L'ARTICOLO DI GIULIA INGRAO:
Liberazione domenica 30 ottobre 2005
Leggerlo su "Repubblica" non mi stupisce; ma su "Liberazione" non mi piace
Amore amico della guerra? Luogo comune dai tempi di Platone e della Bibbia
di Giulia Ingrao
È come dire che è impossibile ogni trasformazione dell'esistente, che non abbiamo nessuna possibilità o speranza di cambiamento, perché la natura umana perversa è immodificabile."Una ricerca sui nuovi fondamenti teorici per la sinistra", la copertina di un libro edito dalle Nuove Edizioni romane. Al centro un volto femminile, un'immagine di donna; intorno i titoli di quattro libri, le date di tanti incontri all'università e una una grossa realtà, l'Analisi collettiva. Repubblica venerdì 14 ottobre 2005, stessa immagine.
Mi viene spontaneo un nesso: non sarà il peccato originale?
Una teoria, una ricerca; che ci sia un nesso tra questa teoria e questa ricerca e una nuova identità femminile? Che sfogliando le pagine di quei libri, ascoltando i contenuti di quella ricerca si possano avere idee più chiare sulla realtà umana, sulla realtà mentale umana, sul pensiero umano cosciente, sul pensiero umano senza coscienza, sui rapporti interumani, su quello privilegiato uomo-donna che tocca realtà profonde della vita, sessualità, amore, identità?
Tutto da vedere, da verificare.
Leggo giornalmente Liberazione. Prima pagina, l'occhio va alla colonna a destra, certamente un editoriale, una firma invitante. Sabato 22 ottobre 2005 "Amore amico della guerra? " di Lea Melandri. Confesso di aver fatto fatica a seguire le varie ipotesi che la giornalista fa per trovare una risposta a questo sconcertante interrogativo; fatica nel comprendere oltre che nell'accettare pensieri di illustri "pensatori" che a me sembrano lontani dalla realtà degli esseri umani, dei popoli. La conclusione: esiste tra amore e odio, amore e morte un legame "invariabile" e "inalterabile" nel tempo e nello spazio, che vive di una vita propria, quasi fuori dalla storia, quindi amore è amico della guerra, se si ama contemporaneamente si odia e odiando si esercita la violenza, qualunque essa sia, anche la guerra ossia l'assassinio strategicamente preparato. Questa legge non riguarda solo la vita animale e vegetale, ma anche la vita umana.
Questa legge da dove e da chi è venuta? L'hanno scoperta, direi inventata, illustri pensatori. Barbara Ehrenreich ("Riti di sangue", Feltrinelli, 1998) parla della guerra come di «un'unità culturale contagiosa […] autoreplicante che ha le sue radici in un "trauma originario" ossia il salto di civiltà che l'uomo ha fatto scegliendo lo strumento della violenza per riscattarsi dalla condizione di preda e diventare predatore» assimilando senza nessun trauma l'uomo all'animale.
James Hillman ("Un terribile amore per la guerra", Adelphi, 2004) parla della guerra come una componente primordiale dell'essere. Penso parli della vita in generale, ma una distinzione tra vita animale e vegetale e vita umana andrebbe pure fatta (mi viene spontaneo un nesso con l'idea che la Chiesa ha della sessualità umana: annulla la fantasia del rapporto tra uomo e donna per ridurla a pura procreazione, come per gli animali). Dunque la violenza, la guerra è una "fatale necessità".
Altra ipotesi-risposta all'interrogativo: «[…] la coppia amore e violenza ha a che fare con tutti i dualismi che conosciamo - natura e storia, individuo e società ecc. - e prima di tutto con quello che ha diviso come poli opposti e complementari il maschile e il femminile». Dunque la donna e l'uomo, poli opposti destinati a congiungersi da ineluttabili "logiche d'amore" e insieme odiarsi fino al "rifiuto" ed alla cancellazione del diverso. Un dualismo che condanna ad una tragica simbiosi, Amore e Morte, la vita e il nulla.
E veniamo a Freud, e mi meraviglio come ancora possa essere un punto di riferimento quando è stato dimostrato dallo psichiatra Massimo Fagioli da circa cinquant'anni l'assoluta ignoranza di Freud sulla realtà mentale umana, il suo disprezzo per l'essere umano e per il diverso, giudizio condiviso in recenti studi di cui ha ampliamente parlato la stampa. Comunque, per Freud Eros e Thanatos si accoppiano, quindi la coppia vita e inanimato è l'essenza della realtà umana, ancora «l'essenza dell'Eros è di fare di più d'uno uno» ossia uccidere sempre l'altro, il diverso da sé. Mi piace ricordare un altro bel pensierino: nel 1929 Freud in un articolo definisce «un'illusione priva di fondamento» la teoria marxista come possibilità di trasformazione dell'esistente, naturalmente perché la natura umana perversa è immodificabile. Mi sarei aspettata dalla Melandri il rifiuto di tali pensieri, meglio di un tale credo; non mi è sembrato fosse così.
Stranamente su Repubblica di domenica 23 ottobre 2005 ("Quando il Papa vuole fare le leggi") di un'altra firma importante, Eugenio Scalfari, propone idee simili arrivando quasi alle stesse conclusioni fuori dalla storia. Dopo un lungo riassunto di vicende storiche che hanno avuto protagonisti la Chiesa Cattolica e lo Stato italiano, Scalfari si concede "qualche breve riflessione" sull'enorme problema dei diritti innati e del diritto naturale.
«Il solo, l'unico diritto innato deriva dall'ente, che esiste e vuole esistere». Ci precisa che nella nostra specie quell'ente si chiama persona e per la nostra specie persona significa individuo. Non ci dice però quando questo ente-persona-individuo comincia ad esistere e questo comporta molti grossi interrogativi (dallo zigote? dall'embrione? dalla nascita? da quando acquisisce il linguaggio verbale?). «…Il diritto dell'individuo-persona ad esistere è innato, proviene dalla natura che lo fornisce anche ad altre specie (albero, falcone)». Ma non sarà il caso di fare una netta distinzione tra vita vegetale, vita animale e vita umana? La prima distinzione che mi viene in mente è che nella vita umana c'è il rapporto interumano che è ben diverso dalla simbiosi delle piante e dall'organizzazione in branco degli animali. Ci dice Scalfari che per soddisfare il diritto "biologico", e di nuovo qui mescola piante, animali e uomini, l'individuo entra in conflitto con tutto ciò che lo circonda fino all'estinzione di chi gli contende lo spazio vitale, fino a farlo diventare «…uno stecco senza più fronde né linfa». Il paragone ci propone un'immagine inquietante, anche se si parla di piante. Proseguendo la lettura dell'articolo scopriamo che questa guerra all'ultimo sangue per la sopravvivenza inizia dall'infanzia, è presente nella vita dei bambini che non fanno che sopraffarsi l'un l'altro, come se fosse una lotta selvaggia tra specie di animali diversi.
A questo punto la dialettica, il confronto con questi cosiddetti "pensatori", che ripetono luoghi comuni dai tempi di Platone e della Bibbia, non basta, ci vuole l'indignazione, la condanna, il rifiuto netto di certe proposizioni.
«[…] l'innocenza dei bambini, il loro candore, la loro bontà è un falso […] l'innocenza dei bambini è solo mancanza di conoscenza […] Ma la bontà dei bambini non esiste».
Lasciamo stare le false icone, i santini sui bambini, ma immaginarli per sopravvivere «[…] appropriarsi di tutto ciò che desiderano togliendolo agli altri. Vincendo sugli altri. Sottomettendo gli altri»; tutto ciò mi farebbe ridere se non fosse una brutta violenza. I bambini si litigano un giocattolo, tutto qui! Immagino Scalfari anziano come me, nonno come nonna sono io, che ha avuto accanto, ha accarezzato bambini, figli e nipoti, mi domando come li abbia potuti vedere attraverso questa lente. Mi domando ancora come abbiano fatto questi bambini nei pochi anni della loro vita a corrompersi a tal punto, allora sono nati cattivi? Bambini così cattivi io non ne ho conosciuti, ho avuto tre figli, nipoti e li ho sempre dovuti difendere dalla violenza mentale degli adulti, qualche volta anche dalla mia.
Scalfari che si professa illuminista fa appello alla ragione perché insegni ai piccoli diavoli a «contenere l'istinto primordiale». Si tratta di controllare il male che ci portiamo dentro, che lui stesso definisce "peccato originario" (mi viene anche adesso spontaneo un nesso: non sarà il peccato originale? Non siamo ancora di fronte a un pensiero religioso nella testa di un laico?).
Non si concepisce un rapporto interumano che sia investimento di interesse, nella norma il rapporto interumano ha sempre alla base il sospetto, questo nega il rapporto e impone il controllo o addirittura il dominio. Gli aspetti più sconcertanti della natura umana sono dunque innati, quindi nessuna possibilità o speranza di cambiamento. Leggerlo su Repubblica non mi stupisce, ma ipotizzarlo su Liberazione non mi piace.
Ritorniamo all'immagine femminile comparsa sulla copertina di quel libro sull'incontro dell'Analisi collettiva con Pietro Ingrao e Fausto Bertinotti, che riporta i testi in un dibattito sulla non violenza, ma da cui è emerso ben altro. L'immagine che ne viene fuori è di una realtà umana che si forma alla nascita come fusione tra realtà biologica e realtà mentale umana, che cerca il rapporto e poi si sviluppa nel rapporto con l'altro essere umano. Non c'è il peccato originale, non c'è tendenza al nulla, ci saranno cause e motivi di malattia mentale ma c'è la cura.
La sessualità non è violenza né principio del piacere, è realizzazione della propria identità nel rapporto con l'essere umano diverso. Uso la parola "diverso" fuori dal senso comune; la parola diverso si attiene come fondamento base e cardine del rapporto uomo-donna, non è rapporto con il diverso il rapporto tra persone dello stesso sesso. Rapporto dialettico di identità, la maschile e la femminile, che si definiscono specificatamente nel confronto uomo-donna.
Nel rapporto uomo-donna, che è il rapporto interumano privilegiato, le due identità umane diverse cimentano non la loro realtà sociale, ma la loro realtà interna; solo in questo rapporto è possibile che si realizzi una reciproca trasformazione.
La differenza tra identità maschile e identità femminile è la garanzia contro il razzismo di ogni natura perché non c'è specchio, non c'è identificazione, non c'è annullamento dell'altro-altra.
A me sembrano pensieri semplici, che non sconvolgono l'esistente, perché non confrontarsi?
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