venerdì 20 giugno 2003

ancora sull'elettroshock a Napoli (2)

Il Mattino di Napoli 20.6.03
Scariche elettriche per guarire un paziente, esplode la polemica
di Bruno Buonanno

La sorpresa di molti psichiatri è stata subito accompagnata da polemiche di numerosi addetti ai lavori e studenti contro il Policlinico federiciano che, proprio in questi giorni, ha cominciato a curare un paziente ricoverato presso il Dipartimento di psichiatria con l’elettroshock. Scariche elettriche usate da medici della struttura universitaria per curare un giovane affetto da crisi di angoscia e manifestazioni «simil catartiche» che bloccherebbero il ricoverato, gli impediscono di parlare, di muoversi, di reagire agli stimoli esterni.
Sembrava una pratica superata e dimenticata da tempo. Un tecnica messa al bando anche per i malati di mente dai tempi della legge Basaglia, quando si decise di chiudere i manicomi e di curare i malati di mente in maniera meno traumatica di quanto avveniva con l’elettroshock. Medicina Democratica e Psichiatria Democratica sono scese immediatamente in campo contro il Policlinico federiciano e la riattivazione in città dell’elettroshock in una struttura sanitaria pubblica: «In relazione alla notizia di voler ripristinare presso la clinica psichiatrica del Policlinico federiciano l’uso dell’elettroshock, ribadiamo con forza la nostra opposizione alla reintroduzione di questa violenta, pericolosa e ingiustificata pratica. Tale grave proposta terapeutica sottende - spiegano le due organizzazioni psichiatrice - quel mito dell’incurabilità e dell’abbandono senza speranza, sconfitto e sconfessato dai significativi risultati ottenuti dalle mille e mille pratiche di salute mentale prodotte, dal 1978 in poi, nel nostro Paese».
All’indignazione dei cittadini si unisce quella degli specialisti alla sola idea che, cominciando da un solo paziente, l’uso dell’elettroshock possa ridiventare una prassi sanitaria. «Recependo l’indignazione di tanti operatori - chiarisce il documento - Medicina Democratica e Psichiatria Democratica lanciano un appello alla vigilanza per bloccare e far arretrare i tanti tentativi di restaurazione e di attacco alla sanità pubblica, cui assistiamo negli ultimi anni e per mettere in campo iniziative unitarie che rilancino la centralità dei diritti e la dignità della persona».
Acquistata nel ’99 dall’allora direttore generale del Policlinico, l’apparecchiatura per l’elettroshock non è mai stata utilizzata in questi anni. E stavolta prima di autorizzare il professore Muscettola a dare il via libero alla terapia elettrica, sia il direttore generale, Giovanni Persico, che quello sanitario, Luigi Quagliata, hanno avuto scambi di lettere con il direttore del Dipartimento di psichiatria. E hanno allertato sul problema gli uffici tecnici per un controllo costante dell’efficienza dell’apparecchiatura, che, fra l’altro, è molto costosa.
Un fiume di nuove polemiche s’abbatte sul Policlinico Federiciano mentre il paziente e i suoi familiari hanno sottoscritto il consenso informato non solo per la delicatissima terapia ma anche per la sedazione cui viene sottoposto il ricoverato prima di essere sottoposto a elettroshock.

Il movimento che contesta il metodo
«È la fine della terapia del dialogo»
Enrico De Notaris, lei fa parte con Sergio Piro del movimento «Oes» che contesta l’uso dell’elettroshock. Perché?

«È un passo indietro. Così si vanificano le leggi di riforma della psichiatria e anni di studi sulla casistica. È una pratica desueta che, provocando una crisi epilettica e una sospensione di coscienza nel paziente, mina definitivamente la possibilità di una relazione di comunicazione con il medico, divenuta basilare nello svolgimento di una moderna terapia integrata, farmacologica e psicanalitica o psicoterapica insieme».
Quindi dialogo alla ricerca delle cause del disturbo?
«È preferibile ma faticoso condurre il paziente verso la consapevolezza di sè, scavando soprattutto nelle ragioni della malattia. Chi manifesta una forte crisi di agitazione psicomotoria, può essere calmato subito con una siringa o in otto ore di terapia basata su modalità di rapporto umano e sulla ricerca di un canale di comunicazione. Indurre l'oblio dell’ammalato tramite terapia con l’elettroshock è decisamente improduttivo».
Allora i fenomeni di alterazione della memoria sono effetti collaterali provati?
«Sono gli unici danni accertati nella letteratura medica e scientifica come conseguenza di un elettroshock, soprattutto perché i test di valutazione dei parametri cognitivi del paziente sono centrati solo sulla memoria verbale e non rendono conto degli effetti emotivi e affettivi o di alterazione della personalità». (ra. sc.)

Il Prof che ha reintrodotto la cura
«Critiche emotive, non è una tortura»

Professore Muscettola, perché ha reintrodotto l’elettroshock al Policlinico?
«È un’apparecchiatura acquistata nel ’99 dalla direzione generale ed è la prima volta che ci è sembrato necessario utilizzarla. Garantisce un monitoraggio continuo elettroencefalografico e cardiologico del paziente. La utilizziamo per la prima volta: questo macchinario permette di essere sicuri che ci sia la cosiddetta convulsione, controllando eventuali disturbi del ritmo cardiaco».
Molti suoi colleghi sono contrari.
«È un tipo di pratica che viene vista come terapia aggressiva. Ma è autorizzata dal ministero della Salute: l’ex ministro Bindi chiarì che non c’erano motivi per sospendere l’uso dell’elettroshock che ha particolari indicazioni».
Quali, professore Muscettola?
«Ha un ruolo salvavita per rischio di suicidio e per il cosiddetto stupore catatonico: quando cioé il paziente, all’interno di un quadro schizofrenico, è bloccato, immobile e non reagisce. Si può usare quando non c’è risposta alla terapia farmacologica o il paziente ha dato in precedenza risposte favorevoli all’eletroshock o quando l’ammalato è favorevole alla terapia».
Però siete sotto accusa
«Considero le critiche giustificabili sul piano emotivo da parte di chi non conosce tale terapia. Dal punto di vista psichiatrico poi non è un ritorno all’indietro: viene eseguita, infatti, anche al San Raffaele di Milano e in altre strutture sanitarie. Il nostro paziente è in grado di capire l’importanza del consenso informato. Siamo docenti universitari, non scarichiamo la corrente come i poliziotti di Pinochet». (b.b.)

Corrente a 120 volt
ecco come funziona

La terapia con elettroshock su pazienti psichiatrici viene effettuata con corrente alternata di sessanta cicli al secondo, utilizzando corrente a 120 volt. L’intervento elettrico deve determinare quella che in gergo viene chiamata la «convulsione» del paziente che si ottiene dosando l’amperaggio del macchinario: l’elettroshock arriva fino a 220 ampere, dosati da 0,5 a uno al secondo. L’apparecchiatura del Policlinico effettua un monitoraggio costante elettroencefalografico e cardiografico del paziente.