lunedì 17 ottobre 2005

Fausto Bertinotti

Corriere della Sera 17.10.05
Bertinotti: resto rivoluzionario
Ora proporzionale alla tedesca «Sulla lista unica ripeto il mio no. Programma, eviterò bracci di ferro»
di
Aldo Cazzullo

«La rivoluzione non è affatto scomparsa dal mio orizzonte politico. Anzi. Anche la rivoluzione rientra in prospettiva nella riscoperta delle categorie classiche della politica, che è la direzione in cui va la storia italiana. È l’approccio rivoluzionario che va rovesciato rispetto agli schemi novecenteschi, ed è questo il tema su cui vado discutendo da un anno a questa parte con Toni Negri. Lui non crede alla non violenza, sostiene che così si consegna il movimento alla repressione. Io resto convinto che la rivoluzione vada fatta, ma non come ci hanno detto sinora; non conquistando il potere per trasformare la società, ma seguendo la via contraria». Neppure il risultato parziale dell’una di notte, 72,3 a 15,9, gli toglie il buon umore, nasconde bene un po’ di delusione. «Prodi partiva da 70, io da 12. Più o meno è andata così; anzi, meglio. La strategia di rivolgermi a tutto l’elettorato di sinistra anziché limitarmi a mobilitare il mio elettorato ha dato ottimi risultati: un conto è prendere il 16% su un milione di votanti, una altro è prenderlo su tre milioni e mezzo; significa aver mosso il voto di opinione. Certo, l’alta affluenza dell’Emilia Romagna non mi ha favorito. Ma rivendico comunque una buona prestazione, soprattutto in prospettiva, e nel confronto con gli altri. Pecoraro Scanio è al 2,2%: meno della metà del suo livello di partenza. Prodi pensa a una lista di tutta l'Unione? Per me non cambia nulla: ribadisco il mio no ma non farò un braccio di ferro sul programma. Prodi ha l'ambizione di rappresentare tutti, ambizione giusta che condivido».
Un passo indietro. Domenica pomeriggio a casa Bertinotti. La signora Lella, anche lei di ottimo umore. Il nipotino Davide, nove anni, figlio di Duccio, che nella campagna per le primarie è uscito dal riserbo. «A Bari ha organizzato una "Bertinight". Duccio è un organizzatore di musica. È partito con una band reggae, poi il sound-system: assembla dischi originali, ne fa la colonna sonora di una serata». Si inserisce Davide: «Nonno, spiega al signore che papà fa anche le gare, a New York, a Kingston». Ma il nonno è già con il pensiero alla rivoluzione. Cerca testi consunti dalla sua grande biblioteca, i libri di una vita, le letture di un autodidatta. «Ecco qui: Kautsky, Riforma sociale e rivoluzione . La polemica con Bernstein: ciò che distingue un riformatore, oggi diremmo riformista, da un rivoluzionario non è perseguire le riforme, ma limitarsi ad esse. È un concetto che ho ritrovato in Gilles Martinet, anzi, forse è André Gorz. Eccolo, siamo fortunati, Gorz, Il socialismo difficile , pagina 37: il riformismo non è la lotta per le riforme, che ogni marxista deve proporsi; è l’isolamento del momento riformista da quello rivoluzionario. In Italia Gorz individua una categoria, i riformisti-rivoluzionari, in cui include Ingrao, Basso, Lombardi, forse anche Trentin. Ecco, io mi sento un riformista-rivoluzionario. Riforme sì, purché non escludano ma preparino la rivoluzione, la trasformazione del capitalismo». Ma voi al potere potreste andare già tra sei mesi. «Qui c’è un’altra differenza con Toni Negri: io verso il potere sono sempre critico, chiunque lo detenga. Questo ci consente di essere in una maggioranza di governo e contemporaneamente nel movimento. Si chiama bilocazione. Nell’800 a Torino c’era un santo sociale, don Bosco, che aveva il dono: poteva essere in due posti nello stesso tempo. Noi - sorride Bertinotti - abbiamo la bilocazione come don Bosco».
La cronaca purtroppo incombe, la radio dice che hanno votato già in due milioni: «Una risposta alla prova di forza imposta da Berlusconi sulla legge elettorale. Ha ragione Veltroni: un’era si è chiusa. La differenza è che per me si tratta di un’ottima notizia. Io mi sono opposto al proporzionale di Berlusconi per una questione di metodo e di merito, ci opporremo anche al Senato, e considero un grave errore l’offerta di Fassino di patteggiare: così si rinuncia alla nitidezza di impostazione e si introduce un fattore di inquinamento, che nella fase attuale è amico del demonio. Questo non significa sia possibile ripristinare la vecchia legge uninominale. L’Unione non deve tornare indietro ma andare avanti, verso un proporzionale vero, sul modello tedesco, che non prevede il premio di maggioranza. Tra cinque anni nulla sarà come oggi. Ci saranno di nuovo il centro, la destra e la sinistra. Torneranno i partiti veri, le identità certe, non quelle vaghe da indicare con un albero o un fiore. Chi mi prospetta una lista di tutta l’Unione al Senato non capisce quanto succederà: per questo rispondo no». E Prodi cosa dovrebbe fare? «Non mi impiccio. Potrà guidare un Ulivo ridotto, o uno dei partiti dell’ex Ulivo. Ma mi pare evidente che farà il capo della coalizione, non il capo di un progetto politico». La tentazione neocentrista? «Esiste, perché esiste la Confindustria, vale a dire un sistema di poteri forti. Il neocentrismo è molto peggio della vecchia Dc: non è mediazione né keynesismo, ma liberismo. Neppure Prodi ne è immune: neocentrismo è il trattato costituzionale europeo, è la direttiva Bolkestein. Per questo, anche dopo le primarie, la competizione nell’unità con Prodi continua».
Alle 18 si esce per andare da Lula, in piazza Navona, con Prodi, Pecoraro Scanio e Di Pietro. Clima sereno, di gioia offuscata solo dalla notizia dell’agguato in Calabria. Uno spuntino a casa, poi tutti a viale del Policlinico, in sede. Bertinotti si chiude nella stanza della segreteria ad aspettare i risultati. Mastella ha già messo le mani avanti: lascia l’Unione e vota la riforma elettorale. «Sarebbe sbagliato trattenere Mastella o corteggiare Follini. Tocca a loro decidere. I dati di stanotte dimostrano che il centrosinistra ha una grande forza d’attrazione. Speriamo valga anche per il nascente soggetto radicalsocialista, cui io per la mia formazione guardo con favore». Alle 10 di sera c’è ancora coda in molti seggi, mancano le schede. «C’abbiamo beccato anche stavolta. Aveva torto chi diceva che era tutto inutile, tutto deciso, che le primarie sono un’americanata. Invece hanno partecipato pure i Disobbedienti. Abbiamo dimostrato di non essere antipolitica, ma critica della politica. Dentro e fuori nello stesso tempo. Ricorda don Bosco e la bilocazione?». Se non fosse stato per l’Emilia Romagna, all’alba pure don Bosco sarebbe apparso un riformista-rivoluzionario.