venerdì 23 settembre 2005


preti pedofili:
il papa imputato negli Usa per aver ostacolato il corso della giustizia, è poi sfuggito ai giudici

aprileonline.info
Benedetto XVI, tutto quello che l'Italia non dice
Vaticano. La procedura giudiziaria contro Ratzinger è stata stralciata. Il Pontefice, accusato di aver coperto abusi sessuali di membri del clero, gode di immunità come Capo di Stato
di Paolo Giorgi
(ma... chi ha visto com'è il suo segretario particolare bavarese?)
Ci sono due notizie molto gravi che la stampa italiana, persa dietro alle mille polemiche sui Pacs, le coppie gay e quant’altro, ha quasi totalmente ignorato. La prima, che papa Benedetto XVI è stato imputato da un tribunale del Texas per aver coperto, da prefetto per la Dottrina della fede, membri del clero responsabili di abusi sessuali su minori. La seconda, che la sua posizione processuale è stata stralciata su richiesta del governo americano, in quanto Capo di Stato. La storia dietro queste due notizie è drammatica, e ha inizio a metà degli anni ’90: a Houston, Texas, tre ragazzini denunciano di essere stati violentati da un seminarista colombiano assegnato alla chiesa San Francesco di Sales. Il suo nome è Juan Carlos Patino Arango, e insegnava loro, con tragica ironia, orientamento psicopedagogico. All’inizio di quest’anno il relativo processo è entrato nel vivo, con un clamoroso colpo di scena. L’avvocato delle giovani vittime, Daniel Shea (ex seminarista a sua volta) presenta alla Corte distrettuale di Harris County un documento esplosivo, scoperto e pubblicato già nel 2003 dal quotidiano americano Worcester Telegram&Gazette. Si tratta di una lettera “strettamente confidenziale” inviata nel maggio 2001 da Ratzinger a tutti i vescovi cattolici, nella quale si affermava che la Chiesa non intendeva rendere pubbliche le proprie indagini sui preti pedofili per oltre 10 anni dal momento in cui le vittime avessero raggiunto l’età adulta. Essa prevedeva inoltre che i resoconti delle ‘indagini preliminari’ su ogni singolo caso di abuso dovevano essere inviati all’ufficio di cui Ratzinger era a capo. Il quale si riservava l’opzione di riferirne a speciali tribunali privati, al cui interno le cariche di giudice, pubblico ministero, notaio e rappresentante legale venivano ricoperte esclusivamente da ecclesiastici. “Situazioni di questo tipo sono coperte dal segreto pontificio”, concludeva la lettera del futuro papa. L’infrazione del segreto in qualsiasi momento del periodo dei dieci anni di giurisdizione della Chiesa veniva intesa come una grave azione, perseguibile anche attraverso la scomunica. In pratica, il classico principio dei panni sporchi che vanno lavati in famiglia. Con buona pace delle vittime degli abusi, che sono migliaia in tutto il mondo, e che hanno diritto a un regolare processo dello Stato. È evidente che questo documento, come ha dichiarato Shea in tribunale, “è un’ostruzione al normale corso della giustizia”. Una tesi confermata involontariamente anche dal cardinal Bertone, cofirmatario della lettera ratzingeriana, che ammise: “Secondo il mio punto di vista, la richiesta secondo cui un vescovo debba essere obbligato a denunciare agli organi di polizia gli atti di pedofilia commessi da un prete è completamente infondata”. Più chiaro di così… L’ordine è di impedire ai legittimi organi investigativi di far luce: “Se si impone di mantenere il riserbo prima per diciotto anni poi per altri dieci – sottolinea Shea - i responsabili la faranno franca”. Per questo gli avvocati hanno chiesto l’imputazione di Ratzinger per ostacolo al normale corso della giustizia. Si imputa all’ex prefetto, inoltre, di aver deliberatamente allungato i tempi di “secretazione” delle indagini, per guadagnare vantaggio sui termini di prescrizione in vigore negli States. Non a caso lo stesso processo di Houston è civile e non penale, proprio perché in svolgimento oltre dieci anni dopo i fatti. Ora, la cosa più grave è che il Vaticano non intende contestare queste accuse. Un portavoce della Santa Sede si è limitato a dire “non commentiamo documenti non pubblici”, mentre l’unica strategia di difesa è stata la richiesta ufficiale di immunità diplomatica per Benedetto XVI, appunto in quanto capo non della Chiesa ma del minuscolo stato Vaticano. Nessun accenno anche all’ipotesi di un minimo risarcimento morale, che potrebbe essere il ritiro di queste scandalose disposizioni che di fatto hanno salvato oltre 4.000 sacerdoti solo in America da una condanna penale. Ma il punto è che tutta la politica di Ratzinger al Sant’Uffizio è stata improntata alla copertura del fenomeno. Basti ricordare lo scandaloso insabbiamento del caso di padre Maciel, fondatore degli ultrareazionari ‘Legionari di Cristo’, accusato da ben otto ex discepoli di abusi sessuali. Nel 1998 il dossier sulla scrivania di Ratzinger fu praticamente sepolto, e al vescovo messicano Talavera Ramirez, che chiedeva conto di questo comportamento, il prefetto rispose (lo ha detto lo stesso Ramirez) che “si tratta di materia molto delicata, dato che padre Maciel ha fatto molto per la Chiesa e in più è molto amico del papa”. Meno clemenza il Sant’Uffizio ha dimostrato nel caso di don Franco Barbero, sacerdote piemontese animatore di una comunità di base, favorevole al matrimonio dei preti e persino alle unioni gay. Per lui, naturalmente, la cacciata da Santa Madre Chiesa è stata immediata e inappellabile, senza neanche un’audizione dell’”imputato”. (...)