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Corsa contro il tempo per salvare l’Unità, ma è rottura tra Fago e il Pd
di Alberto Custodero
ROMA
. Una corsa contro il tempo per resuscitare l’Unità che, schiacciata
dai debiti, oggi sospenderà le pubblicazioni. Il premier è intervenuto
sulla crisi del quotidiano fondato da Gramsci. «Anziché stare a
discutere sulle responsabilità del passato — ha detto Matteo Renzi —
dobbiamo fare una grande scommessa sul brand del giornale, sapendo che
la priorità è partire dai lavoratori». Il primo a scommettere su una
prossima presenza in edicola è il direttore, Luca Landò, che ieri,
nell’editoriale intitolato “L’Unità è viva”, ha ammonito: «Fate girare
la voce: questo non è l’ultimo numero». La direzione del Pd ha approvato
un ordine del giorno con il quale il partito «si impegna ad agire per
riportare l’Unità in edicola, anche valutando ipotesi di “azionariato
popolare” che possa affiancare un progetto imprenditoriale per la sua
rinascita».
Sul fronte delle trattative la situazione al momento non è
rosea. Dopo il no a sorpresa dell’assemblea degli azionisti della
“Nuova iniziativa editoriale” spa a un piano di rilancio (proposto dal
socio di maggioranza, Matteo Fago, e sostenuto dai poligrafici e
giornalisti), la palla, sotto forma di domanda di concordato preventivo,
passerà ora al Tribunale che nominerà un commissario. Tra le varie
proposte di rilancio che il commissario dovrà valutare, c’è anche quella
che lo stesso Fago fa con una società al 100 per cento sua, la
Editorialenovanta costituita il 6 maggio di quest’anno. Mentre però la
Nie Spa era forte di un capitale sociale di 7milioni e mezzo circa, la
nuova srl di Fago si espone con appena 10mila euro di capitale sociale.
Sta di fatto che tra il Pd e Fago è rottura: martedì il tesoriere
Bonifazi aveva bocciato il progetto dell’editore («Non garantisce una
prospettiva certa per il futuro editoriale e occupazionale dell’Unità»,
aveva detto). Ieri Fago ha replicato sostenendo che la chiusura del
giornale è stata determinata «da veti politici ed azionari incrociati».
«E ora — conclude — ognuno si assuma la propria responsabilità».
Repubblica 1.8.14
Comunicato del Cdr di Repubblica
su spogli
Il Velino 31.7.14
Unità, Mucchetti (Pd): un giornale renziano sarebbe una testata zoppa
di com/ndl
Roma. “Ormai da anni 'l’Unità' attira investitori privati allo scopo di integrare il finanziamento pubblico e le sempre più scarse contribuzioni del partito nella copertura delle perdite di gestione dell’editrice. Investitori variamente legati alle leadership prima del Ds e poi del Pd che si succedono nel tempo. E’ ora possibile che, per sostenere il giornale, il presidente del Consiglio eserciti un’attrazione fatale su qualche industriale, commerciante o finanziere. Dopo 'l’Unità' dalemiana, veltroniana, bersaniana, lettiana, avremo infine un’'Unità' renziana?", se lo chiede oggi Massimo Mucchetti, senatore del Pd, in una lettera al direttore del giornale fondato da Antonio Gramsci, Luca Landò.
"Non lo so - continua Mucchetti - ma sarebbe comunque una testata zoppa. Il premier segretario può ben pensare che il giornale tradizionale, con una tradizionale esposizione on line, non serva più, che sia un lusso non più adatto alla attuale penuria di mezzi. Ora, se la redazione è convinta di avere un progetto adeguato ai tempi, capace di parlare al Paese, e dunque di avere un mercato reale e un equilibrio economico in prospettiva, se così stanno le cose, e’ arrivato il momento che i giornalisti de 'l’Unità' prendano nelle loro mani il destino proprio e quello del giornale costituendo una cooperativa alla quale il partito potrebbe dare la testata in affitto a costo zero. Sarebbe dura, ma non impossibile, se la cognizione del dolore che viene da una crisi vissuta in prima persona avrà l’effetto di liberare le menti dalla subalternità all’idea che i giornali debbano per forza avere un padrone, fosse pure un partito, fosse pure il Pd, e non cercarsi una strada come public company in forma cooperativa o in forma di società per azioni". Così conclude Massimo Mucchetti.
Com.Unità 31.7.14
Gramsci, l’Unità e il fallimento di una classe dirigente
di Michele Di Salvo
qui
Corriere 1.8.14
Primo giorno senza «Unità» I giornalisti: c’è ancora tempo
di Al. Ar.
su spogli
il Fatto 1.8.14
Risposte mancanti
Maramotti: il brandy del segretario Matteo all’Unità
intervista di Mimmo Lombezzi
su spogli
Blitz Quotidiano 1.8.14
L’Unità sta morendo sotto il cielo del 40%. Pd sveglia
di Vincenzo Vita
qui
Caratteri Liberi 1.8.14
L’Unità, cronaca di una morte annunciata
di Vincenzo Vita
qui
Wired 1.8.14
L’Unità può rinascere sul web?
Il quotidiano fondato da Antonio Gramsci esce in edicola per l’ultima volta
Ecco i suoi numeri (e quanto senso avrebbe uno spostamento in rete)
di Dario Falcini
qui
il Fatto 31.7.14
L’Unità del futuro
di Mirco Dondi
qui
L’Huffington Post 31.7.14
Caro Renzi, e cara Geloni, l'Unità, come tutti i giornali italiani, non è letta
di Maurizio Guandalini
qui
Europa 1.8.14
Si aprono spiragli per l’Unità
Renzi: «Una grande scommessa sul brand»
«La priorità è partire dai lavoratori e dalle lavoratrici del giornale» ha detto anche il segretario
qui
Politicamentecorretto.com 1.8.14
La sinistra italiana “archivia” Gramsci e l’Unità
qui
Linkiesta 31.7.14
L’Unità uccisa: indagine su una testata al di sopra di ogni sospetto
di Vittorio Ferla
qui
La Gazzetta del Mezzogiorno 31.7.14
Intellettuale di massa addio, sipario sull’Italia de «l’Unità»
di Michele Cozzi
qui
Affaritaliani 31.7.14
Si può piangere per L'Unità?
di Gianni Pardo
qui
Repubblica 1.8.14
L’amaca
di Michele Serra
Cari voi tutti dell’ Unità (chi la scrive e chi la legge), in mezzo ai quali sono cresciuto e ai quali devo tantissima parte della mia formazione culturale e della mia sorte umana. Sono ovviamente triste per la morte (annunciata, e da almeno vent’anni incombente) del giornale. Ma oso chiedervi di non cercare un colpevole se non nel tempo che passa, e smonta di continuo ciò che abbiamo montato con tanta pazienza e passione.
La politica, i partiti, i giornali: è la trinità che ha illuminato la giovinezza di chi oggi viaggia dai cinquanta in su. Trovatemi qualcuno, al di sotto dei trentacinque anni, che consideri un partito o un giornale parte decisiva della propria identità. Figurarsi un giornale di partito.
Che indossi una testata così come la indossavamo noi, che appena svegli si andava all’edicola per avere sottobraccio o in tasca il “nostro giornale”. Anche se di soldi ne avevamo pochissimi, qualunque prezzo ci sembrava insignificante rispetto alla fortuna di sentirci parte di una comunità. Ora anche il centesimo, nel mare delle news nel quale pescare a piene mani, e gratis, pare un macigno. E l’identità è tutt’altro affare, i ragazzi se le cercano in rete, o nella fitta socialità di strada e di bicchiere, o dove pare a loro, oppure non la cercano affatto, sembrandogli già un miracolo non affogare nel nulla della crisi. Non è finito il mondo, ovvio, ma il nostro mondo sì. Ognuno viaggia più solo e più smarrito: in questo senso toccherà tornare ragazzi anche a noi adulti, e non è detto che non ci faccia bene.
Corriere 1.8.14Ansa 31.7.14di Francesca Pierleonisi ringrazia Carlo Patrignani
Roma, 31 luglio 2014. C'e' rabbia e commozione ma non rassegnazione nella redazione dell'Unita', oggi nell'ultimo giorno con il giornale in edicola e i giornalisti che si preparano a lasciare le scrivanie. "Non stiamo facendo un funerale a un vetusto amico di famiglia ma parliamo di un giornale vivo, il titolo di oggi ('L'Unita' e' viva', ndr) non e' solo un auspicio e una speranza. Non saremo in edicola ma la nostra battaglia continuera'", spiega Umberto di Giovannangeli membro del cdr, nell'incontro con i giornalisti. Poco dopo, sulla vicenda, e' arrivato il commento di Renzi: "Faccio mie le parole del presidente Orfini sia sull'abbraccio ai senatori sia sull'Unita'". Sul giornale "piu' che discutere sulle responsabilita' del passato la priorita' e' partire da lavoratori". Inoltre la direzione del Pd, in un ordine del giorno, "si impegna ad agire con la massima determinazione per una rapida ripresa delle pubblicazioni e il rilancio de L'Unita' al fine di restituire ai lettori il patrimonio professionale di informazione, approfondimento, cultura politica, autonomia e pluralismo rappresentato dal giornale". I redattori hanno spiegato che l'Unita' non ha bisogno di soldi, "ne' di quelli della Santanche' ne' dell'aiuto pubblico - dice Bianca Di Giovanni -. Sale la rabbia leggendo alcuni commenti online, in cui ci dicono 'se non vendete e non servite, chiudete'. In realta' noi avevamo offerte per parecchi milioni di euro, ma e' mancato un accordo tra i soci e la volonta' politica di mantenere aperto il giornale". I lavoratori chiedono adesso "un accordo politico che garantisca l'autonomia della redazione e l'identita' del giornale. Siamo qui per difendere una redazione, 80 posti di lavoro e una storia. Non vogliamo i soldi, gli imprenditori ci sono". Su chi siano "preferisco mantenere la riservatezza. Ci e' stato detto che sono arrivate almeno tre offerte, una e' stata anche ipotizzata durante l'assemblea come soluzione temporanea, ma anche quella e' stata bocciata dai soci". Riguardo al rapporto con la politica, il cdr ribadisce che "il problema non e' Renzi, noi ci sentiamo vicini al suo Pd come ai precedenti". E il cdr si ritiene soddisfatto dell'incontro di ieri con Orfini, Guerini e Bonifazi: "Si pensa a un nuovo piano editoriale - aggiunge Simone Collini -. Ci hanno assicurato che lavorano per arrivarci tempi strettissimi. Per noi sarebbe bellissimo se nel giorno di chiusura della Festa nazionale dell'Unita', il 7 settembre, ci fosse L'Unita' in edicola, ma ci hanno detto di non poter fare date". Intanto, nelle prossime settimane "verra' nominato - spiega il direttore Luca Lando' - da parte del Tribunale di Roma un commissario liquidatore che ha a disposizione 60 giorni estendibili ad altri 60 per prendere in esame le proposte arrivate. Se in questi 120 giorni non ne arrivera' una concreta, accettabile dal 51% dei creditori, la testata fallira' e potrebbe finire nelle mani di chiunque". Matteo Fago si e' gia' detto interessato a riproporre un'offerta nei 120 giorni e i lavoratori del quotidiano stanno anche ragionando "su un ipotesi di azionariato popolare, sulla possibilita' di fare un'offerta per la testata" dice Bianca Di Giovanni. Ai redattori dispiace "non ci sia stato consentito di mantenere vivo almeno il sito online, che ha veramente spese irrisorie". Sul giornale online ''ci devono rispondere subito - sottolinea Franco Siddi, segretario della Fnsi -. Bisogna lasciarlo aperto, per tenere viva nella ricerca di una soluzione la vita e la storia del giornale. Comunque siamo pronti a mettere a disposizione online uno spazio per i redattori". Intanto i giornalisti del giornale fondato da Antonio Gramsci per continuare a farsi sentire hanno chiesto "uno spazio nelle feste dell'Unita'" spiega Di Giovannangeli. Al giornale in queste ore e' arrivata la solidarieta', fra gli altri, dei cdr di Tg1, Usigrai, Repubblica, Avvenire, il Secolo d'Italia "e centinaia di email e telefonate da parte dei lettori. Ieri qui c'era gente andata via in lacrime, ma non ci arrendiamo".
Naomi Wolf
«Tocca a noi ebrei all’estero schierarci»
intervista di Alessandra Farkas
NEW YORK — «Gaza assomiglia sempre di più al ghetto di
Varsavia. Non credo di esagerare nel disegnare quest’analogia davanti a
civili intrappolati in una situazione ove la vita umana è stata
deliberatamente resa impossibile». Naomi Wolf, ebrea, attivista,
consulente politica dell’amministrazione Clinton ed autrice di
bestseller quali «The End of America» e «Give me Liberty» chiama da
Firenze, dove si trova in visita col figlio, per esprimere la propria
indignazione di fronte a una guerra che sta dividendo gli ebrei
americani. «Israele corre il rischio di ritrovarsi completamente sola —
spiega — e questo è il motivo per cui ogni ebreo ha il dovere morale di
prendere posizione. Criticare il proprio popolo quando abbandona la
retta via è una forma di lealtà e patriottismo. L’opinione degli ebrei
Usa conta enormemente».
Nell’ultimo sondaggio Cnn il 57% degli Americani fa il tifo per Israele.
«I media Usa si limitano a riportare acriticamente le tesi dell’esercito israeliano come quella secondo cui Hamas userebbe i civili come scudi umani. È irresponsabile scrivere ciò in mancanza di prove concrete. Gaza è densamente popolata ed è ovvio che ovunque si trovi, Hamas sia circondata da civili. Anche in questa guerra, la verità viene dai social media».
Ne è proprio convinta?
«Sono stati i siti di citizen news come “DailyCloudt”, da me ideato nel 2012, a fornirci reportage imparziali minuto per minuto. Così abbiamo appreso dei blackout di luce e gas o del fatto che a Gaza solo uno dei due genitori esce di casa per cercare acqua o cibo perché, nel caso venisse ucciso, un adulto resta coi figli».
Ieri sul «New Yorker» il direttore David Remnick se l’è presa con la destra israeliana che secondo lui avrebbe monopolizzato la cultura del Paese.
«Ha ragione. Sono allibita dal crescendo di esortazioni al genocidio tipo “spazziamoli via” che esce da rabbini, politici e civili. C’è un sacco di odio da entrambe le parti ma per Israele si tratta di un fenomeno nuovo che la storia ha insegnato essere molto pericoloso».
Nei sondaggi la stragrande maggioranza degli israeliani appoggia questa guerra che considera di autodifesa.
«Gli israeliani sono quotidianamente bombardati dalla propaganda estremista che propina loro scenari terrificanti e non verificati orchestrati da Hamas. Proprio come successe a noi americani quando ci paventarono l’Armageddon se non avessimo passato il Patriot Act e invaso l’Iraq. Anche noi eravamo tutti uniti, sbagliando perché imboccati con bugie. Quando dopo anni di terrore ci siamo risvegliati e i giornalisti hanno finalmente cominciato a fare il loro lavoro, era troppo tardi».
I razzi e i tunnel sotterranei di Hamas non sono una bugia.
«L’entità e la minaccia rappresentate dal “sofisticato network di 110 tunnel del terrore” di cui parla l’esercito israeliano non sono state confermate da alcun riscontro giornalistico indipendente. Legare il proseguimento della guerra ai tunnel è una violazione della legge internazionale visto che un Paese come l’Egitto distrugge i tunnel senza violenza o perdita di vite».
San Tommaso d’Aquino diceva che perché una guerra sia giusta, sono necessarie una giusta causa e una giusta intenzione. Chi è nel giusto in questa guerra?
«Non spetta a me trarre tale conclusione. L’unica cosa che conta adesso è la sofferenza umana. Mentre parliamo esiste una crisi umanitaria senza precedenti provocata da Israele. Giornalisti e medici sono bombardati mentre riportano le notizie e curano i feriti. Gli incubatori sono senza corrente, i nebulizzatori per l’asma non funzionano. Si opera a lume di candela. Senza parlare delle epidemie che stanno per abbattersi a causa della mancanza di igiene».
Secondo il rabbino Brant Rosen della Jewish Voice for Peace, Israele dovrebbe negoziare con Hamas come fece con l’Olp prima di Oslo.
«Hamas e Israele farebbero meglio a seguire la via diplomatica invece di sparare ai civili. Sedere attorno ad un tavolo e trattare è meglio in ogni relazione, personale e politica. Ma se si pongono precondizioni prima di parlare coi nostri parenti e vicini — come sono israeliani e palestinesi — nessun rapporto o famiglia alla fine ne uscirà vivo».
Nell’ultimo sondaggio Cnn il 57% degli Americani fa il tifo per Israele.
«I media Usa si limitano a riportare acriticamente le tesi dell’esercito israeliano come quella secondo cui Hamas userebbe i civili come scudi umani. È irresponsabile scrivere ciò in mancanza di prove concrete. Gaza è densamente popolata ed è ovvio che ovunque si trovi, Hamas sia circondata da civili. Anche in questa guerra, la verità viene dai social media».
Ne è proprio convinta?
«Sono stati i siti di citizen news come “DailyCloudt”, da me ideato nel 2012, a fornirci reportage imparziali minuto per minuto. Così abbiamo appreso dei blackout di luce e gas o del fatto che a Gaza solo uno dei due genitori esce di casa per cercare acqua o cibo perché, nel caso venisse ucciso, un adulto resta coi figli».
Ieri sul «New Yorker» il direttore David Remnick se l’è presa con la destra israeliana che secondo lui avrebbe monopolizzato la cultura del Paese.
«Ha ragione. Sono allibita dal crescendo di esortazioni al genocidio tipo “spazziamoli via” che esce da rabbini, politici e civili. C’è un sacco di odio da entrambe le parti ma per Israele si tratta di un fenomeno nuovo che la storia ha insegnato essere molto pericoloso».
Nei sondaggi la stragrande maggioranza degli israeliani appoggia questa guerra che considera di autodifesa.
«Gli israeliani sono quotidianamente bombardati dalla propaganda estremista che propina loro scenari terrificanti e non verificati orchestrati da Hamas. Proprio come successe a noi americani quando ci paventarono l’Armageddon se non avessimo passato il Patriot Act e invaso l’Iraq. Anche noi eravamo tutti uniti, sbagliando perché imboccati con bugie. Quando dopo anni di terrore ci siamo risvegliati e i giornalisti hanno finalmente cominciato a fare il loro lavoro, era troppo tardi».
I razzi e i tunnel sotterranei di Hamas non sono una bugia.
«L’entità e la minaccia rappresentate dal “sofisticato network di 110 tunnel del terrore” di cui parla l’esercito israeliano non sono state confermate da alcun riscontro giornalistico indipendente. Legare il proseguimento della guerra ai tunnel è una violazione della legge internazionale visto che un Paese come l’Egitto distrugge i tunnel senza violenza o perdita di vite».
San Tommaso d’Aquino diceva che perché una guerra sia giusta, sono necessarie una giusta causa e una giusta intenzione. Chi è nel giusto in questa guerra?
«Non spetta a me trarre tale conclusione. L’unica cosa che conta adesso è la sofferenza umana. Mentre parliamo esiste una crisi umanitaria senza precedenti provocata da Israele. Giornalisti e medici sono bombardati mentre riportano le notizie e curano i feriti. Gli incubatori sono senza corrente, i nebulizzatori per l’asma non funzionano. Si opera a lume di candela. Senza parlare delle epidemie che stanno per abbattersi a causa della mancanza di igiene».
Secondo il rabbino Brant Rosen della Jewish Voice for Peace, Israele dovrebbe negoziare con Hamas come fece con l’Olp prima di Oslo.
«Hamas e Israele farebbero meglio a seguire la via diplomatica invece di sparare ai civili. Sedere attorno ad un tavolo e trattare è meglio in ogni relazione, personale e politica. Ma se si pongono precondizioni prima di parlare coi nostri parenti e vicini — come sono israeliani e palestinesi — nessun rapporto o famiglia alla fine ne uscirà vivo».
il Fatto 1.8.14
Meglio la prigione
Uriel: “Non voglio colpire i civili”
di Roberta Zunini
Salve, il mo nome è Uriel Ferera, ho 19 anni, abito a Beersheva. Ho già trascorso 70 giorni in prigione per aver rifiutato di fare il servizio militare e ora sto per tornarci perché non ho accettato di andare a combattere a Gaza, una guerra che considero ancora più ingiusta dato che è inevitabile colpire civili innocenti essendo la Striscia piccola e densamente abitata”. Inizia così il video che lo studente ebreo israeliano di origine argentina ha postato sul suo profilo Facebook prima di tornare in prigione dieci giorni fa. Il giorno precedente il suo rientro nella “prigione 6” vicino ad Haifa, l’aspirante ingegnere informatico ha deciso di raccontare perché questa volta, è ancora più “convinto e orgoglioso di questa scelta”. Nel video Uriel sottolinea di essere un ebreo praticante, un uomo di fede, ortodosso, ma la sua è anche una decisione politica: “Come fedele ritengo vada contro la legge di Dio, che ci ha fatti a sua immagine e somiglianza, uccidere, e a maggior ragione uccidere civili innocenti, colpevoli solo di essere nati nel posto sbagliato. Ma mi rifiuto di entrare nell’esercito non solo per non contravvenire alle leggi di Dio, bensì perché il nostro è un esercito di occupazione che viola quotidianamente i diritti umani dei palestinesi, umiliati e anche uccisi solo perché vogliono vivere liberi e avere uno stato”. La madre di Uriel, Ruty è una fotografa pubblicitaria nata in Argentina e trasferitasi in Israele dopo aver avuto la seconda figlia, anche lei refusnik (ma le donne non vanno in carcere). Sostiene con convinzione la scelta del figlio: lo sente al telefono ogni giorno per quattro minuti, il tempo massimo concesso. “Quando Uriel è stato convocato per la leva obbligatoria, qui non è prevista l’obiezione di coscienza, lo scorso aprile - dice al Fatto- si è presentato davanti agli ufficiali e ha spiegato di essere contrario alla logica della militarizzazione di Israele e, a maggior ragione è contro l’occupazione, una delle sue conseguenze. Non ha fatto come molti altri refusnik che preferiscono dire di avere problemi di incompatibilità psicologica per ottenere l’esenzione senza andare in carcere. Per lui è fondamentale manifestare il suo disappunto alle autorità anche se ciò significa andare in carcere tutte le volte che viene richiamato”. A ogni rifiuto trascorre 20 giorni dietro le sbarre e le convocazioni possono ripetersi nell’arco di tre anni. “Il suo spirito è saldo, io e sua sorella siamo con lui, anche se molti suoi amici lo hanno ripudiato come traditore”
Corriere 1.8.14
«Metto i figli in stanze diverse per salvarli»
Hassan: tutte le sere divido la famiglia
di Davide Frattini
su spogli
Repubblica 1.8.14
L’Espresso
Parla Amos Oz: “Netanyahu è caduto in una trappola”
«LEI cosa fa se il suo vicino di casa si mette seduto sul terrazzo con il proprio figlio sulle ginocchia, imbraccia la mitraglietta e comincia a sparare verso la cameretta dei suoi figli? Chiama la polizia. Ma qui non c’è polizia». Amos Oz, il grande romanziere israeliano, racconta la guerra di questi giorni tra israeliani e palestinesi in un’intervista a Wlodek Goldkorn sul numero dell’ Espresso in edicola oggi. Oz vede la guerra come una tragedia, dove torti e ragioni sono su entrambi i fronti. Sa bene che Hamas «vuole il genocidio, ha nella sua carta programmatica il dovere di uccidere gli ebrei ovunque nel mondo». Al tempo stesso considera profondamente sbagliata la politica del governo Netanyahu. «È caduto nella trappola. Hamas vince in ogni caso. Sia se ammazza gli israeliani, sia se gli israeliani ammazzano i civili palestinesi». E ancora: Netanyahu è anacronistico, ragiona come un uomo dell’Ottocento. Ma Hamas lo è ancora di più. Loro parlano il linguaggio del sesto secolo». Nell’intervista lo scrittore affronta anche il nodo degli insediamenti israeliani in territorio palestinese, gli errori compiuti delegittimando la leadership moderata di Abu Mazen, la necessità di una convivenza.
L'INTERVISTA INTEGRALE DI VLODEK GOLDKORN A AMOS OZ
È DISPONIBILE QUI
Repubblica 1.8.14
Pippo Civati
“Se il Pd rompe con Nichi difficile restare”
intervista di G. C.
su spogli
il Giornale 1.8.14
Civati: "Se il Pd rompesse con Vendola sarei molto in difficoltà"
Il deputato critica l'atteggiamento del governo, che considera poco avvezzo alle critiche. Vendola via? "Spero sia una boutade"
di Lucio Di Marzo
qui
Lettera 43 1.8.14
Pd, Civati: «Rottura con Sel? Vado via»
Alleanza chiave per Civati: «Se cambiano Vendola con Alfano vado in difficoltà»
E potrebbe lasciare
qui
Il Tempo 1.8.14
I tormenti della sinistra
Smeriglio: «Sì, è vero, i dissidenti del Pd verranno con noi»
Il vicepresidente della Regione Lazio, fedelissimo di Nichi Vendola, parla del futuro di Sel e del Pd
qui
Giuseppe Civati ospite alla festa di Sel
Martedì 29 luglio il deputato del Partito Democratico è stato ospite alla Festa di Sinistra Ecologia e Libertà di Milano, a Sesto San Giovanni