quell’uomo ridotto a vivere come un selvaggio nei boschi e nelle golene del Po l’uso dei colori a olio.
Il genio di Ligabue esplode nei cromatismi che plasmano «atmosfere incantate, scene idilliache, piante lussureggianti, animali in lotta», scrive nel catalogo pubblicato da Skira Giuseppe Amadei, suggestioni di un’infanzia per sempre vagheggiata passando da un ospedale psichiatrico all’altro. «Dileggiato in vita», il reietto Ligabue viene osannato dopo la morte. Lui lo sapeva, e a chi lo scherniva rispondeva: «A me faranno un film, quando sarò morto, a me faranno una grande mostra a Parigi, a me faranno un monumento, perchè sono un grande artista, avete capito?».
Una sorta di ritorno alle origini a quarant'anni dalla morte: potrebbe essere definita così la grande mostra antologica di Ligabue a Cencenighe Agordino che rimarrà aperta fino al 25 settembre.
In realtà tra i monti del Veneto Ligabue non c'è mai stato: vi era nata la madre Elisabetta Costa che, emigrata, lo metterà alla luce in Svizzera per poi morire tre anni dopo. Forse in quei primi tre anni di vita questa mamma semplice, attaccata come tutti gli emigranti alla nostalgia della sua terra, gli avrà parlato dei monti e gli avrà sussurrato le nenie agordine. Forse…. di certo Ligabue, destinato (o condannato) a vivere per buona parte della sua vita in una pianura piatta come l'olio, avrà sempre un rapporto speciale con le montagne, che fossero svizzere o quelle ancestrali del Veneto.
E speciale possiamo definire il rapporto tra le genti della montagna e Ligabue, a giudicare dall'enorme successo che ebbe la prima mostra a Cencenighe nel ventennale della morte: quasi 100.000 visitatori, con personaggi in pellegrinaggio dalla vicina Cortina del calibro di Barilla, Montanelli, Casaroli. Un record rimasto imbattuto.
Il secondo motivo che rende quest'occasione davvero speciale è la presentazione e messa in vendita in mostra del Catalogo Generale Ragionato delle opere di Ligabue a cura di Augusto Agosta Tota e Marzio Dall'Acqua, con la prefazione di Vittorio Sgarbi. Si può definire senza dubbio "ufficiale", a contare gli attestati, i patrocinii e i riconoscimenti che l'erede di Ligabue, lo Stato Italiano, ha conferito all'opera: a partire dall'Alto Patronato del Presidente della Repubblica per arrivare ai patrocini della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero per i Beni e Attività Culturali. Promosso dal Comune di Gualtieri e dal Museo Documentario di Ligabue, è indispensabile per gli amanti dell'artista, e per tutti coloro che vogliono avere un punto di riferimento scientifico chiaro e sicuro sulla sua opera.
La rassegna, a cura di Augusto Agosta Tota, comprende 150 opere -110 dipinti, 23 disegni e 17 sculture - tutti capolavori selezionati e reperiti in Italia e all'estero tra la miglior produzione artistica di Ligabue.